APPROFONDIMENTI
Osvaldo
Biribicchi
Dopo
l’8 settembre 1943 nell’Alto Lazio hanno operato per circa nove mesi numerose
bande partigiane, dalle diverse connotazioni politiche, tutte unite dal comune
intento di porre fine all’oppressione nazifascista ed al tempo stesso aiutare
gli Alleati nella loro lenta avanzata verso il Nord Italia. Oggetto del
presente articolo sono due formazioni partigiane al comando di Fernando
Barbaranelli ed Ezio Maroncelli che hanno operato nell’Alto Lazio, in
particolare, la Barbarenelli nell’area di Bieda (oggi Blera), la Maroncelli
nella zona di Civitavecchia e sui monti della Tolfa al confine con la
Tuscia. I comandanti delle due formazioni, essendo legati da profonda e
fraterna amicizia (entrambi civitavecchiesi), collaborarono in modo talmente
stretto da scambiarsi frequentemente i propri uomini, a seconda del tipo di
operazioni da compiere, al punto che risultava talvolta difficile capire questi
a quale delle due formazioni appartenessero. Gli uomini e le donne di queste
due bande erano l’espressione di un tessuto sociale costituito in gran parte da
portuali, caratterizzati da una lunga storia di dure lotte per la conquista di
migliori condizioni di lavoro[1], e operai, tutti
tradizionalmente insofferenti al potere costituito. Questa insofferenza era
andata accentuandosi all’indomani della fine della Grande Guerra allorché
l’inflazione e la crescita vorticosa dei prezzi dei generi di prima necessità
diedero origine a ripetute veementi proteste della popolazione a cui si
accompagnarono e sovrapposero, a partire dal 1921, gravi episodi di violenza
fisica tra portuali e operai da una parte e fascisti dall’altra. In questo
scenario, fecero la loro comparsa gli Arditi del Popolo, una formazione
paramilitare composta da ex arditi attratti dal movimento futurista di Marinetti
e dalla Carta del Carnaro promulgata nella Fiume di Gabriele D’Annunzio. Negli
Arditi del Popolo, che si dissociarono dal movimento fascista, confluirono
elementi di estrazione socialcomunista ed anarchica. L’avvento del fascismo non
migliorò le aspettative dei lavoratori portuali, di quelli dell’indotto dei
traffici marittimi e della classe operaia in generale. «La politica
nazionalistica della dittatura fascista, applicata in quegli anni a tutti i
settori dell’economia italiana, non risparmiò il settore portuale, causando una
netta contrazione del volume dei traffici legati alle importazioni dall’estero.
Dal 1932 al 1935 si ebbe addirittura un decremento percentuale annuo dei
traffici all’interno del porto di Civitavecchia superiore al 30% Un periodo, quello
precedente alla II Guerra Mondiale, di grandi incertezze e difficoltà per i
lavoratori portuali che vedevano drasticamente ridotti la stabilità del proprio
lavoro (con punte intense di traffico alterne a lunghi periodi di semi
inattività) e la libertà di lottare per difendere i propri diritti»[2]. La guerra,
dichiarata da Mussolini alla Francia e alla Gran Bretagna il 10 giugno 1940,
non fece che aggravare la situazione. La popolazione, consapevole che il porto
di Civitavecchia costituiva un importante obiettivo per il nemico, cominciò ad
avere paura[3]
e, a partire dai primi mesi del 1943, iniziò a manifestare il proprio
nervosismo con episodi di aperta contestazione contro il regime. Nella fabbrica
di prodotti chimici di Aurelia, una frazione di Civitavecchia, comparvero
scritte antifasciste. La polizia intensificò i controlli: «Un documento
della Questura del 2 marzo 1943 elenca 55 elementi sovversivi residenti in
città. Si tratta per lo più di nomi arcinoti alla Polizia, persone sorvegliate
da decenni, quasi tutti ammoniti, molti ex-confinati. […] Nella lista compaiono
però anche nomi nuovi, come Fernando Barbarenelli […] che dimostrano l’ingresso
in campo di una nuova leva. È un movimento che in parte sfugge al controllo
delle forze dell’ordine. In seguito a varie perquisizioni si procede al fermo
di 19 persone, tra cui molte non comprese nel precedente elenco. Tra i nuovi
figurano Ezio Maroncelli […]»[4]. Le cause del malcontento
erano chiaramente riconducibili alle sconfitte militari in Russia, alla perdita
