DIBATTITI
Sergio Benedetto Sabetta
Il concetto di responsabilità è strettamente in rapporto a quello di libertà, la quale risente a sua volta dello stretto rapporto con la cultura, intesa quale maturazione di una propria capacità di analisi critica.
La libertà senza una adeguata cultura
che crei una autonoma capacità critica si risolve politicamente ed
economicamente nell’attuale età post - moderna in una visione dell’immediato,
nella ricerca della soddisfazione di impulsi e bisogni nel breve termine, senza
una visione proiettata nel lungo termine.
Questo atteggiamento risulta adatto ad
un sistema economico diretto esclusivamente ad un consumo crescente,
indipendente dalla qualità del prodotto, come per una direzionalità politica
facile e passiva, anche se apparentemente pienamente libera, dove l’elite
economica dirige la politica senza dibattiti e confronti autentici.
Vi è quindi nella responsabilità un
“dovere” di risposta coniugato ad una “libertà” di scelta che si risolve in
ambito giuridico, nella “imputabilità” al singolo delle azioni e delle sue
conseguenze, in ambito morale in un obbligo di valutazione correlato agli altri
del proprio agire.
Max
Weber a fronte della tragedia della Grande Guerra parla di una “etica della
responsabilità”, dell’agire tenendo conto degli effetti delle proprie azioni,
contrapponendola a quella che lui chiama l’ “etica della convinzione”, in cui
si giudica sulla base dell’intenzione fornendo un giudizio morale sul movente e
non sugli effetti.
Nell’impossibilità di sostenere un
“libero arbitrio assoluto” senza la presenza di alcun determinismo si deve
introdurre una “responsabilità della riflessione”, ossia la necessità della
presenza di una valutazione adeguata alle conseguenze, di un controllo
razionale dei mezzi impiegati e delle loro conseguenze in cui i “valori”
costituiscono premessa e coordinate dell’agire.
Questa etica della responsabilità è da Hans Jonas estesa anche a coloro che non
sono ancora nati fino a ricomprendere l’intera biosfera, infatti vi è un dovere
per chi ha potere di agire per il bene di coloro che da lui dipendono, un
dovere essere fatto che nel proiettarsi supera la semplice rendicontazione di
ciò che è stato fatto, in questo completando e saldandosi con la “sostituzione
vicaria” richiamata da Bonhoeffer,
nella quale vi è attraverso l’assunzione di responsabilità nei confronti degli
altri il tratto distintivo dell’uomo rispetto agli altri esseri animati,
tuttavia questo può risolversi in arbitrio senza il riconoscimento delle altre
responsabilità proprie dell’uomo.
Ne discende una particolare
responsabilità per il politico il quale deve agire “per” anziché “su” gli
amministrati, con una responsabilità che investe ogni aspetto dell’esistenza in
una costante continuità nel tempo tale da rinsaldare l’identità collettiva.
In quest’opera nasce l’esigenza per il
politico di sviluppare le potenzialità dell’uomo anziché renderlo un semplice
lacchè o automa, ma tale necessità può realizzarsi solo creandone le
condizioni, ossia l’ambiente idoneo per la collettività futura, ciò non può
accadere tuttavia in senso deterministico attraverso una precisa
consequenzialità di atti predeterminati, ma sarà la responsabilità per gli
effetti dei singoli atti a dare luogo al complesso imprevedibile del futuro, si
passa pertanto da un’etica kantiana individuale ad una collettiva politica
nella quale il tempo, quale tensione verso il futuro, assume una propria
autonoma dimensione.
La necessità del valutare la collettività
dell’essere umano proiettata nel futuro evidenzia il tessuto della
comunicazione linguistica quale substrato nella relazione intersoggettiva ( Habermas), da cui ne deriva una
“comunità ideale di comunicazione” quale misura di responsabilità e moralità
sulla natura consensuale delle norme che devono guidare l’agire pratico anche
sulla valutazione dell’impatto tecnologico ( Apel), ma proprio la complessità delle valutazioni fa sì che tale
“comunità ideale” non sia che una galassia di un insieme di comunità ideali
differenziate tra loro, nel quale solo una comunicazione politica può
costituire l’interconnessione.
