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domenica 4 maggio 2025

La Resistenza nell’Alto Lazio: le bande Barbaranelli e Maroncelli. Intervista ai figli dei due comandanti partigiani

 APPROFONDIMENTI


Osvaldo Biribicchi

 

Dopo l’8 settembre 1943 nell’Alto Lazio hanno operato per circa nove mesi numerose bande partigiane, dalle diverse connotazioni politiche, tutte unite dal comune intento di porre fine all’oppressione nazifascista ed al tempo stesso aiutare gli Alleati nella loro lenta avanzata verso il Nord Italia. Oggetto del presente articolo sono due formazioni partigiane al comando di Fernando Barbaranelli ed Ezio Maroncelli che hanno operato nell’Alto Lazio, in particolare, la Barbarenelli nell’area di Bieda (oggi Blera), la Maroncelli nella zona di Civitavecchia e sui monti della Tolfa al confine con la Tuscia. I comandanti delle due formazioni, essendo legati da profonda e fraterna amicizia (entrambi civitavecchiesi), collaborarono in modo talmente stretto da scambiarsi frequentemente i propri uomini, a seconda del tipo di operazioni da compiere, al punto che risultava talvolta difficile capire questi a quale delle due formazioni appartenessero. Gli uomini e le donne di queste due bande erano l’espressione di un tessuto sociale costituito in gran parte da portuali, caratterizzati da una lunga storia di dure lotte per la conquista di migliori condizioni di lavoro[1], e operai, tutti tradizionalmente insofferenti al potere costituito. Questa insofferenza era andata accentuandosi all’indomani della fine della Grande Guerra allorché l’inflazione e la crescita vorticosa dei prezzi dei generi di prima necessità diedero origine a ripetute veementi proteste della popolazione a cui si accompagnarono e sovrapposero, a partire dal 1921, gravi episodi di violenza fisica tra portuali e operai da una parte e fascisti dall’altra. In questo scenario, fecero la loro comparsa gli Arditi del Popolo, una formazione paramilitare composta da ex arditi attratti dal movimento futurista di Marinetti e dalla Carta del Carnaro promulgata nella Fiume di Gabriele D’Annunzio. Negli Arditi del Popolo, che si dissociarono dal movimento fascista, confluirono elementi di estrazione socialcomunista ed anarchica. L’avvento del fascismo non migliorò le aspettative dei lavoratori portuali, di quelli dell’indotto dei traffici marittimi e della classe operaia in generale. «La politica nazionalistica della dittatura fascista, applicata in quegli anni a tutti i settori dell’economia italiana, non risparmiò il settore portuale, causando una netta contrazione del volume dei traffici legati alle importazioni dall’estero. Dal 1932 al 1935 si ebbe addirittura un decremento percentuale annuo dei traffici all’interno del porto di Civitavecchia superiore al 30% Un periodo, quello precedente alla II Guerra Mondiale, di grandi incertezze e difficoltà per i lavoratori portuali che vedevano drasticamente ridotti la stabilità del proprio lavoro (con punte intense di traffico alterne a lunghi periodi di semi inattività) e la libertà di lottare per difendere i propri diritti»[2]. La guerra, dichiarata da Mussolini alla Francia e alla Gran Bretagna il 10 giugno 1940, non fece che aggravare la situazione. La popolazione, consapevole che il porto di Civitavecchia costituiva un importante obiettivo per il nemico, cominciò ad avere paura[3] e, a partire dai primi mesi del 1943, iniziò a manifestare il proprio nervosismo con episodi di aperta contestazione contro il regime. Nella fabbrica di prodotti chimici di Aurelia, una frazione di Civitavecchia, comparvero scritte antifasciste. La polizia intensificò i controlli: «Un documento della Questura del 2 marzo 1943 elenca 55 elementi sovversivi residenti in città. Si tratta per lo più di nomi arcinoti alla Polizia, persone sorvegliate da decenni, quasi tutti ammoniti, molti ex-confinati. […] Nella lista compaiono però anche nomi nuovi, come Fernando Barbarenelli […] che dimostrano l’ingresso in campo di una nuova leva. È un movimento che in parte sfugge al controllo delle forze dell’ordine. In seguito a varie perquisizioni si procede al fermo di 19 persone, tra cui molte non comprese nel precedente elenco. Tra i nuovi figurano Ezio Maroncelli […]»[4]. Le cause del malcontento erano chiaramente riconducibili alle sconfitte militari in Russia, alla perdita dell’Africa settentrionale, alla miseria cresciuta rapidamente in due anni e mezzo di guerra. Purtroppo per i civitavecchiesi, il momento tanto temuto arrivò il 14 maggio 1943 quando la città subì il primo di una lunga tragica serie di bombardamenti che la distrussero quasi completamente costringendo la popolazione a sfollare nei paesi vicini. «Le punte massime distruttive furono raggiunte tra il 30 maggio ed il 4 ottobre 1943. Civitavecchia venne distrutta quasi al 95%»[5].     