dell’Africa settentrionale, alla miseria cresciuta rapidamente in due anni e
mezzo di guerra. Purtroppo per i civitavecchiesi, il momento tanto temuto
arrivò il 14 maggio 1943 quando la città subì il primo di una lunga tragica
serie di bombardamenti che la distrussero quasi completamente costringendo la
popolazione a sfollare nei paesi vicini. «Le punte massime distruttive
furono raggiunte tra il 30 maggio ed il 4 ottobre 1943. Civitavecchia venne
distrutta quasi al 95%»[5]. Le bande Barbaranelli
e Maroncelli, pertanto, a dimostrazione della tenacia e risolutezza dei
propri capi, si formarono in condizioni estremamente difficili, fuori dalla
propria città distrutta, reclutando partigiani tra gli sfollati, tra gli
abitanti dei paesi in cui la popolazione di Civitavecchia aveva trovato
accoglienza, tra i soldati sbandati dopo l’armistizio e tra gli ex prigionieri
anglo-americani. Queste bande, quindi, presentarono dei tratti distintivi
diversi da quelle del Nord Italia. Al riguardo, è di sicuro aiuto l’analisi
fatta da Mario Leporatti inviato dal Partito Comunista, agli inizi del 1944, ad
ispezionare le formazioni partigiane garibaldine dell’Alto Lazio. Una parte della sua relazione, dedicata ai
partigiani di Civitavecchia, tratteggia con precisione il tessuto economico e
sociale in cui sono nate le bande in questione: «Per quanto
riguarda la composizione sociale di Civitavecchia, c'è da tenere presente che
essa è una città oltre che marittima, anche industriale. L'elemento operaio qui
si affianca all'elemento marittimo e tutti e due prestano ampio campo allo
sviluppo della nostra propaganda, del nostro lavoro e della nostra lotta.
Civitavecchia, vanta una tradizione nostra molto notevole, tenendo conto che
essa è una città dell'Italia centrale, in essa il Partito conta dei compagni
già da lungo tempo, questo fatto facilita naturalmente l'opera di
riorganizzazione e di attivazione di tutta la zona; buoni elementi sono anche
nella provincia tra i contadini. L'effetto dei bombardamenti, se ha portato
allo sfollamento della città, e quindi alla dispersione e allo sparpagliamento
di tanti compagni, ha prodotto d'altra parte qualche cosa di buono, nel senso
che ha costretto gli elementi migliori e più decisi a stare insieme proprio per
poter provvedere tutti uniti alle necessità della vita quotidiana: si è infatti
costituito un gruppo di giovani elementi che trasportatisi in provincia, dopo
aver vissuto qualche tempo alla macchia, in accampamento, con il progredire
dell'inverno si è sistemato tutto nei paesetti di Allumiere e Tolfa»[6]. Le bande, dunque,
iniziano ad aggregarsi dopo il primo bombardamento degli Alleati ed andranno
via via organizzandosi «fuori del loro
ambiente naturale (le fabbriche, il porto, i luoghi di lavoro) e questo
condiziona la loro natura e la loro capacità operativa. Dispersa la base sociale, l'azione militare
perde l'apporto della ribellione operaia, che nel Nord, con i grandi scioperi e
l'azione rivendicativa, farà della Resistenza un fenomeno di massa, rafforzando
il senso politico della lotta. Unico
esempio noto di resistenza operaia a Civitavecchia è quello delle maestranze
della Società Prodotti Chimici Nazionali di Aurelia, che scampata ai
bombardamenti ha deciso di intensificare la produzione per la riparazione dei
mezzi e delle armi dell'esercito tedesco. Gli operai rallentano la produzione e
ricorrono al sabotaggio, provocando incidenti, quando arriva l'ordine di
smontare e trasferire al Nord i macchinari»[7]. Questa breve premessa per inquadrare
l’intervista che, grazie ai buoni uffici del presidente dell’ANPI di
Civitavecchia, Gianfranco Gargiullo, il 3 giugno 2024 ho avuto la possibilità
di fare ai figli dei due comandanti partigiani: Fabrizio Barbaranelli e Massimo
Maroncelli, come i genitori amici fraterni. Le memorie, gli aneddoti legati ai due
personaggi civitavecchiesi ed al periodo che ha preceduto e accompagnato la
nascita della Resistenza nell’Alto Lazio hanno costituito il filo conduttore di
una interessantissima conversazione che ha consentito di fissare il contesto
politico, sociale e culturale in cui sono nate le due bande partigiane nonché
la personalità dei due capi partigiani.
