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mercoledì 30 marzo 2016

Copertina Marzo 2016



QUADERNI ON LINE








Anno LXXVII, Supplemento online, III, 2016, n. 6
Marzo 2016
www.valoremilitare cesvam.blogspot.com




martedì 29 marzo 2016

Editoriale. Progetti e Programmi

Il terzo numero de "Quaderni on line", marzo 2016, ha visto, tra le altre note pubblicate, la pubblicazione dei riferimenti dei Progetti e dei Programmi che il Centro Studi sul Valor Militare ha messo in atto, tramite la Presidenza Nazionale, al fine di dimostrare la operatività e la validità aggredante dell'Istituto. Dopo la deludente stagione del 2015, in cui tra i 9 progetti presentati, cinque alla Presidenza del Consiglio, 4 al Ministero della Difesa, di cui solo uno accettato, si spera che nel 2016 le cose possano andare un pochino meglio. Il termine di scadenza per i progetti da presentare al Ministero della Difesa era il 29 febbraio, e lo abbiamo rispettato. Ora si tratta di aspettare, in attesa che la macchina ministeriale esamini, valuti e si pronunci.

Naturalmente non si rimane con le mani in mano; sono stati messi in esecuzione alcuni progetti, di cui alcune note sono apparse in questo mese di marzo e che devono essere integrate, essendo un post aperto per ogni file. 

Si è iniziato con il Progetto "Il valore Militare al Femminile", a cui abbiamo dedicato la copertina di questo mese di Marzo. La Briganti Boni, prima donna decorata di medaglia d'oro al Valor Militare per i noti fatti delle operazioni del giugno 1915 in Libia, ovvero una delle prime medaglie d'oro della Grande Guerra. Ora si è alla ricerca delle singole decorate al valor militare, con la consueta difficoltà di trovare quelle decorate di Medaglia di Bronzo e di Medaglia d'Argento. Naturalmente ricerche superficiali ci danno solo le decorate di medaglia d'oro della guerra di liberazione, che alcuni siti, evidentemente poco aggiornati e incompleti, danno in numero 19, ma che non sono tali. Daremo, a pubblicazione avvenuta, le cifre esatte documetate per evitare le solite furbate di chi, senza ritegno, copia ed attinge alle ricerche ed al lavoro altrui. In questo momento si stanno approntando le motivazioni delle prime 43 donne decorate al valor militare, dei tre ordini di medaglia, con l'architettura prevista dal progetto.

Altro progetto messo in cantiere ed avviato,  è quello relativo alla costituzione del Nastro Azzurro, dal 1923 al 1928. Sono stati inseriti i primi 100 soci iscritti, con il relativo medagliere personale. In un post di marzo sono stati pubblicati i nomi del primi 25 soci dell'Istituto.

E' stato impiantata, come terzo progetto avviato, l'indice e i temi di ricerca del progetto "Il Valore Militare negli eserciti preunitari", ovvero la ricostruzione di una "Breve storia dell'Esercito delle Due Sicilie dal 1789 al 1860", in cui emergerà la nascita del pensiero militare italiano.

Infine, con l'amico Aldo Terrusi, avviato il quarto progetto, dedicato al contributo italiano alla nascita dello Stato Albanese - 1943-1946, con il recupero e la informatizzazione di materiale al momento edito.

Infine l'avvio del "programma"Dalle Cantine. Dalle Soffitte" in cui invitiamo i soci a presentare ricordi, mementos e materiale iconografico d'epoca a produrlo per evitare che vada disperso.

Un mese intenso, che prevede anche una ristrutturazione ulteriore del Centro Studi, con la articolazione del tempo da dedicare ai vari segmenti dei progetti avviati.

massimo coltrinari
(direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org)

lunedì 28 marzo 2016

Gli Ufficiali di S.M Caduti in Guerra. 1. Cugia di Sant'Orsola Luigi

APPROFONDIMENTI

Cap. Luigi Cugia di Sant'Orsola
Menzione Onorevole (Medaglia di Bronzo), Battaglia della Cernaia, 1854
Medaglia d' Argento al Valor Militare, Palestro, 30 Maggio 1859
Croce di Cavaliere, Ordine Militare di Savoia, alla memoria, Castelfidardo, 18 settembre 1860

