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mercoledì 20 marzo 2024

Sergio Benedetto Sabetta. Psicologia sociale e dovere

 DIBATTITI

Psicologia sociale e dovere

Sergio  Benedetto  Sabetta

 

            Gli elementi caratteristici del comportamento umano si rifanno all’etica, all’estetica, alla sociologia relazionale nonché alla scienza cognitiva, in una somma comportamentale e motivazionale dell’individuo, vi è quindi la necessità per il singolo di fornire un senso riconoscibile al proprio lavoro svolto nell’organizzazione, in questo nasce per la stessa la necessità di governare i comportamenti simbolici.

            Gli ordini, le abitudini ed i comportamenti esprimono dei valori che si risolvono in una etica organizzativa  a cui solo l’adesione del singolo può produrre qualità quale risultato di una etica condivisa, infatti l’etica organizzativa può essere qualcosa con cui identificarsi, pertanto buona, o al contrario da contrastare in quanto negativa.

            Possiamo, quindi, valutare la lotta per il potere all’interno delle organizzazioni anche come lotta per imporre letture etiche delle singole azioni.

            Accanto al giudizio di approvazione o disapprovazione, ossia etico, vi è un giudizio estetico, diretto alla determinazione del valore della realtà sensibile, ne nasce un rapporto circolare tra etica, estetica, realtà sociale e l’immagine che di essa si vuole dare.

            Le reti relazionali proprie di qualsiasi comunicazione sociale, nel costituire attraverso il loro interagire la struttura relazionale di una organizzazione, sono anche l’espressione delle dimensioni soggettive nel sistema di apprendimento attraverso cui si trasmette l’esperienza organizzativa, il cui controllo è una forma del potere organizzativo.

            Alla coercizione si affianca la seduzione (Bauman ) dei vantaggi derivanti dall’accettazione dell’offerta dei valori, così da innalzare il livello di coesione basato solo sullo scambio e il timore, vi è un inconscio organizzativo rilevabile dal clima organizzativo, per cui deve esservi un equilibrio tra l’agire funzionale e quello simbolico, così da creare relazioni emozionali esprimenti le identità.

            Ogni norma sociale, ma anche giuridica, funziona in un rapporto tra cultura simbolica ed interesse/sanzione, essa può essere attesa e disattesa anche a seguito del rapporto simbologia/interesse, in un equilibrio di contrasti/valori e nell’eventuale distorsione propria indotta dagli interessi in gioco.

            Lo stesso concetto di distorsione premette un giudizio ed un parametro riconosciuto ed oggettivizzato attraverso una simbologia di valori riconosciuta dal gruppo ed istituzionalizzata.

            La norma diventa cogente e quindi acquista valore in un rapporto tra interiorizzazione culturale e repressione nascente dall’istituzionalizzazione del conflitto di interessi, infatti la sua applicazione avviene, in caso di mancanza culturale, solo a seguito della codificazione di un conflitto e l’interesse per tale tenzone può essere indotto attraverso l’organizzazione di istituzioni pubbliche o private esterne.

            Questo naturalmente non esclude lo scambio lecito, pertanto previsto ed accettato nell’architettura sociale, o illecito, del tutto privato e in contrasto, quindi non previsto né accettabile pena lo sfaldamento dell’efficienza dell’azione organizzativa secondo la sua originale e prevista missione.

            Nella norma si possono riscontrare imperativi funzionali indirizzati agli scopi materiali dell’organizzazione e imperativi simbolici, in cui i singoli realizzano o al contrario si sentono ostacolati nei loro bisogni psichici e materiali, ma mentre nell’organizzazione prevalgono necessariamente i risultati materiali a cui la simbologia è accessoria, nel singolo, anche quale espressione dell’organizzazione, vi è un alternarsi tra bisogni simbolici e materiali.

            La norma non solo impone ma media nelle relazioni tra soggetti provenienti da differenti esperienze sociali, con differenti aspettative, infatti Harre e Secord ricordano che ognuno attribuisce a sé e all’altro stati affettivo-cognitivi da lui presupposti ed agisce di conseguenza, la norma può pertanto essere una pura norma istituzionale necessaria di una forte repressione, ma anche una norma che ricomprende in sé una regola comportamentale accettata.

            Dobbiamo considerare che le norme influenzano non solo il comportamento, ma anche le emozioni ed i valori attribuiti ad esse, d’altronde la società è caratterizzata dal principio per cui chi possiede certe caratteristiche sociali ha la ragionevole certezza e quindi una pretesa di essere trattato e valutato in determinati modi, circostanza legittimata e rafforzata dalla norma, la fiducia nel rapporto tra dichiarato e caratteristiche sociali dovrebbe quindi fluidificare l’efficienza sociale.

            Il senso del dovere kantiano, per cui la virtù è la necessità di un’azione per rispetto della legge a prescindere dalle inclinazioni naturali, è il frutto di una interazione culturale la quale richiede per alimentarsi il riconoscimento sociale dello sforzo su di sé eseguito, ancor più se il dovere è in contrasto con le proprie pulsioni, ma tale sforzo a sua volta necessita di un riconoscimento sociale nella norma che diventa una legittimazione per legge.

            Nasce qui la necessità innanzitutto di una chiarezza etica nella società, ossia la creazione di una scala di valori a cui riferirsi, in un equilibrio tra libertà individuale e funzionalità sociale.

            Il vuoto attuale nella fluidità dell’essere crea una variabilità, una incertezza che si risolve in ansia e aggressività, in un rincorrere certezze mancanti per riempire il vuoto sociale relazione e interiore, in un puro economicismo consumistico finalizzato alla produzione e accumulo, attraverso un condizionamento morbido che di fatto è un totalitarismo morbido (Gunther Anders) , ma che induce nelle inevitabili crisi a inevitabili opposizioni.

 


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