Massimo
Maroncelli, chi era suo padre?
Mio padre era un muratore, nell’aprile del 1943 fu incarcerato per antifascismo
militante ed incarcerato a Regina Coeli da dove fu rilasciato il 16 agosto
1943. Io non ho testimonianze
dirette della sua esperienza partigiana perché sono nato nel 1945 e poi papà
non parlava molto di quel periodo tragico. Quando gli è stata conferita la
Medaglia d'Argento al Valor Militare, nel 1975, [All.1] lui non è andato a
ritirarla. Siamo andati, alla Scuola di Guerra, io e mia sorella. Mio padre si
limitò a dire «se è vero che ho fatto quello che ho fatto, dopo 30 anni,
male non ci è andata». Mio padre, dopo la guerra, non si è mai interessato
di politica, Fabrizio Barbaranelli poi lo sa benissimo, e quindi ho pochi
ricordi sotto questo punto di vista.
Quando fu costituita
la banda Maroncelli, dove ha operato,
da quanti partigiani era formata?
La prima azione
militare fu compiuta nel mese di settembre 1943 allorché due operai della
Società Romana di Elettricità, prima di lasciare Civitavecchia per unirsi alla
banda, fecero saltare una cabina elettrica. A settembre, dunque, la banda era
già operativa ed in grado di procurarsi armi, fare atti di sabotaggio a linee e
mezzi dei tedeschi. Ma la banda Maroncelli, così come la Barbaranelli, non è
nata l’8 settembre 1943 bensì molto tempo prima sotto il profilo politico, come
evidenzia Massimo Maroncelli, ed affonda le sue radici in quel complesso
substrato sociale tipico di tutte le città portuali. La banda, dal punto di
vista militare, fu costituita subito dopo l’8 settembre 1943 ed operò nell’area
di Civitavecchia, Allumiere, Tolfa ai confini con la Tuscia. Era composta da un
centinaio di persone, al nucleo iniziale si aggiunsero numerosi militari
sbandati. In particolare, 74 partigiani combattenti e 184 patrioti con compiti
di supporto. Nella banda furono attive anche quattro donne, una partigiana combattente e tre
patriote. A quale partito del Comitato di Liberazione
Nazionale faceva riferimento la banda. Da chi prendevano ordini, disposizioni? La banda era sostanzialmente vicina al
Partito Comunista Italiano ma vi erano al suo interno anche partigiani di altra
estrazione politica. Mio padre aveva contatti con Roma, poi c'era un certo
Murra, che era il presidente dei partigiani, vicino al Partito Comunista,
prendevano ordini, disposizioni da Roma, dal CNL. Chi li finanziava, come si coordinavano con le
altre bande dell’area?
Non ho mai sentito parlare dei finanziamenti.
Il coordinamento avveniva tramite il Fronte Clandestino Militare del colonnello
Montezemolo poi ucciso alle Fosse Ardeatine. C’è un fatto interessante, mio
padre venne arrestato ma non fu riconosciuto, aveva documenti falsi e dopo
qualche settimana, assieme ad altri, fu rilasciato. Aveva rischiato di finire
nel carcere nazista di Via Tasso dove sarebbe stato sicuramente torturato e
ucciso.
