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venerdì 30 maggio 2025

Editoriale Maggio 2025. Geometria Variabile e Livello di Ambizione

 


  Il mese di maggio che si sta per concludere ha visto il consolidarsi della iniziativa riguardante il Canale You Tube CESVAM Istituto del Nastro Azzurro. La Presenza è discreta, siamo per i contatti sull'ordine delle decine, mentre gli iscritti  sono una cinquantina. La macchina c'è, è stata messa in moto ma  cammina a passo d'uomo. Questo secondo le previsioni. Previsioni che sono in linea con i presupposti. Lo scorso numero abbiamo focalizzato il concetto di "geometria variabile". Ora stiamo definendo, il concetto ad esso susseguente, ovvero il livello di ambizione.

 Un tema ampiamente dibattuto durante il congresso dello scorso 26 marzo 2025, in cui si sono definiti i profili.  Da un punto di vista pratico si dovrebbe, per completare le discussioni definire una scala del livello di ambizione. Su questa scala agganciare il predetto il concetto di "geometra variabile". Il risultato determina il presupposto delle aspettative che si possono avere in merito ad una determinata iniziativa.

Ad esempio se, in base alla applicazione del concetto di geometria variabile si hanno riscontri che il tema della iniziativa è refrattario a chi lo si propone, ed il livello di ambizione dei soggetti a cui l'iniziativa è rivolta molto basso, la combinazione tra i due parametri da risultati valoriali sarà molto vicino, in una scala da 1 a 10, verso i valori minimi. Quindi le aspettative che si devono avere per l'iniziativa devono essere molto basse; questo sempre se si vuole intraprenderla; di fronte a questi valori è consigliabile non intraprenderla affatto, evitando quindi impiego delle risorse sia di tempo che materiali in quanto i risultati saranno sicuramente deludenti. 

Questo approccio può essere utile sia per l'impiego del tempo sia per l'impiego delle risorse; potrebbe anche essere utile per evitare delusioni e quant'altro, ed evitare anche di venire in contatto con persone ed ambienti che sono oltre la collina su versanti che sia per scelta che per portato tradizionale non si sono mai presi in esame o tantomeno frequentati andare in contro a delusioni ni, contrasti e turbolenze varie che non rendo la qualità della vita degna di nota.

Il CESVAM sta mettendo a punto questa combinazione tra "geometria variale " e "livello di ambizione" : I primi risultati sperimentali sembra stiano dando dei nuoni frutti

massimo coltrinari, direttore


giovedì 29 maggio 2025

Copertina Maggio 2025





QUADERNI ON LINE

Medaglia a Ricordo del I° Centenario dell'Unità d'Italia


                                                Anno LXXXVI, Supplemento on line, V, 2025, n. 111

                                                                               MAGGIO  2025

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canale you tube: istituto nastro azzurro - cesvam
 

mercoledì 28 maggio 2025

L'incontro di Teano attraverso le relazioni dei presenti

 DIBATTITI

 


Prof. Sergio Benedetto Sabetta

 

            Appoggiate alle fortificazioni di Capua e di Gaeta le truppe borboniche controllavano il territorio tra queste due città, le truppe piemontesi costituite dal IV Corpo d’Armata, al comando del gen. Cialdini, e dal V Corpo d’Armata, al comando del gen. Della Rocca, provenienti dall’Abruzzo per la strada di Venafro si accamparono il giorno 5 ad ovest di Presenzano il IV Corpo e ad est di Presenzano il V Corpo

Il Re Vittorio Emanuele pernottò a Presenzano nel Palazzo Del Balzo.

Il mattino del 25 le truppe garibaldine passarono il Volturno su un ponte  improvvisato tra S. Angelo in Formus e Triflisco, erano costituite dalle brigate “Eber” e “Milano”, oltre da una aliquota della divisione “Bixio” e da una della divisione “Medici”, quest’ultima disposta a guardia per una eventuale sortita borbonica da Capua.

Le colonne garibaldine si diressero a Zuni dove vi giunsero verso mezzogiorno, dopo una sosta di circa tre ore proseguirono fino a Caianello e qui si accamparono per la notte tra il bosco e la strada, una dislocazione che permetteva di proteggere l’esercito piemontese da sorprese provenienti dal sud.

