APPROFONDIMENTI
QUESTIONE
DI TRIESTE 1943 - 1954
Con il trattato tra Jugoslavia ed
Italia, con il quale si stabilivano definitivamente i confini tra i due paesi,
si chiudeva nel 1975 uno dei tanti contenziosi che la fine della Seconda Guerra
Mondiale aveva aperto, quello che noi italiani definivamo la “Questione di Trieste”.
A seconda dei punti di vista tale Trattato rappresenta un “tradimento” oppure
un inizio di stabilità nel quadro generale europeo.
L’Italia perse il controllo di
Trieste all’indomani della firma dell’armistizio del settembre 1943. (Fig.1)
quando le truppe tedesche occuparono tutta l’Italia sulla base del Piano “Ache”
già predisposto all’indomani del 25 luglio 1943, quando cadde Mussolini ed il
fascismo si sciolse come neve al sole.
Trieste fu occupata il 10
settembre 1943. La Repubblica Sociale Italiana, riconosciuta dalla Germania, aveva
riconosciuto tali confini creando
Nell’ottobre 1944 i Britannici,
in disaccordo con gli Statunitensi, lanciarono una pesante offensiva
(Operazione Olive) che, da Rimini, superata Bologna e Venezia, doveva raggiugere
Trieste per puntare su Vienna e raggiungere il centro Europa, in funzione
antirussa, ma non ebbe successo. La conseguenza furono gravi.
Gli alleati giunsero a Trieste,
dopo le forze titine, che la occuparono il 1 maggio 1945 (la resa delle forze
tedesche in Italia è del 2 maggio 1945). Gli jugoslavi rimasero a Trieste per
40 giorni, poi furono costretti a ritirarsi.
Si apre la prima fase della “Questione
di Trieste”. L’Italia non aveva alcuna capacità di incidere sulla situazione e
doveva dipendere dalle decisioni altrui, nel quadro dei rapporti di forza. Come
fu il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, che in pratica riconobbe
i confini tracciati dai tedeschi nel settembre 1943.
Gli Alleati gestirono nel modo
peggiore la situazione. Fatte arretrare le truppe titine, divisero il
territorio di Trieste in due zone, la Zona A, sotto amministrazione fiduciaria
alleata, comprendere anche Pola, e la Zona B sotto amministrazione fiduciaria
jugoslava. Tutto il resto dell’Istria, già italiana fino al 1943 era
tacitamente assegnato alla Jugoslavia. L’Italia aveva perso la guerra
Le speranze di recuperare i
vecchi confini ed avere l’Istria (Fiume, Pola, e el altre città italiane della
costa dalmata) erano riposte nella volontà degli Stati Uniti, ormai diventata
superpotenza, e della Gran Bretagna, che ancora aveva un peso in Europa..
In realtà gli Stati Uniti,
guardavano a Tito con simpatia dopo la sua rottura con Stalin del 1948, mentre
la Gran Bretagna, che lo aveva sostenuto durante la guerra partigiana, era più
incline a sostenere le posizioni di
Belgrado che quelle di Roma.
In pratica sul piano diplomatico
non vi era alcuna speranza di avere i vecchi confini. Solo una guerra avrebbe permesso
di averli, condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna, cioè dalla Nato, contro la
Jugoslavia avrebbe permesso all’Italia di veder soddisfatte le sue aspettative.
Emergeva in tutta la sua crudele
realtà il dato che viene sempre ignorato: l’Italia aveva perso la guerra e
queste erano le conseguenze. L’annessione della Germania di questi territori
nel settembre del 1943 fu il primo gravissimo colpo della nostra sconfitta, che
aprì la strada a tutto il resto. Nessuno poi, dei nostri alleati, voleva sacrificarsi
per le nostre aspirazioni e l’Italia, ovviamente, non era in condizioni di
condurre una guerra da sola contro la Jugoslavia. Ritornata Trieste e la Zona A
all’Italia, la questione entro in stallo e via via perse di interesse.