Biografia
CAP. LUIGI CUGIA DI SANT'ORSOLA
Nacque a Torino il 1 maggio 1834. Allievo nell'Accademia Militare nel 1848,
 ne uscì sottotenente di fanteria nell'agosto 1854. L'anno seguente partecipò 
alla campagna di Crimea, rimanendo ferito da arma da fuoco ad una gamba nella 
battaglia della Cernaia e meritando una menzione onorevole. 
Nel 1858 fu ammesso al corso speciale di studi presso 
il R. Corpo di Stato Maggiore, e l'anno seguente fu addetto 
allo Stato Maggiore della IV divisione. In tale qualità, 
prese parte alla campagna del 1859, guadagnando 
una medaglia d'argento al valor militare 
“per essersi distinto nella giornata di Palestro (30 maggio 1859)
 e per i servizi resi durante tutta la campagna”. 
Promosso quindi capitano e nominato ufficiale aggregato 
al Corpo Reale di S. M. con determinazione del marzo 1860,
 sei mesi dopo (il 18 settembre 1860), cadeva da prode sul
 campo di Castelfidardo. Alla memoria del capitano 
Cugia di Sant'Orsola fu decretata la Croce di cavaliere
 dall'Ordine Militare di Savoia con la seguente motivazione:
 “Per l'ammirevole sua condotta, slancio e sangue freddo
 superiore ad ogni elogio, e perché con l'esempio e 
con la voce, alla testa della sua compagnia, caricava 
più volte alla baionetta con felice successo il nemico, perdendo la vita combattendo”.