Il 22 gennaio 1944 gli Alleati sbarcarono ad Anzio, tutti si aspettavano
una rapida liberazione di Roma e, conseguentemente, anche dell’Alto Lazio. Suo
padre ha lasciato una qualche memoria di quei mesi di attesa, ha avuto rapporti
con l’Office of Strategic Services (OSS), il servizio segreto militare
americano? No, non credo. Non ne sono a conoscenza. Ha partecipato alla vita politica del
dopoguerra? Ripeto, mio padre aveva le sue idee
politiche ma non parlava di politica ne è rimasto sempre fuori, lui era ed è rimasto fino
all’ultimo un uomo d’azione. A
Fernando Barbaranelli chiedo di tratteggiarmi il profilo, il carattere di suo
padre, quando ha costituito la banda e dove questa ha operato. Posso dire qualcosa ma per il resto
anch'io ho lo stesso problema di Massimo, non avevo l'età per ricordare gli
episodi di allora. La vicenda di mio padre è un pò singolare, perché mio padre
era figlio di un commerciante, un benestante in verità. Era un borghese, era
uno della borghesia cittadina. E mio nonno era un fascista, iscritto al partito
fascista. Mio padre era un'anomalia, nella sostanza, rispetto al nucleo
familiare. Non era un fascista praticante, voglio dire, era uno che aderiva per ragioni di
opportunità, come facevano tutti, al partito fascista. Quindi questa cosa di
mio padre generava anche uno stato di sofferenza nella famiglia. Era un
intellettuale nel senso che si occupava di letteratura, scriveva sui giornali,
anche sui giornali futuristi, tra l’altro io ho letto anche le sue poesie sui
giornali futuristi, quindi, deve aver avuto anche un periodo di simpatia per
Marinetti. Ma un periodo molto breve da quello che so e da quello che leggo, da
quello che ho letto. Per il resto scriveva prevalentemente poesie in vernacolo
sulla rivista in dialetto romanesco Rugantino, era un personaggio così.
Viveva, questo mi risultava certamente, viveva i problemi dell'epoca e
soprattutto della città di Civitavecchia, una città che ha avuto una forte
connotazione anarchica, una città portuale, in genere le città portuali hanno
questo particolare. Parliamo di una città che ha avuto una quantità di Arditi
del Popolo assolutamente al di sopra della media nazionale; qui c’è stato un
nucleo di resistenza fortissimo al fascismo. Quando cade Civitavecchia con la
marcia su Roma, si diceva è caduta la rossa Civitavecchia, il giorno dopo i
fascisti non sono entrati qui, hanno avuto serie difficoltà. Civitavecchia è
una città era una città fortemente antifascista, ahimè non lo è più, i rapporti
di forza si sono capovolti. Civitavecchia è però una città anarchica,
fortemente ribelle, la ribelle anarchica Civitavecchia, così veniva definita.
Mio padre risente molto dell'epoca, ma anche il padre di Massimo Maroncelli
risentiva di quest'epoca ed erano cresciuti in ambienti anarchici, in ambienti
che non accettavano le regole. Adesso, per dirne una, ricordo che non si
potevano portare le basette lunghe, mio padre, siccome era vietato, aveva le
basette lunghe, che tra l’altro le detestava, prendendosi pure delle botte. C'è
un episodio che ha riguardato i nostri due genitori, che Massimo probabilmente
ricorderà dai racconti familiari. Loro non volevano andare assolutamente a fare
la guerra fascista, questo non si potrà raccontare probabilmente, non lo so,
valutate voi, il sistema che trovarono per non fare la guerra fu un sistema che
a me ancora oggi mi dà i brividi. Il padre diede una mazzata sull'alluce del
piede di mio padre. Mio padre aveva un alluce schiacciato dalla mazzata che il
suo migliore amico, il padre di Massimo [Ezio Maroncelli], gli diede per non
andare a fare la guerra fascista. Ezio Maroncelli fece in quei tempi un'altra
cosa allucinante per non andare in guerra, si levò i denti con delle tenaglie.
Siamo a livelli che oggi sono impensabili. Attenzione, era un atto di coraggio
superiore a quello di andare a fare la guerra, solo che la guerra fascista non
si doveva fare perché in loro c'era questo assoluto ripudio della guerra e
soprattutto del fascismo. Quindi è un ambiente la cui conoscenza serve per
capire figure così diverse e così legate affettivamente. Io ancora oggi, anche
se con Massimo non ci vediamo mai, quando lo vedo sono felice perché è tutto un
mondo che mi si ripropone. I nostri genitori, nei confronti dei
fascisti, avevano un atteggiamento di sfida, con tutti i rischi che ciò
comportava. Si sono rifiutati di andare in guerra, hanno fatto la guerra
partigiana ancora più rischiosa, hanno fatto una scelta politica. Mio padre
alla passione politica ha affiancato per tutta la vita quella per la
archeologia e la poesia attraverso la quale esprimeva anche il suo impegno
civile. C’è un sonetto, il saluto, che io trovo molto divertente, in cui
mio padre dice: “incontrarla signore, togliermi il cappello mi sembra un
atto quasi di sudditanza”, scrive di tutta una serie di saluti che non gli
andava di fare perché ledevano la sua personale dignità. Arriva al saluto
fascista, naturalmente schifato dal farlo, e dice, in versi e in metrica,
perché lui non saluta mai nessuno. Insomma, ti dà proprio la percezione di
quell'atteggiamento anarchico, per cui lì c'è l'eccessivo sussiego, lì c'è un
atto quasi di subalternità, lì c'è un elemento di compromissione per cui la
soluzione, in buona sostanza, è me ne frego di tutto e non saluto nessuno.
