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martedì 29 settembre 2020

Copertina Settembre 2020

 


QUADERNI ON LINE




Anno LXXXI, Supplemento on line, IX, 2020, n. 57
 Settembre 2020

www.valoremilitare.blogspot.com
www.cesvam.org

lunedì 28 settembre 2020

Editoriale Settembre 2020

 


 Il mese di settembre ha segnato la timida ripresa delle attività del CESVAM. Le buone notizie sono che il CESVAM ha raggiunto la piena capacità economico-finanziaria, illustrata al Congresso di Napoli e finalmente si è in fase di attuazione definitiva. Ora occorre potenziare le attività predisposte, primo fra tutti il messaggio per l'adesione ai Master, vero motore del CESVAM. A questo si deve affiancare una campagna di promozione delle attività editoriali, sia la pubblicità per i volumi che per la diffusione della rivista, comprendendo  anche i soci del Nastro Azzurro, la stragrande maggioranza dei quali non sa nulla di queste attività. Si ricorda che le iniziative editoriali del CESVAM sono rivolte verso l'esterno dell'Istituto, verso la società civile al fine di portare il messaggio istituzionale fuori dal cerchio associativo-combattentistico.

Il Mese di settembre ha visto la conclusione, con le relative pubblicazioni di due progetti. Il Dizionario minimo della Grande Guerra, in 12 volumi, e il Progetto relativo alle leggi razziali nell'80° anniversario della loro promulgazione, in tre volumi. 

Nel mese di settembre, inoltre, la piattaforma CESVAM è stata oggetto di riesame dal punto di vista tecnico, in quanto presentava alcune difficoltà e si pensa con il 1 ottobre di poter iniziare il suo completamento e la piena funzionalità per il mese di dicembre 2020.

Infine da sottolineare che il Sito dell'Istituto del Nastro Azzurro ha raggiunto in tutte le sue componenti la piena funzionalità ed è diventato uno strumento di collegamento fondamentale tra la Presidenza ed i soci, essenziale in questo periodo ove l'attività associativa è fortemente frenata dalle disposizioni anticovid.

Coloro che sono interessati alle attività del CESVAM possono avere contatti diretti con la consultazione  di QUADERNI ON LINE (www.valoremilitare.blogspot.com) sia del Sito (www.istitutodelnastroazzurro.org) che della piattaforma (a partire dal 1 ottobre p.v.) www.cesvam.org

(massimo coltrinari)


domenica 27 settembre 2020

RIVISTA QUADERNI Programma Distribuzione

 NOTIZIE CESVAM



La epidemia in corso ha fortemente condizionato la distribuzione della Rivista  QUADERNI. Mentre QUADERNI ON LINE come è facile constatare è regolarmente uscita secondo la programmazione (un post al giorno x 27 post al mese) la edizione su carta ha subito intoppi sia nella fase di distribuzione che nella fase di stampa. Sopratutto il n. 3 del 2019,(Luglio-Settembre) Il Report CESVAM 2014-2019 è ancora nella fase di essere mandato in tipografia. Invece il n. 4 del 2019, uscito nel mese di febbraio 2020,(Terra di Siena) il numero 1 del 2020 (Gennaio-Marzo) (Verde) uscito nel mese di aprile 2020 ed il numero 2 del 2020 (Aprile-Giugno) (Giallo) uscito a metà settembre, ancora devono essere distribuiti.

La distribuzione brevi mano (ovvero il prelievo in sede da parte degli abbonati o attraverso altre vie) dei numeri sopra citati con la riapertura della sede nazionale sta procedendo alacremente.