sabato 26 marzo 2016

Grandi figure di Comandanti di Marina

APPROFONDIMENTI
Ferdinando Sanfelice di Monteforte 

Chi sono i grandi Comandanti di Marina, come indica il titolo? Si possono seguire due interpretazioni: la prima, più classica, è quella di scegliere dei personaggi che siano un esempio di vita, nella buona come nella cattiva sorte, per Voi giovani.
Come esempio di questo primo approccio, vorrei citarVi un comandante della II Guerra Mondiale che, quando la sua nave, colpita, stava affondando, riunì l’equipaggio, lo fece calare in acqua e poi rimase a bordo, per affondare con la sua nave. Sentiamo come lo descrisse il grande Buzzati:
“La sua figura nelle tenebre tra l’eco degli ultimi schianti pareva ancora più alta del solito; essa aveva ancora la sua eleganza severa e nessuno, tranne l’ufficiale di rotta, aveva notato il segno vermiglio sulla guancia. Un ufficiale, voltandosi indietro mentre si allontanava a nuoto lo vide ancora fermo in coperta. Poco prima aveva tratto di tasca l’astuccio delle sigarette, ne aveva infilata una con cura nel lungo bocchino, aveva acceso, come fosse una sigaretta qualsiasi (e non l’ultima della sua vita). Si narra pure da alcuno che, in tal modo fumando, si sia allontanato verso prora, sulle lamiere già oblique, in silenzio, scomparendo tra nembi di fumo. Forse desiderava restare qualche istante ancora da solo, a pensare, per dire addio alla nave morente”[1].
La seconda strada, che seguirò oggi, è invece quella di parlarVi di alcuni comandanti che sono divenuti grandi, per effetto delle vittorie che essi hanno conseguito. Questa scelta riflette una distinzione che, fin dall’epoca dell’Unità, è stata fatta nell’assegnare le decorazioni, rispettivamente ai valorosi ed ai vittoriosi: infatti, oltre alle medaglie al valore, che premiano il coraggio, anche se sfortunato, vi sono sempre state le decorazioni dell’Ordine Militare d’Italia che, prima della Repubblica, si chiamava Ordine Militare di Savoia.
Queste ultime, in particolare, sono sempre state concesse a chi avesse riportato una vittoria, evento che, come diceva Napoleone, è “il grande fattore morale, che raddoppia le energie, che domina la guerra e che diffonde l’ebbrezza della fiducia, rafforzata dal successo ottenuto”[2].
Intendiamoci bene! Non sempre chi vince è un personaggio che meriti di essere riprodotto, con tanto di aureola, nelle immaginette dei santi, da tenere dentro il Messale Romano, e guardare la domenica alla Santa Messa. Talvolta i vittoriosi – e lo stesso Nelson non sfugge a questa regola - sono dei tipacci, che uniscono all’enorme genialità dei terribili difetti di carattere, e ne vedremo, alla fine, un esempio. Questo spiega perché, in Marina, si preferisca esaltare l’ardimento, il valore, il sacrificio dei singoli, piuttosto che questo tipo di personaggio, decisamente scomodo e controverso.
Peraltro, dovendo arrivare gradualmente a questo tipo di persona, partiremo da un “vincitore tranquillo”, senza gravi difetti di carattere.
Il primo personaggio di cui vi parlerò è infatti il Comandante Giovanni Cerrina Feroni, poi divenuto Ammiraglio di Squadra della Riserva Navale (scopriremo il perché fra poco). Nato a Firenze il 18 luglio 1866, Cerrina Feroni frequentò l’Accademia con risultati di rilievo, tanto che, sulla sua prima nota caratteristica, l’Ammiraglio Comandante scrisse, il 30 settembre 1886, “è il primo del suo corso. Promette di farsi un buon ufficiale”. A dire il vero, il Comandante alla classe, pur riempiendolo di lodi, visto che, durante la campagna navale estiva, Cerrina aveva svolto da Allievo le funzioni di un Guardiamarina, annotava alla fine: “se seguita ad occuparsi e diventa più attivo, sarà un buon ufficiale”, segno che, come tutti i giovani, anche lui aveva i suoi momenti di pigrizia.
Dopo l’Accademia, nelle successive destinazioni d’imbarco, prima nel Mar Rosso e poi nelle Americhe, tutti i Comandanti che lo avevano avuto a bordo dichiararono di averlo impiegato con funzioni del grado superiore, e lo proposero per promozioni anticipate. Questa proposta, normalmente, suscitava le ire degli Ammiragli che revisionavano le note caratteristiche, non tanto per scetticismo, ma per il bisogno di evitare carriere molto più rapide della media del tempo, purtroppo molto lenta.
Vediamo quindi il Contrammiraglio Martinez che osserva: “buon ufficiale e basta!”, il Vice Ammiraglio Lovera di Maria che dice “confermo, con riserva circa la promozione a scelta”, e così via. Da notare che tutte queste note entusiastiche riguardavano imbarchi su navi destinate all’estero, in Mar Rosso o nelle due Americhe, in un’epoca in cui, da quella parte del mondo, si navigava senza una cartografia attendibile, si facevano brutti incontri per mare e, quando si scendeva a terra, armati fino ai denti, si rischiava la pelle ogni momento.
Le nostre navi, poi, non erano le più adatte a navigare nei mari lontani, vuoi nel caldo asfissiante delle zone equatoriali, vuoi con l’onda lunga dell’oceano. Sentite questo rapporto di navigazione della Regia Nave Etna, dove era imbarcato il T.V. Cerrina, quando passò un giorno alla cappa, non potendo, per il cattivo tempo, entrare a Madera: la nave
 “si abbandonava a lente rollate di 35º in media, e nonostante che la velocità fosse stata ridotta al minimo consentito per governare, il mare invadeva violentemente la prua ed il palco di comando, minacciando avarie”[3].