Una relazione molto particolareggiata della marcia dei garibaldini è quella del garibaldino Alberto Mario il quale così precisa la marcia dal sud “Noi, percorrendo attraverso i campi e sui primi abbozzi di una via ferrata l’ipotenusa del gomito descritto dalla strada, ci arrestammo ad un bivio per attendervi Garibaldi. Proveniente da Venafro sfilava verso Teano l’esercito settentrionale, e la banda di ciascun reggimento, dipartendosi dalla testa di colonna,  sostava da lato a rallegrarne il passaggio con musiche marziali; quindi le si ricongiungeva alla coda.

Il sito d’intersezione delle due strade era abbastanza capace, e l’adornavano una casa rustica e una dozzina di pioppi. Terreni arati all’intorno e radi alberi e viti ingiallite dall’autunno cadente; pianura uniforme e uggiosa.

Non tardò a giungere Garibaldi: scese di sella, si pose sul davanti a guardare la truppa con lieta pupilla”.

L’incontro deve essere avvenuto verso le otto del mattino, Vittorio Emanuele in divisa da generale, Garibaldi coperto con un mantello bigio, seguivano il re i generali Fanti, D’Angrogna e Solaroli, aiutanti di campo, oltre al colonnello d’artiglieria Genova di Revel.

Con Garibaldi vi erano Giuseppe Missori, Alberto Mario, Abba e Achille Fazzari, Stefano Canzio, Cariolato, Carissimi e Mosto, non erano presenti Medici, rimasto presso Capua, Turr, rimasto a Napoli, e Bixio, caduto da cavallo presso il Volturno con frattura alla gamba.

La tradizione aulica vuole che Garibaldi abbia gridato “Saluto il primo Re d’ Italia!” , e che Vittorio Emanuele abbia risposto “Saluto il mio migliore amico!”.

Le narrazioni dei presenti hanno versioni alquanto differenti, il garibaldino Missori afferma “Rivedo Garibaldi togliersi il berretto e ne riodo le precise parole pronunciate a voce sonora: Saluto il Primo Re d’Italia!, Garibaldi, stretta la mano al Re, gli si pose poi a fianco e lo accompagnò, discorrendo, per un tratto verso Teano”, lo stesso riferisce il Carandini nella “Vita del Generale Fanti”.

Differente è il racconto dell’incontro riferito dal Solaroli “In questo frattempo giunse il Re, Garibaldi fece mettere in battaglia i pochi che aveva con lui e si mise a gridare “Viva il Re d’Italia!” ed i suoi lo stesso, ma vi si vedeva in viso che era molto commosso, e l’espressione era cupa. Il Re gli tese la mano, e gli disse con emozione “Come và Generale?” lui rispose “Bene” e seguitò il Re fino a Teano. Quivi il Re prese la diritta della colonna che era in marcia, e Garibaldi la sinistra, e disse che ritornava a prendere i suoi, che erano 3.000 in circa, che stavano accampati dietro Caianello”.

Una narrazione più particolareggiata e accesa di spirito repubblicano è quella del garibaldino Alberto Mario “Della Rocca, generale d’armata, che gli accostò cortesemente. Alcuni ufficiali salutavano  con visi sfavillanti; la più parte, fatto il saluto prescritto dal regolamento, procedeva oltre, inconsapevole o indifferente che il salutato fosse il liberatore delle Sicilie; sarebbesi detto in quel cambio, se lice una induzione dalla fisonomia che eglino fossero i liberatori, e Garibaldi il liberato. Quando improvvisamente una botta di tamburi troncò le musiche e s’intese la marcia reale.

“Il Re!” disse Della Rocca.

“il Re! Il Re!” ripeterono 100 bocche.  E invero una frotta di carabinieri reali a cavallo, guardia del corpo, armati di spada, di pollici e di manette, annunziò la presenza del monarca sardo.

Il Re, coll’assisa di generale in berretto, montava un cavallo arabo storno, e lo seguiva un codazzo di generali, di ciambellani, di servitori; Fanti, ministro della guerra, e Farini, viceré di Napoli in pectore, tutta gente avversa a Garibaldi, a codesto plebeo, donatore di regni.