In questo processo, sebbene Sartre assolutizzi la responsabilità di
ciascun individuo, Derrida nega la
possibilità di una “imputabilità” giuridica assoluta per il singolo se non ci
si riferisce al contesto del suo agire, tuttavia bisogna evitare di giungere ad
automatismi comportamentali in cui venga archiviato quello che Arendt definisce il “gesto del pensare”,
anticamera per una deresponsabilizzazione che giustifichi qualsiasi arbitrio
derivante dalla manipolazione delle coscienze, infatti solo dalla “facoltà di
giudizio” può provenire quel nesso tra morale e diritto che costituisce la
responsabilità personale giuridica da calarsi nella più ampia “etica della
responsabilità” descritta da Jonas.
La “libertà” di giudizio che appare
alla base della “facoltà” di giudizio sembra premettere a sua volta una
“volontà” di giudizio che Nietzsche
interpreta come inclinazione al comando, volontà di potenza al di là del
semplice desiderio, che viene a risolversi in un piacere di comando e arbitrio,
un surplus di forza rimesso all’esclusivo giudizio kantiano del singolo, vi è
insito in questo un potenziale difetto di giudizio che aleggia semplicemente su
tutti i campi umani del sapere, un errore sempre in agguato anche in qualsiasi
norma o regola imposta dall’esterno al comportamento umano ( Arendt).
Solo il principio di una “etica della
responsabilità” può essere parametro di giudizio, contraltare all’eccessivo
ideologico individualismo sociale (Dumont)
tratto comune nella modernità con l’ universalismo (Simmel), una differenza individuale propria delle differenziazioni
culturali ed economiche insite nella crescita della società moderna, la quale
giustifica sé stessa sulla crescente qualità della forma di vita sociale, ne
consegue che l’individualismo deve sfociare nella cooperazione strategica in
presenza di obiettivi sociali comuni in un’alternarsi di
cooperazione/conflitto, contrapposto alla mera ed esclusiva egoistica
competizione di tipo atomistico (Genovese).
Nell’evoluzione vi è la ricerca di una
giusta combinazione fra selezione del gene
e selezione di gruppo al fine di una continua adattabilità all’ambiente
che l’uomo stesso in buona parte ha creato, in questa strategia mista
intervengono i “geni culturali” quale eredità culturale nel definire il
rapporto ottimale del campo da gioco (Lunsden-
Wilson) .
Al bagaglio genetico del comportamento si
sovrappongono le condizioni generali determinate dai meccanismi della selezione
di gruppo, sì ché ad una strategia pura singola di primo livello si aggiunge ed
interseca una strategia mista di secondo livello nella quale il gioco è visto
nella sua interezza ( Mérò ), anche se vi è sempre uno stato
d’animo in qualsiasi ragionamento, un portare all’eccesso un rapporto, un
sistema non solo per fini utilitaristici ma quale gioco in cui sfidare ed
esaltare il proprio sé contro gli altri, quale volontà di potenza.
Scrive Huizinga, “Il guastafeste è
tutt’ altra cosa che un baro. Quest’ ultimo finge di giocare il gioco. In
apparenza continua a riconoscere il cerchio magico del gioco. I partecipanti al
gioco gli perdonano la sua colpa più facilmente che al guastafeste, perché
quest’ultimo infrange il loro stesso mondo…. Perciò egli deve essere
annientato; giacché minaccia l’esistenza della comunità “giocante”…. Anche nel
mondo della grave serietà, i bari, gli ipocriti, i mistificatori hanno sempre
incontrato più facilitazioni dei guastafeste: cioè gli apostati, gli eretici,
gli innovatori e i prigionieri della propria coscienza”.” ( p. 15 – Homo ludens, Einaudi 1973).
Bibliografia
·
M. Weber, L’etica
della responsabilità,
·
M. Furiosi, Uomo
e natura nel pensiero di Hans Jonas, Vita e Pensiero 2003;
·
M. Vergini,
Jacques Deridda, Bruno Mondadori 2000;
·
H. Arendt,
responsabilità e giudizio, Einaudi 2004;
·
L. Dumont, saggi
sull’individualismo, Adelphi 1993;
·
W. Adorno, La
crisi dell’individuo, Diabasis 2010;
·
G. Simmel,
Sociologia, Edizioni di Comunità 1989;
·
R. Genovese,
Com’è possibile un individualismo sociale ? , 2011 – web. Kainos-prtale.com;
·
N. Abbagnano,
Storia della filosofia, Vol. III, Utet 1974;
·
L. Mérò, Calcoli
umani. Teoria dei giochi, logica e fragilità umana, Dedalo ed. 2005;
·
C. J. Lumsden – E.O. Wilson, Genes, Mind and Culture,
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