 All’epoca, invece delle belle plance che vedete, quando andate a bordo, vi era una specie di palchetto, aperto a tutte le intemperie, dove stavano il comandante e l’ufficiale di guardia. Vi ricordo anche che la stessa parola “plancia” viene dal francese “planche”, che vuol dire “tavola”, del tipo, per intenderci, di quelle usate nell’edilizia!
Il fatto è che, comunque, in mezzo a tutte queste difficoltà, il giovane Tenente di Vascello Cerrina Feroni, come scrisse un suo Comandante, dimostrava di possedere “in alto grado le migliori doti che possano desiderarsi in un ufficiale”, oltre ad essere poliglotta, e quindi particolarmente ricercato per destinazioni su unità destinate in mari lontani.
Dopo tanti anni d’imbarco, arrivò, come accade ad ogni buon Ufficiale alla Rotta ed ai Segnali, il momento di fare l’Aiutante di Bandiera ad Ammiragli in Comando Navale. Era il 1895, ed il TV Cerrina Feroni si rese talmente utile che i suoi Ammiragli non lo mollarono, se non per farlo andare in Comando, ben quattro anni dopo.
Merita citare, a tal proposito, la lettera che il suo Ammiraglio, nel lasciarlo andare, scrisse nientemeno che al Ministro della Marina:
“sento il dovere, nel separarmi da lui, di segnalare all’E.V. i meriti di quest’ufficiale, abilissimo in tutto quanto può richiedersi da un militare del suo grado, molto zelante, intelligente, dotato di ottimo carattere e di molta coltura (sic!)”.
Il comando si svolse prima sulle Torpediniere e poi sul Rimorchiatore Ercole, basato a Napoli ed impegnato per mille servizi, fra cui il rimorchio di bettoline a La Maddalena. Per inciso, questa base era stata ideata in funzione anti-francese e, a quell’epoca, era ancora in costruzione, mentre, nel frattempo, i rapporti con i nostri cugini d’oltralpe erano diventati di nuovo amichevoli. Inutile dire che, anche durante quel periodo, piovvero ben meritati elogi sul giovane comandante.
Dopo essersi distinto in quel modo, dove poteva andare un giovane e brillante ufficiale, nella sua prima destinazione a terra? Ovviamente a Roma, dove il Comandante Cerrina fu prima ai movimenti ufficiali e, dopo il comando del Barbarigo, ancora nel Mar Rosso, nell’ufficio del Capo di Stato Maggiore, o per meglio dire, in quello che fu il nucleo iniziale di uno Stato Maggiore, inteso come oggi, e quindi un organismo che guarda avanti, prepara piani e programmi, in sintesi delinea la politica di Forza Armata.
Ma la penetrazione italiana nel Corno d’Africa richiedeva personaggi di qualità, ed il Ministero delle Colonie chiese il Comandante Cerrina per sostituire “temporaneamente” il governatore del Benadir – per intenderci, la zona di Mogadiscio – che si era ammalato.
Come spesso accade da noi, questo incarico, che doveva durare pochi mesi, lo occupò invece per tre anni, visto che i suoi sostituti si rendevano indisponibili l’uno dopo l’altro, sempre all’ultimo momento. Certo, governare il Benadir non era una destinazione di tutto riposo, ma sorge il sospetto che il Ministero delle Colonie fosse giunto alla conclusione, come dice il proverbio, che “cavallo vincente non si cambia” e fece di tutto per tenersi il Comandante Cerrina, promosso, nel frattempo Capitano di Vascello.
Questo tira e molla, peraltro, aveva sollevato qualche malumore, in Marina, tanto che, una volta rientrato e destinato in comando del piccolo incrociatore Liguria, il suo Ammiraglio, Borea Ricci, osservò nelle note caratteristiche, nel novembre 1911, che il comandante Cerrina “è uno di quegli ufficiali che non vissero nel Corpo né sul mare a sufficienza. È un peccato che quest’ufficiale resti sempre e troppo a terra, perché è molto intelligente e se navigasse sul serio potrebbe giustamente aspirare ad alti comandi”.
Inutile dire che queste valutazioni erano un tantinello ingiuste, e lo si vide pochi mesi dopo quando, nell’imminenza della guerra con la Turchia, al Comandante Cerrina fu affidato il Comando Superiore delle nostre forze navali in Mar Rosso, incarico normalmente affidato ad un Contrammiraglio.
Non si poteva fare una scelta migliore, ed i risultati si videro subito: le nostre navi erano dovunque, lungo le coste nemiche dell’attuale Arabia Saudita e dello Yemen, costringendo il nemico sulla difensiva. Inoltre, il Comandante Cerrina convinse gli sceicchi dello Yemen a ribellarsi all’Impero Ottomano, moltiplicando quindi le difficoltà per le truppe turche che presidiavano la penisola arabica, finché, il 6 maggio 1912, le nostre navi sorpresero la flottiglia nemica nella baia di Kunfida, oggi Al Qunfudhah, distruggendo l’intera flottiglia di 7 cannoniere e catturando lo yacht Fauvette, nave di bandiera del commodoro turco, che fu portato a Massaua, come preda di guerra.
Bisogna notare che, con questa azione, la Marina Italiana aveva conquistato, nel Mar Rosso, il dominio assoluto del mare, evento rarissimo nella storia e sempre considerato, dagli studiosi di strategia, come il fine ultimo da perseguire, nella guerra navale. Il Comandante Cerrina Feroni rimane, quindi, l’unico marinaio italiano a poter vantare un tale risultato. La motivazione della commenda di Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia è chiarissima: “egli ottenne l’annientamento di tutte le unità nemiche stazionanti nel Mar Rosso”. Non vi sono motivazioni simili in tutta la nostra storia, a parte questa!