Di sotto al cappellino, Garibaldi s’era acconciato il fazzoletto di seta, annodandoselo al mento per proteggere le orecchie e le tempie dalla mattutina umidità. All’arrivo del Re, cavatosi il cappellino rimase il fazzoletto. Il Re gli stese la mano dicendo “Oh! Vi saluto mio caro Garibaldi, come state?”.

E Garibaldi “Bene, Maestà, e lei?”

E il Re “Benone!”.

Garibaldi, alzando la voce  e girando gl occhi come chi parla alle turbe, gridò “Ecco il Re d’Italia!”. E i circostanti “Viva il Re!”.

Vittorio Emanuele, trattosi in disparte pel libero transito delle truppe, si intrattenne qualche tempo a colloquio con il generale.

Indi si mosse.

Garibaldi gli cavalcava alla sinistra, e a 20 passi di distanza il quartier generale garibaldino alla rinfusa col sardo. Ma a poco a poco le due parti si separarono, respinta ciascuna al proprio centro di gravità; in una riga le umili camice rosse, nell’altra parallela le superbe assise lucenti d’oro, d’argento, di croci e di gran cordoni.

In tanto strepito d’armi e corruscare di spallini e ondeggiare di cinieri, i contadini accorrevano attoniti ad acclamare Garibaldi. Dei due che procedevano, ignorando quale ei fosse, posero con certezza gli occhi sul più bello. Garibaldi procacciava di deviare quegli applausi sul Re, e, trattenuto d’un passo il cavallo, inculcava loro con molta intensità di espressione:

“Ecco Vittorio Emanuele, il Re, il nostro Re, il Re d’Italia: viva lui!”

I paesani tacevano e ascoltavano, ma non comprendendo una sillaba di tutto ciò, ripicchiavano il viva Calibardo! Il povero generale alla tortura sudava il sangue dagli occhi, e conoscendo come il principe tenesse alle ovazioni e  quanto la popolarità propria lo irritasse, avrebbe volentieri regalato un secondo regno pur di strappare dal labbro di quegli antipolitici villani un Viva il Re d’Italia! Anche un semplice Viva il Re! Ma la difficoltà si sciolse prontamente, perché Vittorio Emanuele spinse il cavallo al galoppo”.

Giunti all’ingresso nord di Teano alla Porta Romana, verso le ore dieci, i due si separarono, il Re proseguì a destra per raggiungere il palazzo Caracciolo, Garibaldi volse a sinistra al Largo del Muraglione e fatto ricoverare il cavallo in una piccola stalla entrò per consumare una fugace colazione. Due settimane dopo, il 9 novembre, consegnati al Re i risultati del plebiscito si imbarcò solitario per Caprera.

Nota

·   D. Ludovico, Realtà topografica dell’incontro di Teano, 303 - 324,in L’Universo. Rivista dell’Istituto Geografico Militare, Firenze, marzo – aprile 1965.

 


martedì 27 maggio 2025

Dati Statistici

 NOTIZIE CESVAM



 Si rileva dai dati statistiche che sono di corredo a questo Blog che in questo mese di maggio 2025 i contatti avuti sono stati 18.062.

Il dato è interessante è va analizzato. Sono in corso ricerche per comprendere l'origine di questo interesse per questo Blog.

lunedì 26 maggio 2025

Considerazioni sulla Vittoria Italiana del 1918

 DIBATTITI

 24 maggio 1915 - 110° anniversario

LA GUERRA SULLA FRONTE OCCIDENTALE.

 Enrico Caviglia

Nella seconda metà del luglio 1918, gli eserciti dell'Intesa presero l'offensiva in Francia.

Sia che le forme geografiche della fronte francese non permettessero delle battaglie napoleoniche, sia che vi si opponessero la profonda   organizzazione   difensiva   e la densità delle forze tedesche, la concezione francese della   grande battaglia di Francia è veramente modesta.

Secondo gli storiografi francesi, i nostri alleati si sarebbero proposti, in un primo periodo, di rettificare la loro fronte con attacchi frontali, eliminando tutti i salienti e tutte le saccocce che le varie offensive tedesche vi avevano praticato.