Si pensa che la questione possa essere normalizzata e far giungere le copie agli abbonati con questo programma

Stampa del n. 3 del 2019  entro il mese di ottobre 2020

Invio del n. 4 del 2019 entro la prima decade di ottobre

Invio del n. 1 del 2019 entro la prima decade di novembre

invio del n. 2 del 2019 entro la prima decade di dicembre

Il n. 3 del 2020 (Luglio settembre) (Colore da Definire) uscirà a fine ottobre-inizio di dicembre  è sara distribuiti a fine dicembre 2020

La copertina ed il sommario, la nota di commento e l'editoriale, dei numeri sopra citati saranno disponibili sul sito dell'Istituto al momento della spedizione


Informazioni: quaderni.cesvam@istitutonastroazzurro.org

sabato 26 settembre 2020

II Fronte della Guerra di Liberazione. La difesa tedesca

 APPROFONDIMENTI


ROMPERE L'UNITA' DEL  COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE

 


I tedeschi, forti della esperienza acquista nei Balcani, misero in atto azioni volte a dividere il fronte ribellistico. Un esempio di questa azione è dato dal tentativo di dividere il fronte romano. Il Comando tedesco a Roma prese contatto con un funzionario del Ministero degli Esteri, Filippo Grenet, che giustamente era sospettato di avere contatti con il fronte clandestino, e gli chiese di inoltrare ai capi, in particolare al Col. Montezemolo, una proposta molto chiara. Nessuna azione tedesca sarà sviluppata contro i carabinieri ed i militari del fronte militare; in cambio il fronte clandestino doveva collaborare alla cattura degli elementi comunisti e degli altri partiti di sinistra che facevano capo al CNL. Lo scopo era quello di impedire ai partiti di sinistra di prendere il potere a Roma dopo la loro partenza, che era anche un obiettivo del fronte militare che faceva capo al Governo di Brindisi. La risposta di Montezemolo non giunse mai. Negli stessi giorni un altro del Comando tedesco, tramite un ufficiale, prese contatto con esponenti del gruppo comunista, in particolare con Carla Capponi, con una proposta: i tedeschi avrebbero lasciato in pace i comunisti se questi avessero collaborato a catturare i militari badogliani ed i carabinieri appartenenti al movimento clandestino militare. Le trattative si svilupparono al fine di avere ulteriori dati, poi un G.A.P: romano si incaricò di uccidere l’ufficiale tedesco.

Il tentativo di dividere le varie componenti il fronte ribellistico, di cui era nota la diversa estrazione ideologica e partitica, fu costante per tutto il 1944 e fu sempre respinto in ogni luogo ed in ogni circostanza. Il nemico era il tedesco occupatore, che andava combattuto; a questi si erano aggiunti i fascisti, ma anche le altre componenti la coalizione hitleriana, ma non spostava i termini della lotta. Questa constatazione permette di dire che la guerra di liberazione, anche per il II fronte, non è stata una guerra civile, ma una guerra che il popolo italiano ha combattuto per liberare il proprio paese da una coalizione occupatrice.



(m.c.)