Alla fine della guerra, lo stesso Presidente del Consiglio, Giolitti, lo impiegò per svolgere delle missioni di diplomazia segreta nel 1913, e poi lo fece passare al Ministero delle Colonie, alee cui dipendenze egli trascorse il resto della sua carriera, divenendo prima governatore dell’Eritrea e quindi governatore della Somalia.
In fondo, seguendo la sua passione per l’Africa, egli aveva trovato un modo elegante per uscire di scena, sottraendosi quindi alle invidie dei colleghi e dei superiori. Vedremo fra poco cosa accade, nel caso contrario.
Negli anni che seguirono, la Marina, in segno di riconoscenza, gli conferì tutte le promozioni, quale ufficiale della Riserva navale, fino al grado di Ammiraglio di Squadra. Andato in pensione, Cerrina Feroni si stabilì a Roma, dove morì il 2 luglio 1952, a 86 anni.
Oggi, nel quartiere romano delle Medaglie d’Oro, fra le traverse di via Trionfale,si può notare, dopo via Premuda, una via Cunfida (sic), il ricordo più tangibile che ci rimane, nella capitale, della più importante vittoria mai conseguita dalla nostra Marina.
Agli atti dell’Ufficio Storico, inoltre, c’è una lettera che dice molto sull’importanza dell’azione svolta dal Comandante Cerrina in Mar Rosso, azione culminata con la vittoria di Kunfida. L’allora Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, alla fine della guerra, scrisse infatti questa valutazione sul nostro personaggio, controfirmata dal Capo di Stato Maggiore:
“L’azione svolta e diretta dal Comandante Cerrina durante tutto il lungo periodo di guerra, in cui tenne il Comando Superiore navale in Mar Rosso, fu sotto ogni riguardo oltremodo commendevole, sia per gli alti concetti cui la ispirò, sia per i risultati ottenuti, tanto nel campo guerresco che politico.
È con sicura coscienza che io sono in grado di giudicarlo meritevole della qualifica di Ottimo, per brillanti qualità di mente, vasta coltura professionale e generale, tatto diplomatico, squisita educazione civile e militare ed alto sentimento del dovere”.
La firma, in fondo alla lunga lettera, scritta di pugno, come si diceva un tempo, è quella del Contrammiraglio Emanuele Cutinelli Rendina, che era stata la mente pensante delle nostre azioni navali, durante quella guerra. È proprio di lui che parleremo ora.
Emanuele Cutinelli Rendina era nato a Napoli il 224 novembre 1860, ed entrò alla Scuola di Marina il 1 novembre 1874, come si usava allora, uscendone fra i primi, nel 1879. L’anno dopo, egli contrasse la sifilide, malattia che gli rese la salute cagionevole, costringendolo a cure periodiche all’estero, ma che non ne piegò il carattere né tantomeno la voglia di fare.
A bordo, il suo comportamento disciplinare non fu certo dei migliori: nel 1883 prese 3 giorni di arresti di rigore per non essersi recato al posto di manovra generale, poi nel 1886 egli si batté in duello, alla sciabola, con un sottotenente dell’Esercito, per una questione di donne, buscandosi un massimo di rigore. Ancora, nel 1888, gli furono comminati altri arresti di rigore “per il modo sconveniente con cui fu da lui redatto il Giornale di Chiesuola”. Infine, nel 1889, egli si fece tre mesi di fortezza, a Forte Belvedere a Firenze, per essere andato a pernottare a terra, essendo ufficiale d’ispezione sulla nave scuola canonieri Città di Napoli.
A questo punto, Voi direste che l’ufficiale era un fallito, e che sarebbe stato messo in un angolo, a condurre una carriera di scarso rilievo, senza soddisfazioni. Invece, si verificò, ogni volta, uno strano fenomeno: lo stesso comandante che, per beccarlo in flagrante e mandarlo in fortezza, si era alzato prestissimo per andare a bordo alle 5 di mattina, scrisse infatti di lui, sulle note caratteristiche: “buon ufficiale, che promette ottima riuscita. Sveglio, attivo, rispettoso”. Anche in tutte le altre valutazioni, a parte un ricorrente “non ancora ben piegato alla disciplina” i giudizi elogiativi si sprecavano, in quanto Cutinelli, come riconosciuto da tutti i suoi superiori, “sa farsi molto benvolere dai suoi inferiori mantenendo bene la disciplina ed ottenendo che lavorino di buon animo”. Anche per lui, abbondarono le proposte di avanzamento a scelta, malgrado la nota riluttanza degli Ammiragli verso un tal tipo di provvedimento.
Quando Cutinelli andò in comando, prima sull’Avviso Torpediniere Aquila, e poi sul Rimorchiatore Atlante, i Comandanti in Capo scrissero: “ottimo ufficiale, manovra la sua nave molto bene; non manca di notevole ardimento. È dotato di molto sangue freddo”. Si era nel 1896, l’anno della sconfitta di Adua, ed in questo periodo il T.V. Cutinelli ebbe pure una decorazione prussiana, per un evento che non è rimasto agli atti, ma che ha sicuramente una relazione con quei giudizi tanto elogiativi sul suo sangue freddo.
Dopo questi eventi, gli anni successivi furono, per Cutinelli, influenzati da una serie di difficoltà personali, dalla salute della moglie, che per avere dei figli si sottopose a tante operazioni, fino a morirne nel 1899, dalle cure per la sua malattia, che lo costrinse per alcuni anni a rinunciare a destinazioni d’imbarco prestigiose.