Questa situazione rimase in
sospeso fino al 1975. In Italia intanto si era diffusa la falsa idea che
l’Italia avesse vinto la seconda guerra mondiale con l’epopea partigiana, che
quanto svolto dagli Italiani dal 1941 in poi in quei territori fosse di
responsabilità non dell’Italia democratica e repubblicana, che quanto i nostri
confinanti facevano erano fuori del diritto internazionale, quasi un abuso
(esodo delle popolazioni giuliano-dalmate). In pratica l’Italia denunciava la
poca comprensione dei suoi alleati., era vittima della propria propaganda e dei
propri errori.
Il Trattato di Osimo nasce in una
situazione geopolitica ormai tramontata, che a metà degli anni settanta aveva
mostrato tutti i suoi cambiamenti rispetto a quella degli anni cinquanta. La
leaderschip di Belgrado aveva consumato nella realtà tutte le sue aspettative
ed idealità generate dalla guerra partigiana titina. Dopo i tremendi mesi dal
maggio al dicembre del 1945 in cui tutti gli avversari jugoslavi di Tito furono
debellati (in cui si inserisce la tragedia che noi definiamo “Foibe”), la Jugoslavia
negli anni aveva collezionato errori su
errori, con crisi ed epurazioni periodiche, con una posizione internazionale
ibrida, terzomondista; negli anni settanta guardava all’Occidente ed all’
Italia con occhi diversi e si avviava, senza che nessuno potesse arrestarla,
sul sentiero che la porterà alla sua disgregazione; la Gran Bretagna aveva
definitivamente perso la sua influenza in Europa, gli Stati Uniti, usciti
sconfitti dalla guerra in Vietnam, erano in forte crisi, L’Unione Sovietica era
sulla difensiva, mentre in Italia Berlinguer, capo del forte partito comunista,
si compiaceva di essere sotto l’ombrello della Nato ed aveva rapporti freddi
con il confratello partito comunista jugoslavo.
Osimo fu la sintesi di tutto
questo.
L’alternativa ad Osimo era
l’uscita dell’Italia dalla Nato, una politica nazionale di proiezione e
conquista verso la Jugoslavia, con obbiettivo la riconquista delle posizioni
perdute, nel solco di quella d’anteguerra. Una situazione irreale, che però
chiama in causa le ragioni remote che portarono ad Osimo, ed al suo trattato.
Una ricostruzione critica di tali
ragioni non vi è oggi in storiografia. Con onestà dovrebbe partire,
dall’annessione al Regno d’Italia della provincia di Lubiana del 1941, dal
regime di occupazione e dalla nostra politica di dominio verso le popolazioni
non italiane che in sostanza era allineata a quella tedesca, seppure applicata con
minore violenza, fino al settembre 1943. Soprattutto si dovrebbe anche approfondire
il comportamento dei nostri alleati di allora (del 1940-43) i Germanici (compresi
i Croati ed il movimento Ustascia) che non esitarono mai a contrastare sempre
la presenza italiana in quelle terre, nel solco della tradizione asburgica,
sostanzialmente antitaliana, di tradizione risorgimentale che atavicamente
contrastò sempre gli interessi e la presenza italiana nei Balcani.
Nella realtà oggi il Trattato di
Osimo non ha più alcuna incidenza nel campo della politica reale in quanto la
Jugoslavia non esiste più. Ora di fronte abbiamo la Slovenia, la Croazia, la
Serbia, la Bosnia Erzegovina, il Montenegro con il loro coacervo di
problemi. Sono tutti Stati, termine
usato forse con eufemismo, che sono nell’orbita germanica e guardano solo a
Berlino e continuano la loro politica, che è alla base della guerra fratricida
del 1992-1993, di un nazionalismo di cui l’anti italianità ha una forte
componente, nel quadro generale delle loro ulteriori divisioni interne.
Osimo non lo abbiamo scelto noi:
è il portato della crisi armistiziale del 1943, ed in generale della nostra
sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, con le naturali conseguenze delle
linee di forza del secondo dopoguerra. A pagare furono gli Italiani d’Istria,
della Dalmazia e delle altre terre balcaniche, a cui va il nostro ricordo delle
loro tragedie, nella convinzione che politiche di imperio, dominazione,
imposizione portano solo a tragedie come quella che hanno dovuto, non per colpa
loro, subire.
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