(m.c

venerdì 25 settembre 2020

Riflessioni sulla Grande Guerra. Il Primo anno di guerra

APPROFONDIMENTI
La prima guerra mondiale
Nota di sintesi

SINTESI DEL 1915
Cadorna, in questo periodo diede quattro grandi battaglie; nessuno da parte avversaria può, meglio del Krauss, precisarne le caratteristiche. «Le truppe del Carso, egli ricorda, nei combattimenti preliminari dal 6 al 22 giugno, dovettero respingere quarantuno attacchi; nei sedici giorni poi della grande battaglia (dal 23 giugno al 7 luglio) dovettero respingere ottantasei pericolosi attacchi. Molti di questi attacchi portarono, dopo il permanere di intere unità sotto il fuoco d'artiglieria pesante dietro cattivi ripari, a mischie a corpo a corpo. In frequenti lotte di ore ed ore, ovvero in contrattacchi notturni, fu necessario respingere il nemico penetrato nelle nostre linee. Questa battaglia sarà sempre, per le truppe che vi hanno partecipato, di massimo onore. Col loro sangue dovettero difendere ogni zolla e lo fecero. L'alto comando potè soltanto far arrivare il più presto possibile le riserve delle altre fronti e sostenere e lodare la fermezza delle truppe. Durante la 1° battaglia dell’Isonzo si combattè accanitamente anche al XV corpo d’armata (fronte monte Nero-Tolmino)».
Le truppe austriache meritarono certamente la lode del loro capo di stato maggiore, ma i dati di fatto esposti rendono degne di ugual lode le nostre truppe, quando si pensi alle già descritte condizioni del terreno e dei mezzi. L’«Osterreichisch-ungarische Kriegs-berichte» pubblicato a Vienna durante la guerra, circa le prime due battaglie dell’Isonzo dice tra l’altro: «molto preoccupanti erano i progressi della fanteria italiana nel settore meridionale del Podgora. Alla sera del 3 luglio il nemico aveva guadagnato una linea rafforzata la quale era distante appena 180 passi dai nostri reticolati  . . . .
« . . . di notte gli zappatori avanzavano strisciando con tubi ripieni di esplosivi per aprire varchi. Essi (questi eroi, direi io) pagarono per lo più con la vita il loro proposito e questo era il sistema corrente». La stessa relazione descrive altri esempi avvenuti anche in pieno giorno durante questa battaglia: «un ufficiale del genio si portò strisciando verso le ore 16 sino ai reticolati. Egli vi cacciò dentro un tubo pieno di ecrasite e riuscì a farlo esplodere. L’ardimento gli costò la vita, ma il risultato fu troppo limitato per consentire un nuovo attacco».

giovedì 24 settembre 2020

La Guerra di Liberazione e la consistenza del Regio Esercito. Inizio 1944

 APPROFONDIMENTI

Il Regio Esercito all'inizio del 1944 

SOLO 14.000 COMBATTENTI

Il Regio Esercito in quel febbraio del 1944 non doveva eccedere la forza di 390.000 uomini; per l’immediato si davano i seguenti ordini:

-        Approntare una divisione per l’invio in linea;

-        Approntare due divisioni, una in Puglia ed una in Calabria per il successivo, eventuale impiego in combattimento;

-        Le divisioni italiane in Sardegna e nel continente, in relazione ai compiti della difesa di Napoli e della sicurezza interna a nord del territorio a nord della linea Napoli-Foggia erano a disposizione totale del generale Alexander, comandante del XV Gruppo di Armate;

-        Mettere a disposizione degli Alleati 45.000 uomini entro febbraio/marzo 1944;

-        Mettere a disposizione degli Alleati alti 60.000 uomini dopo marzo 1944:

-        La divisione “Sabaudia” doveva continuare ad assicurare la sicurezza del territorio in Sicilia

-        Erano assicurati i mezzi navali per il trasferimento di uomini dalla Sardegna al continente nella misura di 10.000 unità al mese con precedenza assoluta ai reparti di lavoratori, anche rispetto ai reparti della Divisione “Nembo”.

Il documento è una valida testimonianza del rapporto esistente tra gli Alleati e le Forze Armate Italiane. Praticamente tutto dipendeva dalle disposizioni degli generali alleati[1] della Commissione Militare di Controllo e dalle sue sottocommissioni. Il lavoro dei responsabili italiani, ai vari livelli di responsabilità, ovvero il Ministro della Guerra, gen. Orlando, il Capo del Comando Supremo, generale Messe, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Berardi e di tutti gli altri generali ed ammiragli, consisteva nel contrastare le disposizioni alleate e cercare di strappare ulteriori concessioni nel superiore interesse italiano, che era quello di esistere con unità combattente e di limitare al massimo l’impiego come unità logistiche ed ausiliare.