Le bande Barbaranelli e Maroncelli, pertanto, a dimostrazione della tenacia e risolutezza dei propri capi, si formarono in condizioni estremamente difficili, fuori dalla propria città distrutta, reclutando partigiani tra gli sfollati, tra gli abitanti dei paesi in cui la popolazione di Civitavecchia aveva trovato accoglienza, tra i soldati sbandati dopo l’armistizio e tra gli ex prigionieri anglo-americani. Queste bande, quindi, presentarono dei tratti distintivi diversi da quelle del Nord Italia. Al riguardo, è di sicuro aiuto l’analisi fatta da Mario Leporatti inviato dal Partito Comunista, agli inizi del 1944, ad ispezionare le formazioni partigiane garibaldine dell’Alto Lazio. Una parte della sua relazione, dedicata ai partigiani di Civitavecchia, tratteggia con precisione il tessuto economico e sociale in cui sono nate le bande in questione: «Per quanto riguarda la composizione sociale di Civitavecchia, c'è da tenere presente che essa è una città oltre che marittima, anche industriale. L'elemento operaio qui si affianca all'elemento marittimo e tutti e due prestano ampio campo allo sviluppo della nostra propaganda, del nostro lavoro e della nostra lotta. Civitavecchia, vanta una tradizione nostra molto notevole, tenendo conto che essa è una città dell'Italia centrale, in essa il Partito conta dei compagni già da lungo tempo, questo fatto facilita naturalmente l'opera di riorganizzazione e di attivazione di tutta la zona; buoni elementi sono anche nella provincia tra i contadini. L'effetto dei bombardamenti, se ha portato allo sfollamento della città, e quindi alla dispersione e allo sparpagliamento di tanti compagni, ha prodotto d'altra parte qualche cosa di buono, nel senso che ha costretto gli elementi migliori e più decisi a stare insieme proprio per poter provvedere tutti uniti alle necessità della vita quotidiana: si è infatti costituito un gruppo di giovani elementi che trasportatisi in provincia, dopo aver vissuto qualche tempo alla macchia, in accampamento, con il progredire dell'inverno si è sistemato tutto nei paesetti di Allumiere e Tolfa»[6]. Le bande, dunque, iniziano ad aggregarsi dopo il primo bombardamento degli Alleati ed andranno via via organizzandosi «fuori del loro ambiente naturale (le fabbriche, il porto, i luoghi di lavoro) e questo condiziona la loro natura e la loro capacità operativa. Dispersa la base sociale, l'azione militare perde l'apporto della ribellione operaia, che nel Nord, con i grandi scioperi e l'azione rivendicativa, farà della Resistenza un fenomeno di massa, rafforzando il senso politico della lotta. Unico esempio noto di resistenza operaia a Civitavecchia è quello delle maestranze della Società Prodotti Chimici Nazionali di Aurelia, che scampata ai bombardamenti ha deciso di intensificare la produzione per la riparazione dei mezzi e delle armi dell'esercito tedesco. Gli operai rallentano la produzione e ricorrono al sabotaggio, provocando incidenti, quando arriva l'ordine di smontare e trasferire al Nord i macchinari»[7].                                                                                                                           Questa breve premessa per inquadrare l’intervista che, grazie ai buoni uffici del presidente dell’ANPI di Civitavecchia, Gianfranco Gargiullo, il 3 giugno 2024 ho avuto la possibilità di fare ai figli dei due comandanti partigiani: Fabrizio Barbaranelli e Massimo Maroncelli, come i genitori amici fraterni.                                                                                                                                                                              Le memorie, gli aneddoti legati ai due personaggi civitavecchiesi ed al periodo che ha preceduto e accompagnato la nascita della Resistenza nell’Alto Lazio hanno costituito il filo conduttore di una interessantissima conversazione che ha consentito di fissare il contesto politico, sociale e culturale in cui sono nate le due bande partigiane nonché la personalità dei due capi partigiani.                                                                                                                                                                               