In un secondo periodo, avrebbero attaccato successivamente in vari punti la linea nemica, per costringere i Tedeschi a ritirarsi sulle loro linee successive di difesa, fino all'abbandono del territorio francese e belga.

Però l'obiettivo principale ed unico di questa serie di offensive non sarebbe stato territoriale, come sembrerebbe dagli scopi accennati; bensì quello di esaurire le riserve tedesche, e costringere la Germania a chiedere la pace. L'obiettivo principale sarebbe stato, adunque, la distruzione delle riserve nemiche e della volontà di guerra della Germania.

I generali alleati calcolavano che nella primavera del 1919 avrebbero vinto la guerra.

Se il concetto originario del piano offensivo francese avesse veramente ripartito l’azione negli accennati periodi di attacco, con l'obiettivo principale ben definito dell'esaurimento delle riserve tedesche, allora tale piano sarebbe stato impostato sopra una reale unità organica e strategica.

Bisognava, però, essere sicuri che le riserve dell'Intesa non si esaurissero durante l'offensiva, prima di quelle tedesche nella difensiva.

Orbene, nell'estate del 1918 l'esercito americano aveva portato in Francia una tale superiorità di forze che i generali alleati - in quel momento della guerra - potevano ritenere sufficiente a raggiungere lo scopo che si proponevano. Non sarebbe stata sufficiente e decisiva sei mesi prima, quando l'esercito tedesco era nella pienezza delle sue forze e delle sue speranze. Ma, quando la Germania ebbe esaurito la sua energia nelle grandi offensive dal marzo al luglio, ed erano sfumate le sue speranze nella vittoria, il momento era opportuno e la superiorità delle forze alleate sufficiente a raggiungere gli scopi del piano offensivo. La grandiosità del piano consisteva nella grandiosità delle forze da impiegarvi: talmente superiori a quelle tedesche da dare al Comando francese la convinzione della vittoria.

Foch voleva raggiungere con l'offensiva lo scopo che Fabio Massimo si proponeva evitando la battaglia, l’esaurimento del nemico.

 

In linea di fatto, fra il 18 luglio ed il 26 settembre, i nostri alleati lanciarono sei attacchi contro le linee tedesche, e terminarono la prima fase del loro piano, poiché riuscirono a rettificare la loro fronte, impiegandovi mezzi di guerra gradatamente crescenti, mentre le forze della Germania si affievolivano. Essi riportarono la loro linea all’incirca dov’era prima del marzo.

Vi furono impiegate 163 divisioni tedesche; la metà di esse due o tre volte. Restavano in riserva 68 divisioni, delle quali solo 21 erano fresche[1].

Allora gli alleati iniziarono il secondo periodo, che si protrasse fino ai primi di novembre, mediante il quale riuscirono ad avanzare di 25 km., in media, su tutta la fronte.

La guerra era dai Tedeschi mantenuta ancora in territorio francese e belga. Essi si difendevano vigorosamente, così che in ogni settimana d’offensiva l’Intesa subiva perdite maggiori che in ogni altro periodo della guerra. Ma nel settembre il Governo ed il Comando tedeschi              attraversarono un periodo inquieto sotto l'influenza dell’Austria-Ungheria che, attanagliata   dall’Italia, insisteva di voler chiedere la pace; della Bulgaria che concludeva l’armistizio con Franchet d’Espérey; e degli attacchi dell’Intesa, succedentisi a brevi intervalli sulla fronte franco-belga.

Ludendorff andava perdendo la speranza nella vittoria, ma non la volontà di guerra.  Egli si trovava in uno stato d’animo analogo a quello attraversato dai Capi dell’Intesa nell’inverno precedente.

 



[1] Dal volume di Tardieu: La Paix

domenica 25 maggio 2025

Considerazioni sulla Battaglia di Vittorio Veneto. Oreste Bovio

 DIBATTITI

 24 MAGGIO 1915  - 110° ANNIVERSARIO

Diaz vide allora la possibilità di rompere il fronte avversario in corrispondenza della zona di sutura delle due armate austriache (5a e 6a) del Piave, agendo a cavaliere della direttrice di Vittorio Veneto, centro logistico di grande importanza sulla linea di operazioni della 6a armata austriaca. Effettuata la rottura e separate le due armate avversarie, puntando su Feltre, gli italiani avrebbero aggirato le truppe austriache attestate al Grappa e dato sviluppo alla manovra dirigendosi sia per la Valsugana su Trento, sia verso il Cadore. La manovra avrebbe dovuto avere inizio il giorno 16 ottobre, ma la piena del Piave ne fece spostare la data al 24. Questo lieve ritardo permise di perfezionare il piano d'operazione: anche la 4a armata del Grappa ebbe ordine di agire offensivamente, concorrendo all'azione principale affidata all'8a, impegnando le riserve nemiche che avrebbero potuto ostacolare l'avanzata su Vittorio Veneto.