Questo sonetto ti dà proprio il senso, il segno di quell’atteggiamento ribelle,
non saprei definirlo in modo diverso; io ho vissuto da ragazzino sulle gambe di
questi personaggi, che per me sono mitici, del padre di Massimo Maroncelli,
personaggi che sono rimasti in questa immaginazione nella nostra narrazione.
Quando uno parla di ribelle, dà sempre una connotazione negativa, il ribellismo
degli Arditi del Popolo era un'altra cosa, non può avere un'accezione negativa.
A Civitavecchia, abbiamo avuto qualche centinaio di Arditi del Popolo, i nostri
genitori erano troppo giovani per stare tra questi ma il clima, l'ambiente in
cui si formarono era quello. La famiglia di mio padre, di origini viterbesi,
mio nonno viene dal Viterbese, sfollò a Bieda (oggi Blera) verso la metà del mese
di settembre 1943. Qui mio padre costituì la banda, di cui fu comandante
militare ed al tempo stesso commissario politico, articolata in squadre
costituite unicamente da civitavecchiesi ed altre da biedani, complessivamente
59 partigiani, tutti registrati nell'anagrafe dei partigiani, e 71 patrioti e collaboratori, fra cui quattro donne.
Essa operò nell’area compresa tra Bieda, Vetralla, La Cura, Veiano,
Barbarano Romano e Civitella Cesi; politicamente era alle dipendenze del
Comando zona di Viterbo del Partito Comunista Italiano, attraverso il quale
venivano inviate informazioni di carattere militare agli Alleati. Mio
padre fu il primo sindaco, nominato dagli americani, di Bieda all’indomani
della liberazione.
Al
termine dell’incontro, Massimo Maroncelli mi ha consegnato una sommaria
biografia del padre, [riportata in All. 2 al presente articolo], che
costituisce un ulteriore contributo storico alla conoscenza del capo
partigiano.
All.1
Motivazione
Medaglia d’Argento al ValoR Militare
MARONCELLI Ezio,
nato il 31 agosto 1910 a Civitavecchia.
“Fervente patriota e perseguitato
politico dal regime fascista, fu nell’Alto Lazio, subito dopo l’armistizio
l’intelligente organizzatore di una bellicosa formazione partigiana che guidò
con valore e capacità in numerosi combattimenti ed azioni di sabotaggio,
ignorando rischi e superando enormi difficoltà.
Prima dell’arrivo delle forze alleate nella
zona, alla testa della sua formazione, affrontava in aspro combattimento forze
preponderanti nemiche in ripiegamento, causando ad esse gravi perdite in uomini
e mezzi.
Fulgido esempio di audace combattente e di
deciso assertore dei supremi ideali di Libertà e di Giustizia.
Zona di Civitavecchia, 8 settembre 1943 – 7
giugno 1944.”
[1]
La storia della Compagnia
portuale, in https://cpcivitavecchia.it/lastoria/compagniaportuale, (URL consultato il 31 luglio
2024).
[2]
La storia della Compagnia
portuale, in https://cpcivitavecchia.it/lastoria/compagniaportuale, (URL consultato il 31 luglio
2024).
[3]
I primi bombardamenti sulle
città italiane iniziarono l’11 giugno 1940, il giorno dopo la dichiarazione di
guerra.
[4]
Galiani C., Anatomia di due
bande, Spazioliberoblog, 2019, p. 16.
[5]Fresi
S., Bombardamento di Civitavecchia 14
maggio 1943 - 12 giugno 1944, in http://www.arsbellica.it/pagine/battaglie_in_sintesi/Civitavecchia-1943-1944.html (URL consultato l’11 luglio 2024).
[6]
Galiani C., Op. cit.,
p. 14.
[7]
Galiani C., Op. cit.,
p. 18.
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