Qualche anno dopo, nel 1903, il Comandante incorse in un altro incidente, avendo preso a schiaffi il Direttore del giornale “La Palestra” di Taranto, che aveva lanciato accuse, poi risultate non veritiere, contro di lui ed un altro ufficiale, come poi venne fuori in sede di giudizio.
Qual’era la causa? L’anno prima, durante dei disordini provocati dagli operai dell’Arsenale, il comandante Cutinelli era andato a calmare gli animi, evitando l’intervento delle forze dell’ordine, all’epoca decisamente violento, anche a costo di buscare “colpi dei corpi contundenti” come disse il rapporto sui fatti. Il resoconto fatto dal “La Palestra” presentava però i fatti sotto tutt’altra luce, da cui la vendetta del comandante.
Di conseguenza, Cutinelli ebbe il comando del vecchio Duilio, in attesa di demolizione, e fu quindi inviato a comandare l’Urania, in Mar Rosso, in modo che restasse lontano per un bel po’. Sul campo d’azione, di nuovo vennero fuori le qualità dell’uomo, che resse anche, per qualche tempo, il comando della Stazione Navale, vale a dire quello di tutte le navi dislocate nell’area.
Ritornato in Patria, Cutinelli ebbe il comando della corazzata Emanuele Filiberto, e quindi della Regina Margherita, dove si distinse nell’organizzare i soccorsi durante il terremoto di Messina, meritando un ennesimo encomio, oltre al giudizio “possiede qualità che lo fano emergere”.
Di questo periodo rimane anche la testimonianza di un giovane ufficiale, Vittorio Tur, che scrisse, nelle sue memorie, a proposito di Cutinelli: “sapeva portare con abilità la nave, farsi benvolere dai suoi inferiori. Grande giocatore, intelligente, simpatico con coloro che gli andavano a genio, marinaio, fece ottima figura”[4].
Pochi mesi dopo, però, Cutinelli ne combinò un’altra delle sue, andando a Venezia, in incognito, dopo aver dichiarato di fare le cure a Salsomaggiore, e autorizzando addirittura il suo comandante in seconda a partire con la nave per le manovre estive, raggiungendola qualche giorno dopo, a Torre Gaveta, a nord di Napoli, con una motobarca. Giustamente, gli fu comminato un “severo rimprovero” insieme alla valutazione che “i suoi atti, nei rapporti disciplinari, non furono sempre informati alla dovuta ponderatezza”.
Anche qui, penserete, la sua carriera sarebbe finita. Venne invece l’incaglio del nuovissimo incrociatore San Giorgio, sulla Secca della Cavallara, davanti al villaggio di Marechiaro, ben noto per le canzoni napoletane. La nave stava conducendo le prove di macchina, e volle passare troppo rasente alla boa, che poi risultò fuori posizione, finendo di conseguenza sugli scogli.
Al Comandante Cutinelli venne affidato il comando dell’unità, che fu salvata grazie alla collaborazione fra lui ed il Comandante Cagni, malgrado i due si detestassero e si facessero dispetti terribili. In premio, gli fu conferita dal Re, motu proprio, la Commenda dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, “per aver assunto il comando della Regia Nave San Giorgio, in un momento difficile e pericoloso ed averlo conservato in maniera superiore ad ogni elogio durante il non breve periodo delle operazioni di salvataggio e per aver contribuito efficacemente al salvataggio medesimo dal punto di vista marinaresco”.
Venne quindi la guerra con la Turchia, e Cutinelli, da poco promosso Contrammiraglio, fu tolto dalla Direzione dell’Arsenale di Venezia e destinato a Roma, nell’incarico di Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, come abbiamo visto.
In effetti, i piani per la dimostrazione davanti a Beirut della Squadra navale, che affondò le navi turche nel porto, quelli dell’incursione nei Dardanelli e dell’occupazione di Rodi e del Dodecanneso uscirono tutte dalla sua mente vulcanica. La sua opera fu giustamente premiata dal Sovrano, che gli conferì il titolo di Grande Ufficiale, sempre dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro.
Finita la guerra, l’Ammiraglio Cutinelli ebbe il comando della Divisione Navale più importante, quella delle nuove corazzate veloci della classe Vittorio Emanuele. Un suo ufficiale lo descrisse così: “Cutinelli era un uomo che senza dubbio possedeva le qualità per emergere ed essere un capo brillante, energico e trascinatore di uomini. Alto, forte e asciutto, bruno, caratteristico nel suo modo di fare e di trattare, ebbe momenti felici nella sua carriera”[5].
A proposito dei suoi modi di fare, si racconta un aneddoto, che risale a questo periodo. Cutinelli era solito finire il pranzo, con gli ufficiali del suo Stato Maggiore, levando i calici e pronunciando il caratteristico augurio tipicamente napoletano, ironico ed allusivo, anche se un tantinello scostumato, “a’soreta”. Durante una campagna in Nord Europa, egli diede un pranzo in onore di un Ammiraglio olandese e, per la forza dell’abitudine, al momento dei brindisi, dopo il discorsetto di prammatica, pronunciò il solito augurio, senza pensarci troppo.
L’Ammiraglio olandese rispose con un altro discorsetto altrettanto gentile, finendo però con quella frase, ugualmente partenopea, che si usa per rispondere alla prima allusione, “a’mammeta”. Consapevole di aver sorpreso tutti, questi rivelò quindi di aver trascorso gli anni della giovinezza a Napoli, dove il padre era Console, ed aver imparato lì tutte le frasi proibite di quella lingua. Inutile dire l’amicizia che si instaurò fra i due, grazie a questo episodio!