La battaglia fu iniziata pertanto proprio dalla 4a armata, che protrasse i suoi attacchi sino al giorno 27, riuscendo nell’intento di richiamare ed assorbire le riserve austro-ungariche.

Nella notte tra il 26 ed il 27, l'8a armata, la 12a armata - comandata dal generale francese Graziani, e costituita da 1 divisione francese e 3 italiane - e la 10a - comandata dal generale inglese Cavan, e costituita da 2 divisioni inglesi e da 2 italiane - gettarono i ponti sul Piave e passarono il fiume.

L'irruenza dell’attacco costrinse il comando della 6a armata austriaca ad ordinare, il giorno 28, la ritirata sul Monticano.

Il giorno 30, l’8a armata occupò, con le proprie avanguardie, Vittorio Veneto; la 12a armata superò la stretta di Quero verso Feltre; la 10a varcò il Monticano in direzione di Sacile.

Nella serata dello stesso giorno si presentava al Comando Supremo il generale austriaco Weber per trattare la resa. Le trattative però non furono molto spedite perché il governo austriaco non voleva filmare una capitolazione completa, ma solo una tregua d'armi. Durante la discussione le operazioni continuarono ed il 31 le truppe austriache del Grappa cedettero, infine, all'irruenza dell'azione della 4a armata che mosse allora su Arsié; la 12a armata si diresse su Feltre; l’8a sboccò nella valle del Piave a Ponte delle Alpi; la 10a, affiancata dalla 3a, raggiunse la Livenza e la cavalleria il Tagliamento; si mise in moto anche la 6a armata lungo la Valsugana, per intercettarvi la rotabile e dirigersi verso Trento-Egna.

Il 3 novembre la 1a armata entrò a Trento, tutte le altre armate raggiunsero i rispettivi obiettivi e, mentre la cavalleria si spingeva fino a Palmanova, Udine, Stazione per la Carnia e Gradisca, un apposito distaccamento sbarcò a Trieste.

La sera del 3 novembre fu finalmente concluso l 'armistizio: alle ore 15 del 4 novembre 1918 vennero sospese le ostilità su tutto il fronte italiano.

Nell'intento di limitare il valore determinante della battaglia di Vittorio Veneto, alcuni critici hanno tentato di ridurne l'importanza, attribuendo un peso eccessivo alla crisi morale e materiale che indubbiamente scuoteva l'esercito austriaco alla fine del 1918.

Questa affermazione, persino offensiva per l 'esercito austriaco, ostinato e valoroso, è decisamente smentita dai fatti. Spinto dall'odio secolare, dalla salda disciplina, dal sentimento dell'onor militare, l 'esercito imperiale si batté assai coraggiosamente anche nell'ultima battaglia, tanto che le perdite degli attaccanti furono sensibili: 36.498 Italiani e 2.498 Alleati.

Con la battaglia di Vittorio Veneto l'Italia non sconfisse soltanto "uno dei più potenti eserciti del mondo”, provocò il crollo totale dell'Impero degli Asburgo.

Lo sforzo italiano fu immenso - 5 milioni di uomini mobilitati, 900.000 militarizzati nelle industrie di guerra, 680.000 caduti, oltre 1.000.000 feriti e mutilati - ma il ciclo storico del Risorgimento italico si concludeva finalmente con la scomparsa del secolare nemico e con il raggiungimento dei confini naturali.

sabato 24 maggio 2025

Considerazioni sulla Vittoria Italiana del 1918

 DIBATTITI

24 MAGGIO 1915 - 110° ANNIVERSARIO

 

15. L'INFLUENZA DELLA VITTORIA ITALIANA

 

La gloria italiana di Vittorio Veneto, passata la prima sorpresa del mondo, fu violentemente attaccata dalla maggior parte dei giornali e dagli scrittori militari nemici ed alleati. Ciò ha contribuito fortemente a diminuire il valore politico dei nostri rappresentanti nella discussione delle condizioni dei trattati di pace.