Ai primi di marzo, dopo varie riunioni ai vari livelli, si arrivò a stilare cinque documenti in cui si stabilirono i vari contingenti delle forze italiane anche in relazione alla loro dipendenza; gli organici consentiti per la organizzazione centrale[2], per i Distretti, Depositi e Campi di addestramento e transito, definiti nel loro insieme Unità statiche; per i servizi logistici della nostre Unità ed infine quelli per i Reali Carabinieri e per il Corpo della Reale Guardia di Finanza.

Nella sostanza a metà marzo 1944 si aveva questo organigramma per l’Esercito:

- Unità combattente:

  . Divisioni da combattimento 12.000 uomini

  . Complementi, 2000 uomini

  . Base ferroviaria avanzata, 100 uomini (forza approssimativa)

    Per un totale di 14100 uomini

- Unità dipendenti dallo Stato Maggiore Regio Esercito

   a) nel territorio continentale:

       . Comando LI Corpo d’Armata, 300 uomini

       .. Divisione “Mantova”, 10.000 uomini

       .. Divisione “Piceno”, 10.000 uomini

       . Comando di un Corpo d’Arma (non definito), 300 uomini

       .. una divisione, 10.000 uomini

       .. una divisione, 10.000 uomini

       .. una divisione, 10.000 uomini

       . Difesa contraerea della Calabria, 500 uomini

         per un totale di 51.000 uomini

   b) in Sicilia:

        . un Comandi di Corpo d’Armata, 300 uomini

        . Divisione “Sabaudia”, 10.000 uomini

        . una divisione (da trasferire dalla Sardegna), 10.000 uomini

          per un totale di 20.300 uomini

   c) in Sardegna:

         . un Comando di Corpo d’Armata, 300 uomini

         . una divisione, 10.000 uomini

         . una divisione, 10.000 uomini

         . una divisione, 10.000 uomini

         . difesa contraerea, 2.000 uomini

         Per un totale di 32300 uomini     

-        Unità dipendenti dal Comando del XV Gruppo di Armate alleate

          a) già impiegate, 81.800 uomini

          b) da impiegare, 100.000 uomini

          c) controllo traffico, 2.700 uomini

          per un totale di 185.000 uomini

-        Personale di unità miste,

. 7° Reggimento artiglieria da Montagna

              . 50° Reparto salmerie CSDIC,

per un totale di 1000 uomini

-        Amministrazione

. Organizzazione centrale, 4.470 uomini

. unità statiche, 15.000 uomini

. servizi, 23.400 uomini

        Per un totale di 82.870 uomini

-        Reali Carabinieri e Reale Corpo della Guardia di Finanza

Per un totale di 30.000 uomini

 

Il totale dei contingenti che sono indicati nei documenti della Commissione Alleata di Controllo assommavano a 377.070 uomini. Il dato più importate resta quello delle unità di combattimento, il cui numero non superava i 14.100 uomini ovvero, ovvero a stento rappresentavano solo il 5% del Regio Esercito.

 (massimo coltrinari)

[1] In sostanza il brigadiere generale Mason- MacFarlane, presidente della Commissione Militare di Controllo e il gen. Duchesne. Questi due generali britannici erano i reali depositari del potere in merito alle Forze Armate Italiane.

[2] Comando Supremo, Ministero della Guerra, Stato Maggiore dell’Esercito, Aeronautica e Marina, Guardia reale, I Gruppo Guide, Accademia Militare.


mercoledì 23 settembre 2020

Verso il completamento del progetto 2018/a dedicato alle Leggi Raziali

ARCHIVIO

Alessia Biasiolo


La copertina del volume I

Il Diverso, tra passato e futuro
La Giudeofobia ed altro nella nostra società

 