Massimo Maroncelli, chi era suo padre?                                                                                                                 Mio padre era un muratore, nell’aprile del 1943 fu incarcerato per antifascismo militante ed incarcerato a Regina Coeli da dove fu rilasciato il 16 agosto 1943. Io non ho testimonianze dirette della sua esperienza partigiana perché sono nato nel 1945 e poi papà non parlava molto di quel periodo tragico. Quando gli è stata conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare, nel 1975, [All.1] lui non è andato a ritirarla. Siamo andati, alla Scuola di Guerra, io e mia sorella. Mio padre si limitò a dire «se è vero che ho fatto quello che ho fatto, dopo 30 anni, male non ci è andata». Mio padre, dopo la guerra, non si è mai interessato di politica, Fabrizio Barbaranelli poi lo sa benissimo, e quindi ho pochi ricordi sotto questo punto di vista.

Quando fu costituita la banda Maroncelli, dove ha operato, da quanti partigiani era formata?

La prima azione militare fu compiuta nel mese di settembre 1943 allorché due operai della Società Romana di Elettricità, prima di lasciare Civitavecchia per unirsi alla banda, fecero saltare una cabina elettrica. A settembre, dunque, la banda era già operativa ed in grado di procurarsi armi, fare atti di sabotaggio a linee e mezzi dei tedeschi. Ma la banda Maroncelli, così come la Barbaranelli, non è nata l’8 settembre 1943 bensì molto tempo prima sotto il profilo politico, come evidenzia Massimo Maroncelli, ed affonda le sue radici in quel complesso substrato sociale tipico di tutte le città portuali. La banda, dal punto di vista militare, fu costituita subito dopo l’8 settembre 1943 ed operò nell’area di Civitavecchia, Allumiere, Tolfa ai confini con la Tuscia. Era composta da un centinaio di persone, al nucleo iniziale si aggiunsero numerosi militari sbandati. In particolare, 74 partigiani combattenti e 184 patrioti con compiti di supporto. Nella banda furono attive anche quattro donne,    una partigiana combattente e tre patriote.                                                                                        A quale partito del Comitato di Liberazione Nazionale faceva riferimento la banda. Da chi prendevano ordini, disposizioni?                                                                                                                                          La banda era sostanzialmente vicina al Partito Comunista Italiano ma vi erano al suo interno anche partigiani di altra estrazione politica. Mio padre aveva contatti con Roma, poi c'era un certo Murra, che era il presidente dei partigiani, vicino al Partito Comunista, prendevano ordini, disposizioni da Roma, dal CNL.                                                                  Chi li finanziava, come si coordinavano con le altre bande dell’area?                                                       Non ho mai sentito parlare dei finanziamenti. Il coordinamento avveniva tramite il Fronte Clandestino Militare del colonnello Montezemolo poi ucciso alle Fosse Ardeatine. C’è un fatto interessante, mio padre venne arrestato ma non fu riconosciuto, aveva documenti falsi e dopo qualche settimana, assieme ad altri, fu rilasciato. Aveva rischiato di finire nel carcere nazista di Via Tasso dove sarebbe stato sicuramente torturato e ucciso.                 