Oggi il valore politico internazionale della nostra vittoria è dileguato; ma sono ancora dolorose le ferite inferte dagli alleati all'amor proprio italiano; sia per averci impedito con l'armistizio di Villa Giusti di calcare da vincitori il suolo nemico, sia per la svalorizzazione della nostra vittoria, sia per le ingiustizie clamorose imposteci a Versailles ed a Parigi, nelle trattative per la pace. Esse non hanno più influenza nella politica interna dell'Italia, ma possono averne ancora nella nostra politica estera.

 

L'efficacia politico-militare della battaglia di Vittorio Veneto appare evidente in due grandi fatti: la dissoluzione dell'Impero e dell'esercito austro-ungarici; la capitolazione della Germania.

La dissoluzione dell'Impero austro-ungarico si andava preparando durante la guerra che l'Italia combatteva contro la monarchia bicipite. Nessuna ideologia avrebbe distrutto allora quell'Impero, se l'Italia avesse cessato la sua guerra prima del 24 ottobre 1918. In quel  caso  il Governo di Vienna avrebbe potuto disporre dell'esercito per mantenere i popoli soggetti fra le dighe della sua legge, durante la trasformazione politica che esso aveva preparato. La Boemia, la Polonia, la Jugoslavia avrebbero probabilmente avuto la loro autonomia, ma in una nuova costituzione dell'Impero absburghese. Invece, in tale momento critico, cominciò l'offensiva italiana, ed ipotecò l'esercito nemico sulla nostra fronte togliendo a Vienna il solo strumento sul quale poteva  basare la sua azione di autorità.

La guerra dell'Italia permise ai Capi politici dei vari popoli dell'Impero bicipite di preparare la dissoluzione dell'unione absburgica. Senza la guerra dell'Italia tale dissoluzione  non  si sarebbe potuta  predisporre.

Essa era pronta nella seconda metà d'ottobre del l918, ma occorreva la causa determinante. L'Impero aveva ancora un solido puntello nel suo esercito, bisognava abbatterlo. Chi lo abbatté fu la vittoria italiana.

Se noi fossimo stati sconfitti, o se non ci fossimo mossi dal Piave, rimanendo nella situazione del 27 ottobre, l'armistizio avrebbe dato modo al Governo di Vienna di compiere  la trasformazione politica  da lui preparata.

La guerra dell'Italia, e l'offensiva di Vittorio Veneto dettero luogo alla caduta dell'Impero absburgico e del suo esercito, non preveduta e non compresa negli scopi di guerra dell'Italia e dell'Intesa, e non voluta dalla maggior parte delle popolazioni del caduto Impero.

Adunque, Vittorio Veneto non fu la causa efficiente della caduta dell'Impero absburgico, bensì lo fu la guerra dell'Italia, dal 1917 fino all'ottobre del 1918. Vittorio Veneto fu la causa determinante, perché ne abbatté l'ultimo sostegno, l'esercito, nel momento critico in cui questo era più necessario al Governo di Vienna. Vittorio Veneto non sarebbe stato sufficiente, senza i precedenti anni della nostra guerra tenace, a determinare la caduta dell'Impero e dell'esercito austro-ungarici. Né la nostra guerra avrebbe provocato lo stesso evento senza la nostra vittoria finale. L'una ha preparato, l'altra ha determinato quella caduta.

L'efficacia della guerra e della vittoria italiane fu assoluta ed indispensabile. Senza la guerra dell'Italia    e senza Vittorio Veneto,  l'Impero  austro-ungarico  esisterebbe tuttora.