[1] D. BUZZATI. Il Buttafuoco. A. Mondadori, 1992. pgg.16-17.
[2] A.T.MAHAN. Strategia Navale. Ed. Forum Relazioni Internazionali, 1997. Vol I, pg. 111.
[3] U.S.M.M. Storia delle Campagne Oceaniche della R. Marina. 1992. Vol II pg. 254.
[4] V. TUR. Plancia Ammiraglio. Ed. Moderne Canesi,1960. Vol II, pg. 119.
[5] Ibid. pg.240.

venerdì 25 marzo 2016

Progetto Le Origini del Nastro Azzurro 1923-1928. Da Istituto ad Ente Morale


E' stato avviato il progetto "Le Origini del Nastro Azzurro 1923-1928. Da Istituto ad Ente Morale".
La trascrizione dei soci è fatta a blocchi di 25 nomi, in modo tale che si possa avere il conto delle medaglie  assegnate.
 I primi venticinque iscritti all'Istituto del Nastro Azzurro, per un totale di 74 Medaglie al Valor Militare,  sono i seguenti soci:

1 Benito Mussolini Capo del Governo Roma
2 Acerbo Giovanni SSS di Stato Roma
3 Sardi Alessandro SSS di Stato Roma
4 Ciano Costanzo Ministro Roma
5 Suardo Giacomo Onorevole Roma
6 De Cesaris Ulderico Capitano Roma
7 Brenci Alessandro Ingegnere Roma
8 Gazzoni Umberto Avvocato Roma
9 Simoni Simone Cavaliere Roma
10 Polu Ettore Cavaliere Roma
11 Lissia Pietro Eccellenza Roma
12 SAR Emanuele di SA Conte di Torino Roma
13 Borricelli Maurizio Segretaro Gen. Roma
14 SAR Duchessa D'Aosta Firenze
15 SAR il Duca D'Aosta Firenze
16 Federzoni Luigi Ministro Colonie Roma
17 Caviglia Tenente Generale Roma
18 Diaz Armando Tenente Generale Roma
19 Trombetti Ugo Dottore Roma
20 Del Vecchio Pietro Avvocato Roma
21 Borni Alberto Colonnello Roma
22 Torse Edoardo Dottore Roma
23 Vaccari Giuseppe Tenente Generale Venezia
24 Natale Pier Tommaso Dottore Roma
25 Benedetti Achille Commendatore Roma

Da Notare che la Duchessa d'Aosta è iscritta in quanto decorata di Medaglia d'Argento al Valor Militare, unica donna iscritta fra i primi 25 soci. In totale vi sono 6 Gran Corce dell'Ordine Militari di Savoia, 1 Cavaliere dello stesso Ordine, 4 Medaglie d'Oro, 38 Medaglie d'Argento, 14 Medaglie di Bronzo ed 11 Promozioni per merito di Guerra, per n totale di 74 medaglie 

Massimo Coltrinari
 con la collaborazione di Alessio Pecce

Info: direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org

giovedì 24 marzo 2016

Progetto. Esercito Borbonico dal 1789 al 1860. La nascita del pensiero militare italiano