martedì 22 settembre 2020

Il fronte ribellistico. La strategia di sopravvivenza

 APPROFONDIMENTI

Caratteri della guerra rivoluzionaria 

e sovversiva nella Guerra di Liberazione


STRATEGIA DAL DEBOLE AL FORTE


Guerriglia e Terrorismo



Le varie iniziative di carattere spontaneo di reazione alla azione tedesca via via confluirono in un più ampio quadro di azione contro i tedeschi. Ormai si doveva passare ad un’azione coordinata, con una direzione centrale che coordinasse l’azione in un piano più ampio sia militare che politico. Usando una terminologia attutale, si doveva adottare una strategia dal debole al forte, avendo constatato che quella adottata all’indomani dell’armistizio era sostanzialmente fallita. Pensando di adottare una strategia di forte a forte, usando i canoni della guerra classica, le forze ribellistiche sarebbero state annientate in breve tempo. Tenere le posizioni, ancorarsi al terreno, agire con formazioni in linea, erano praticamente azioni destinate al fallimento. Si doveva passare alla guerriglia ed all’attentato isolato, tipiche forme della guerra rivoluzionario e/o sovversiva, per i militari di professione, di qualunque paese, soprattutto durante la seconda guerra mondiale, per l’educazione ricevuta, il guerrigliero, il partigiano, il ribelle, il patriota era una figura infida, quasi avvicinabile al criminale di guerra. Assaltare in molti un presidio isolato, massacrare i pochi componenti, portare via prima che le armi e le munizioni, i viveri e gli equipaggiamenti erano azioni considerare più da fuorilegge che da veri soldati. Ma per i combattenti del II fronte questa era l’unica forma di approvvigionamento: quella di prendere ciò che serviva al nemico. 


Le reazioni che si ebbero a tali azioni spesso sono anche motivate da irritazione e rabbia da parte dei soldati che erano di un esercito regolare, che non accettavano di subire perdite in questo modo che consideravano da delinquenti comuni. Per il II fronte era un aspetto molto delicato. Le azioni che si attuavano dovevano essere indirizzate ad obiettivi militari, non fine a sé stessa, in quanto sarebbe stato deleterio e controproducente se presso la popolazione si fosse diffusa la convinzione che queste azioni erano fini a se stesse, e non inserite nella lotta contro il nemico invasore. Ancora più difficile far comprendere le azioni singole di uccisione di questo o quello, che appariva come un semplice assassinio e non una azione di guerra. 


Le azioni dei G.A.P. e dei S.A.P. nelle città, nel quadro della guerriglia urbana, avevano come obiettivo di minare la sicurezza ed il movimento di tedeschi e fascisti, costringendo ad impiegare truppe molto più utili altrove.  Questo non era accettato in linea generale dalla mentalità di tutti gli aderenti alla Repubblica Sociale che consideravano questi atti non atti di guerra, ma atti criminali, con una reazione spesso inconsulta, che peraltro portava a degli eccessi, che sfociavano in rappresaglie ed eccidi, che a loro volta non avevano altro risultato che rafforzare il fronte ribellistico


lunedì 21 settembre 2020

Riflessioni sulla Grande Guerra. La mancata cooperazione Serba

APPROFONDIMENTI
La Prima Guerra Mondiale
 Rapporti con gli alleati



(vds nota pubblicata in data 16 settembre 2020

Ora i motivi della decisione russa sono così esposti dal Danilow:
«Io ricordo che nel corso dell’estate 1915 il gran quartier generale ricevè la visita di un rappresentante del comando serbo, del quale, con mio gran rincrescimento non ho ritenuto il nome.
«Questo rappresentante del nostro valoroso alleato fece un esposto particolareggiato della situazione dell’esercito serbo. La Serbia, se lo si fosse giudicato indispensabile, era in condizioni di sferrare un’offensiva energica, ma breve; dopo ciò essa sarebbe estremamente indebolita e senza possibilità di ristabilirsi per lungo tempo. La Serbia, ci dichiarò il suo rappresentante, era pronta a fare questo ultimo sforzo al primo cenno del generalissimo russo, ma bisognava che la Russia sapesse bene che in seguito essa non potrebbe più nulla per la causa comune: essa rimarrebbe inanimata, senza forze . . . .
«La Russia non poteva accettare un così grande sacrificio da parte dell’eroico piccolo paese. Il nostro esercito era costretto a ripiegare su tutta l’estensione della sua fronte sud-ovest; l’offensiva italiana sull’Isonzo era arrestata; la cooperazione della Serbia in virtù della convenzione russa-italiana era rimasta lettera morta. In queste condizioni non sarebbe stato giudizioso di sacrificare l’esercito serbo e il granduca Nicola trovò preferibile di non insistere per un'offensiva della Serbia; il suo esercito doveva soltanto rimanere in stato di perfetta preparazione, alfine di potere entrare in azione al momento voluto.
«Questa decisione non fu, tuttavia, accolta molto favorevolmente in occidente dove si giudicò indispensabile la cooperazione italo-serba che non fu, del resto, mai realizzata . . . .» certamente però, non per colpa dell’Italia.