Invece l'intervento di Wilson e degli uomini politici slavi, rappresentanti i popoli soggetti dell'Austria-Ungheria, non era indispensabile, e non ha contribuito alla rovina dell'Impero bicipite. Avrebbe, invece, probabilmente contribuito a determinare una nuova organizzazione politica degli stessi popoli nell'Impero absburgico, se questo non fosse caduto. Oso affermare che tale soluzione, salvo per la Polonia, sarebbe stata e sarebbe tuttora una benedizione per quei popoli, rispetto alla loro situazione attuale. E lo sarebbe  anche per  l'Europa.

 

L'altro grande avvenimento, negato all'influenza di Vittorio Veneto, è la capitolazione dell'Alemagna .

Basta considerare la situazione alla metà d'ottobre del   1918.

La Germania non aveva più speranza di vincere, ma aveva sempre la volontà di combattere per procurarsi una buona  pace.

 

Dall'8 di agosto gli eserciti della coalizione in Francia, nello svolgere il piano di Foch, avanzavano faticosamente e con gravi perdite, attaccando, alternativamente o contemporaneamente, le linee successive tedesche di Wotan, Siegfried, Alberich ecc. Le truppe tedesche facevano costar cari i successi parziali ottenuti dall'Intesa.

Sebbene nella Siria, di fronte alle truppe di Allenby, i Turchi avessero ceduto, e stessero trattando per un armistizio; sebbene la Bulgaria avesse anch'essa abbassate le armi, e l'Austria-Ungheria fosse costretta a formare una nuova fronte sul Danubio (contro la quale l'armata  mista di Franchet d'Espérey non avrebbe potuto urtare prima della fine di novembre); tuttavia la volontà di guerra della Germania non era crollata. Il 24 di ottobre tanto gli ordini del Comando supremo tedesco quanto le pubbliche dichiarazioni del ministro della guerra a Berlino, dimostravano  la ferma  intenzione di resistere  fino  alla conclusione d'una pace che assicurasse l'avvenire della Germania[1].

Allora la volontà di guerra della Germania crollò definitivamente. Sulla fronte occidentale l'Intesa non aveva ottenuto una vittoria decisiva[2].

La battaglia decisiva, invece, era stata vinta in Italia dagl'Italiani. Essa pose fine anche alla battaglia di Francia ed alla guerra. Ma l'esercito tedesco non fu vinto. Ripeto che, se fosse stato vinto, come lo fu da noi l'esercito austriaco, nessuna volontà e nessuna forza umana avrebbero potuto impedire ai Francesi ed agli Inglesi di andare a Berlino.

 

16. LA NOSTRA POLITICA DI GUERRA.

 

L'esame storico della situazione bellica e politica, nel1'ultima fase del grande conflitto mondiale, mostra come l'azione dell'Italia esercitasse un'influenza decisiva nella soluzione della grande guerra, e come, nell'Intesa, la nazione che aveva maggiori diritti a regolare i destini del1'Austria-Ungheria fosse l'Italia. Tuttavia essa ne fu esclusa, e ciò riesce a prima vista incomprensibile.

 



[1] L'ordine generale tedesco del 24 ottobre dice:

"La risposta di Wilson è per noi soldati un invito a resistere fino all'ultimo limite delle nostre forze. Quando i nostri nemici riconosceranno che a malgrado di tutti i loro sacrifici non potranno rompere la nostra fronte, verranno a concludere una pace che assicuri l'avvenire della Germania

Lo stesso giorno il ministro della guerra tedesco, generale v. Scheüch, dichiarava:

"L'esercito non è sconfitto. Abbiamo le forze necessarie per rendere possibile la difesa con pieno successo "·

[2]  Il 9 novembre 1918, in un consiglio di guerra a Spa alla presenza dell'imperatore Guglielmo, la situazione era cosi considerata:

In conseguenza di Vittorio Veneto la via della Germania meridionale è aperta agli Italiani, e noi non abbiamo riserve da contrapporre loro. Perciò la Germania  deve  accettare qualsiasi condizione di armistizio.”  Ciò, come abbiamo detto, era stato preceduto dal Comando supremo italiano, ed era stato ammesso da Foch e dal Consiglio supremo interalleato, prima del nostro armistizio del 3 novembre.

Il 9 novembre il Cancelliere dell'Impero, Massimiliano di Baden, dichiarava in un proclama:

…..”abbandonato nel quinto anno di guerra dai suoi alleati, il popolo tedesco non poteva più continuare la lotta”.