Il 22 gennaio 1944 gli Alleati sbarcarono ad Anzio, tutti si aspettavano una rapida liberazione di Roma e, conseguentemente, anche dell’Alto Lazio. Suo padre ha lasciato una qualche memoria di quei mesi di attesa, ha avuto rapporti con l’Office of Strategic Services (OSS), il servizio segreto militare americano?                                                                                                                     No, non credo. Non ne sono a conoscenza.                                                                                                                   Ha partecipato alla vita politica del dopoguerra?                                                                              Ripeto, mio padre aveva le sue idee politiche ma non parlava di politica ne è rimasto sempre fuori, lui era ed è rimasto fino all’ultimo un uomo d’azione.                                                                                             A Fernando Barbaranelli chiedo di tratteggiarmi il profilo, il carattere di suo padre, quando ha costituito la banda e dove questa ha operato.                                                                                                       Posso dire qualcosa ma per il resto anch'io ho lo stesso problema di Massimo, non avevo l'età per ricordare gli episodi di allora. La vicenda di mio padre è un pò singolare, perché mio padre era figlio di un commerciante, un benestante in verità. Era un borghese, era uno della borghesia cittadina. E mio nonno era un fascista, iscritto al partito fascista. Mio padre era un'anomalia, nella sostanza, rispetto al nucleo familiare. Non era un fascista praticante, voglio dire, era uno che aderiva per ragioni di opportunità, come facevano tutti, al partito fascista. Quindi questa cosa di mio padre generava anche uno stato di sofferenza nella famiglia. Era un intellettuale nel senso che si occupava di letteratura, scriveva sui giornali, anche sui giornali futuristi, tra l’altro io ho letto anche le sue poesie sui giornali futuristi, quindi, deve aver avuto anche un periodo di simpatia per Marinetti. Ma un periodo molto breve da quello che so e da quello che leggo, da quello che ho letto. Per il resto scriveva prevalentemente poesie in vernacolo sulla rivista in dialetto romanesco Rugantino, era un personaggio così. Viveva, questo mi risultava certamente, viveva i problemi dell'epoca e soprattutto della città di Civitavecchia, una città che ha avuto una forte connotazione anarchica, una città portuale, in genere le città portuali hanno questo particolare. Parliamo di una città che ha avuto una quantità di Arditi del Popolo assolutamente al di sopra della media nazionale; qui c’è stato un nucleo di resistenza fortissimo al fascismo. Quando cade Civitavecchia con la marcia su Roma, si diceva è caduta la rossa Civitavecchia, il giorno dopo i fascisti non sono entrati qui, hanno avuto serie difficoltà. Civitavecchia è una città era una città fortemente antifascista, ahimè non lo è più, i rapporti di forza si sono capovolti. Civitavecchia è però una città anarchica, fortemente ribelle, la ribelle anarchica Civitavecchia, così veniva definita. Mio padre risente molto dell'epoca, ma anche il padre di Massimo Maroncelli risentiva di quest'epoca ed erano cresciuti in ambienti anarchici, in ambienti che non accettavano le regole. Adesso, per dirne una, ricordo che non si potevano portare le basette lunghe, mio padre, siccome era vietato, aveva le basette lunghe, che tra l’altro le detestava, prendendosi pure delle botte. C'è un episodio che ha riguardato i nostri due genitori, che Massimo probabilmente ricorderà dai racconti familiari. Loro non volevano andare assolutamente a fare la guerra fascista, questo non si potrà raccontare probabilmente, non lo so, valutate voi, il sistema che trovarono per non fare la guerra fu un sistema che a me ancora oggi mi dà i brividi. Il padre diede una mazzata sull'alluce del piede di mio padre. Mio padre aveva un alluce schiacciato dalla mazzata che il suo migliore amico, il padre di Massimo [Ezio Maroncelli], gli diede per non andare a fare la guerra fascista. Ezio Maroncelli fece in quei tempi un'altra cosa allucinante per non andare in guerra, si levò i denti con delle tenaglie. Siamo a livelli che oggi sono impensabili. Attenzione, era un atto di coraggio superiore a quello di andare a fare la guerra, solo che la guerra fascista non si doveva fare perché in loro c'era questo assoluto ripudio della guerra e soprattutto del fascismo. Quindi è un ambiente la cui conoscenza serve per capire figure così diverse e così legate affettivamente. Io ancora oggi, anche se con Massimo non ci vediamo mai, quando lo vedo sono felice perché è tutto un mondo che mi si ripropone.                                                          I nostri genitori, nei confronti dei fascisti, avevano un atteggiamento di sfida, con tutti i rischi che ciò comportava. Si sono rifiutati di andare in guerra, hanno fatto la guerra partigiana ancora più rischiosa, hanno fatto una scelta politica. Mio padre alla passione politica ha affiancato per tutta la vita quella per la archeologia e la poesia attraverso la quale esprimeva anche il suo impegno civile. C’è un sonetto, il saluto, che io trovo molto divertente, in cui mio padre dice: “incontrarla signore, togliermi il cappello mi sembra un atto quasi di sudditanza”, scrive di tutta una serie di saluti che non gli andava di fare perché ledevano la sua personale dignità. Arriva al saluto fascista, naturalmente schifato dal farlo, e dice, in versi e in metrica, perché lui non saluta mai nessuno. Insomma, ti dà proprio la percezione di quell'atteggiamento anarchico, per cui lì c'è l'eccessivo sussiego, lì c'è un atto quasi di subalternità, lì c'è un elemento di compromissione per cui la soluzione, in buona sostanza, è me ne frego di tutto e non saluto nessuno. Questo sonetto ti dà proprio il senso, il segno di quell’atteggiamento ribelle, non saprei definirlo in modo diverso; io ho vissuto da ragazzino sulle gambe di questi personaggi, che per me sono mitici, del padre di Massimo Maroncelli, personaggi che sono rimasti in questa immaginazione nella nostra narrazione. Quando uno parla di ribelle, dà sempre una connotazione negativa, il ribellismo degli Arditi del Popolo era un'altra cosa, non può avere un'accezione negativa. A Civitavecchia, abbiamo avuto qualche centinaio di Arditi del Popolo, i nostri genitori erano troppo giovani per stare tra questi ma il clima, l'ambiente in cui si formarono era quello. La famiglia di mio padre, di origini viterbesi, mio nonno viene dal Viterbese, sfollò a Bieda (oggi Blera) verso la metà del mese di settembre 1943. Qui mio padre costituì la banda, di cui fu comandante militare ed al tempo stesso commissario politico, articolata in squadre costituite unicamente da civitavecchiesi ed altre da biedani, complessivamente 59 partigiani, tutti registrati nell'anagrafe dei partigiani, e 71 patrioti e collaboratori, fra cui quattro donne. Essa operò nell’area compresa tra Bieda, Vetralla, La Cura, Veiano, Barbarano Romano e Civitella Cesi; politicamente era alle dipendenze del Comando zona di Viterbo del Partito Comunista Italiano, attraverso il quale venivano inviate informazioni di carattere militare agli Alleati. Mio padre fu il primo sindaco, nominato dagli americani, di Bieda all’indomani della liberazione.