domenica 20 settembre 2020

20 settembre 1870. La presa di Roma


APPROFONDIMENTI
Nel 150° anniversario


L’Arma di Artiglieria a Porta Pia

Di 
 Vero Fazio 

L’iconografia ufficiale che ha contribuito a rendere popolare la vicenda riguardante la presa di Porta Pia da parte del Regio Esercito e, quindi, l’acquisizione di Roma che doveva divenire poco dopo la nuova Capitale del Regno, è certamente quella del notissimo quadro di Michele Cammarano: La carica dei bersaglieri alle mura di Roma (1871, Napoli, Museo di Capodimonte).
Il quadro ha legato indissolubilmente i Fanti Piumati a quella vicenda, realizzando un “cortocircuito” sintetizzato dal binomio “Bersaglieri – Roma italiana”.
Nella realtà le cose non andarono proprio così e senza nulla togliere ai tantissimi meriti che vanno ascritti alla notissima Specialità dell’Esercito italiano nei suoi 184 anni di vita (la Specialità della Fanteria denominata “Bersaglieri” fu creata il 18 giugno del 1836, per una felicissima intuizione del Generale Alessandro La Marmora), il compito dello storico è quello di ricercare e divulgare la verità nel modo più completo su quanto accade a Roma in quella splendida  mattinata di pieno sole che fu il 20 settembre del 1870. E’, infatti, storicamente ed eticamente corretto attribuire a tutte le Armi ed a tutti i Corpi che costituirono il Corpo di Spedizione italiano il giusto merito, per quello che fu uno degli episodi più significati sulla strada dell’unificazione della nostra Nazione.
In particolare, in questa sede verrà esaminato il ruolo ricoperto dall’Arma di Artiglieria, cui si deve la rottura materiale della cinta muraria della Città Eterna e l’apertura del varco da cui irruppero le truppe.    
Per l’occupazione di Roma, il Regio Esercito costituì un complesso di forze denominato inizialmente Corpo d’osservazione dell’Italia centrale e successivamente IV Corpo d’Esercito, agli ordini del Generale Raffaele Cadorna, inizialmente su tre Divisioni, portate a cinque nell’imminenza dell’attacco, per un totale di 60000 uomini[1] che dovevano vedersela con circa 17000 pontifici.
Questa determinazione era derivata dallo scoppio del conflitto Franco-Prussiano e dagli esiti che lo stesso ebbe il 2 settembre 1870, con la sconfitta delle armi francesi a Sedan e la conseguente caduta del Secondo Impero, da sempre fedele custode dell’indipendenza dello Stato Pontificio; lo stravolgimento politico che ne derivò aprì di fatto all'Italia la strada per Roma.
Il piano operativo approntato per l’esigenza dallo Stato Maggiore del Generale Cadorna prevedeva uno sforzo principale a nord dell’Urbe, nel tratto di mura Aureliane compreso tra Porta Salaria e Porta Pia, e tre sforzi dimostrativi/diversivi, esercitati: in corrispondenza di Porta San Pancrazio ad ovest (2a Divisione, Gen. Nino Bixio); a cavallo delle vie Tiburtina e Prenestina ad est (13a Divisione, Gen. Emilio Ferrero); tra Porta Maggiore e Porta San Giovanni a sud (9a Divisione, Gen. Diego Angioletti).
Dal punto di vista delle artiglierie in organico, il IV Corpo d’Esercito disponeva di una Brigata di artiglieria (la Brigata era una unità organicamente assimilabile all’attuale Gruppo di artiglieria, ciascuna su tre batterie di sei pezzi) per ognuna delle cinque Divisioni ed erano armate con cannoni da campagna da 9 cm., appartenenti al 7°, all’8° e al 9° reggimento (solamente la 2a Divisione “Bixio” disponeva di una Brigata su quattro batterie da campagna da 9 cm., una del 7° e tre dell’8° reggimento).