Al termine dell’incontro, Massimo Maroncelli mi ha consegnato una sommaria biografia del padre, [riportata in All. 2 al presente articolo], che costituisce un ulteriore contributo storico alla conoscenza del capo partigiano.

 

All.1

 

Motivazione Medaglia d’Argento al ValoR Militare

 

 

MARONCELLI Ezio, nato il 31 agosto 1910 a Civitavecchia.

 

    Fervente patriota e perseguitato politico dal regime fascista, fu nell’Alto Lazio, subito dopo l’armistizio l’intelligente organizzatore di una bellicosa formazione partigiana che guidò con valore e capacità in numerosi combattimenti ed azioni di sabotaggio, ignorando rischi e superando enormi difficoltà.

    Prima dell’arrivo delle forze alleate nella zona, alla testa della sua formazione, affrontava in aspro combattimento forze preponderanti nemiche in ripiegamento, causando ad esse gravi perdite in uomini e mezzi.

    Fulgido esempio di audace combattente e di deciso assertore dei supremi ideali di Libertà e di Giustizia.

    Zona di Civitavecchia, 8 settembre 1943 – 7 giugno 1944.”

 

 



[1] La storia della Compagnia portuale, in https://cpcivitavecchia.it/lastoria/compagniaportuale, (URL consultato il 31 luglio 2024).

[2] La storia della Compagnia portuale, in https://cpcivitavecchia.it/lastoria/compagniaportuale, (URL consultato il 31 luglio 2024).

 

[3] I primi bombardamenti sulle città italiane iniziarono l’11 giugno 1940, il giorno dopo la dichiarazione di guerra.

[4] Galiani C., Anatomia di due bande, Spazioliberoblog, 2019, p. 16.

 

[5]Fresi S., Bombardamento di Civitavecchia 14 maggio 1943 - 12 giugno 1944, in http://www.arsbellica.it/pagine/battaglie_in_sintesi/Civitavecchia-1943-1944.html (URL consultato l’11 luglio 2024).

 

[6] Galiani C., Op. cit., p. 14.

[7] Galiani C., Op. cit., p. 18.

 


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