Oltre a queste, il Gen. Cadorna disponeva anche di una Riserva di artiglieria, costituita dalla 2a Brigata del 9° Reggimento, armata con 18 pezzi più potenti da 12 cm. e che era destinata all’effettuazione del cosiddetto “tiro di breccia”, per aprire un varco nella cinta muraria[2].
Per investire Porta Salaria e Porta Pia, il tratto meno robusto delle mura, furono designate la 11a Divisione, comandata dal Gen. Enrico Cosenz, e la 12a, agli ordini del Generale Gustavo Mazè de la Roche, che provenivano da Civitacastellana, dove avevano sostenuto uno scontro con truppe papaline; insieme a queste, prese posizione la Brigata di artiglieria della Riserva.
In particolare, le tre batterie del 7° Reggimento da campagna che erano in organico alla 11a Divisione, si schierarono a cavallo della via Salaria: una, a circa 500 metri dall’omonima porta, con il compito di sfondarla, mentre le altre due avrebbero dovuto svolgere “tiri di molestia in arcata” ed appoggiare il tiro di breccia delle batterie della Riserva; quelle in organico all’12a Divisione, altre tre batterie del 7° Reggimento da campagna, vennero poste a cavallo della via Nomentana, con compiti di molestia nei confronti dei difensori.
Per l’effettuazione della rottura materiale delle mura, come accennato, vennero destinate le tre batterie della Brigata di artiglieria della Riserva, che era comandata dall’allora Maggiore Luigi Gerolamo Pelloux, che successivamente tanta parte ebbe nella storia del giovane Regno d’Italia, ricoprendo, prima, la carica di Ministro della Guerra e, successivamente, quella di Presidente del Consiglio dei Ministri, e che era composta dalle batterie 5a, 6a ed 8a, comandate, rispettivamente, dai Capitani Giacomo Segre, Luigi Castagnola e Francesco Rogier. Delle tre, la 5a batteria “Segre” fu destinata a svolgere l’azione di fuoco principale e venne schierata a poco più di 500 metri di distanza dalle Mura, tra la via Salaria e la via Nomentana, le altre, schierate a tergo, avrebbero svolto un compito di concorso; l’unità alle ore 5 e 20 iniziò un fuoco particolarmente preciso ed efficace ed alle 9 e 30 la breccia era già praticata per un’ampiezza di circa 30 metri alla destra della Porta Pia[3].
La reazione degli Zuavi pontifici fu violenta ed un fitto fuoco di fucileria partente da un avamposto creato al di fuori delle mura, in corrispondenza di Villa Patrizi, si abbatté sulla batteria “Segre”, causandole gravi perdite, tanto che il Gen. Mazè, per far cessare il fuoco dei difensori diretto contro gli artiglieri, dette ordine al dipendente XXXV battaglione bersaglieri, poi rinforzato dal 39° Reggimento di fanteria della Brigata “Bologna”, di occupare subito l’avamposto, sloggiandone le forze papaline.
Alle 9,30, come detto, la breccia era realizzata e poco dopo su Villa Albani, sede del Comando del Cadorna, venne issato il Tricolore, segnale concordato che trasmetteva l’ordine del cessate il fuoco per le batterie e quello di attacco per le fanterie.
L’assalto fu portato contestualmente dai fanti del 19° Reggimento e dai bersaglieri del XXXIV battaglione della Divisione “Cosenz” e dal 41° Reggimento Fanteria e dal XII battaglione bersaglieri della Divisione “Mazè”. Entrambe le aliquote si mossero coperte dalla strada che costeggiava le mura e che in quel tratto correva in rilevato, occultandole al tiro rabbioso dei difensori. Questa “epica gara” fu vinta dalle truppe del Gen. Cosenz che irruppero per prime nella Città Eterna, ma fu il XXXIV Battaglione Bersaglieri a pagare un prezzo elevatissimo per questo primato, con la morte del suo Comandante, il Maggiore Giacomo Pagliari, che successivamente fu decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria. Contemporaneamente, i fanti del 39° Reggimento, Divisione “Mazè”, attraversavano Porta Pia e ne catturavano i difensori.
Il giorno dopo l’azione, il Governo diramò il comunicato che Roma era stata occupata dai soldati italiani ed il Capitano Segre scrisse alla giovane sposa: “Ieri fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione le truppe pontificie fecero resistenza e si dovette coi cannoni aprire la breccia che poi fu presa d’assalto dalla fanteria e dai bersaglieri. La mia batteria prese parte all’azione e si batté con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il mio tenente che morì stamane. Povero bel giovanottino di ventiquattro anni! Ferito ugualmente altro caporale che forse non camperà sino a questa sera e più leggermente altri quattro cannonieri”.
Alla fine, la batteria conterà 3 caduti, il Luogotenente Giulio Cesare Paoletti[4], i Caporali Michele Plazzoli e Carlo Corsi, e quattro feriti. Per la sua perizia e per la condotta efficace del suo reparto, il Capitano Segre verrà decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare “Per la splendida direzione data al fuoco della sua batteria”. Il Maggiore Pelloux ottenne la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, il Luogotenente Paoletti venne decorato “Alla Memoria” con una Medaglia d’Argento e sette “cannonieri” ricevettero la Medaglia di Bronzo.
Al Capitano Giacomo Segre, questa brillante e storicamente significativa azione non gli valse a percorrere una carriera altrettanto brillante, al punto che il 1° maggio del 1894 nel grado di Colonnello lasciava il servizio attivo a domanda.
Il successivo 10 ottobre Giacomo Segre morì e venne sepolto nel cimitero ebraico di Chieri (TO) e nonostante che il suo nome resti legato ad uno degli eventi più importanti della storia d’Italia, il ruolo da lui ricoperto in quel lontano 20 settembre 1870 rimane ai più certamente ignoto.


[1] Filippo Stefani, La Storia della Dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito Italiano, I Volume, p 237.
[2] Filippo Stefani, op. cit., pag. 238.
[3] Alcune note del tempo attribuiscono la scelta della batteria “Segre” per sparare i primi colpi contro le mura della “Città Eterna”, nella considerazione dell’appartenenza alla Religione ebraica del suo Comandante, il che l’avrebbe messo al riparo dal provvedimento di Scomunica papale, che si riteneva il Papa avrebbe irrogato nei confronti di chi per primo avrebbe reso palese l’inizio dell’attacco. In realtà la scelta venne determinata, più correttamente, tenendo conto delle capacità tecniche e di comando dell’Ufficiale.
[4] Luigi Gerolamo Pelloux, Quelques souvenirs de ma vie, p 85.

sabato 19 settembre 2020

Iconografia. Traslazione del Milite Ignoto 1921

 ARCHIVIO

Alla vigilia delle celebrazioni del Centenario

della Traslazione del Milite Ignoto


a cura del Cav. Stefano Mangiavacchi




Traslazione del Milite Ignoto

 Arezzo 1921