PROGETTI

 In merito al progetto posto in essere relativo all'Esercito delle Due Sicilie, in cui si analizzeranno gli ordinamenti e le istituzioni, per sviluppare approfondimenti sulla nascita del pensiero militare italiano nella prima metà dell'ottocento, si riporta il titolo della pubblicazione dell'indice alla data odierna.
Notizie e informazioni: centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org



Breve Storia dell’Esercito
delle
Due Sicilie 1789-1860

Presentazione . …….x
Prefazione . x
Ringraziamenti . x
Nota dell’Autore . x
Premessa . x

Introduzione. Le vicende storiche x

Capitolo 1 – La struttura x
1.1. Nota introduttiva x
1.2. Ministero x
1.3. Comandi x
1.4. Fanteria di Linea x
1.5. Cavalleria x
1.6. Corpi di Casa Reale x
1.5. Invalidi x
1.5. Le Milizie x

Capitolo 2 – La Giustizia Militare e la Disciplina x
2.1. Ordinanza del 22 maggio 1789 x
2.2. Reati in materia di subordinazione x
2.3. Delitti dei Soldati x

Capitolo 3 – Il Reclutamento e L’Istruzione x
3.1. Ufficiali: reclutamento x
3.2. Truppa: Reclutamento x
3.3. Avanzamento x
3.4. Istruzione x
3.5. Servizio e vita Quotidiana x
Capitolo 4 – Amministrazione e Servizi x
4.1. Bilanci x
4.2. Gli organi amministrativi centrali x
4.3. Amministrazione interna dei Corpi x
4.4. Stipendi e Paghe x
4.5. Pensioni x
4.6. Infrastrutture ed appalti x

Capitolo 5 – Commissariato x
5.1. Vettovagliamento x
5.2. Vestiario x
5.3. Armamento x
5.4. Servizio Sanitario x
5.5. Rimonta x
5.6. Assistenza Spirituale x

Capitolo 6 – Uniformi x
6.1. Introduzione x
6.2. Generali e Stato Maggiore x
6.3. Fanteria di Linea e Fanteria Leggera x
6.4. Cavalleria x
6.5. Artiglieria e Genio x
6.6. Casa Reale x
6.7. Invalidi e Veterani x
6.8. Milizie Urbane e Milizie Provinciali x
6.9. Bandiere x


Conclusione. . x

Postfazione. . x
Documenti. . x


Bibliografia x
Elenco Collana Storia in Laboratorio. x





mercoledì 23 marzo 2016

Marquet Giovanni (a cura di) I Combattenti di Cefalonia e Isole dell'Egeo

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 IL VOLUME COPRE TUTTO L'ARCO DELLA CRISI ARMISTIZIALE DEL SETTEMBRE 1943.
IL SUO LIMITE, COME QUASI TUTTA LA STORIOGRAFIA DI RIFERIMENTO E' QUELLO DI NON CONSIDERARE,
AVENDO CONSIDERATO LERO E LE ISOLE DELL'EGEO,
GLI AVVENIMENTI IN ALBANIA,
 I CUI COMBATTIMENTI SI SONO PROTATTI FINO 
AL 3 OTTOBRE 1943
DA PARTE DELLA DIVISIONE "PERUGIA" A SANTI QUARANTA, 
PROPRIO DI FRONTE A
 CORFU' E CEFALONIA

EDEITO DALLA CONFEDERAZIONE ITALIAN FRA LE
 ASSOCIAZIONI COMBATTENTISTICHE E PARTIGIANE
COMITATO PROVINCIALE DE LA SPEZIA

martedì 22 marzo 2016

Gaetano Santi: Carlo Francesco Gay. Il Comandante

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CARLO FRANCESCO GAY, 
UN COMBATTENTE DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE

Il Volume ne traccia un profilo biografico esaustivo

SALVATORE ONANO Un Amore di Carta


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 Un volume che riverbera gli anni di guerra, in cui l'amore tra due giovani tenuti lontani mantengono vivo il loro sentimento affidandole alle lettere.


sabato 19 marzo 2016

Guerra di Liberazione. La Missione "Man" nelle Marche

Arnaldo Angerilli

RELAZIONE MISSIONE MILITARE “MAN” DEL 17/7/1944 – Note aggiuntive di chiarimento ed integrazione –

La divulgazione, dopo quasi quarant’anni dalla stesura, della relazione “riservata” che il Capo della Missione Militare “Man”, generale Salvatore Melia, compilò per il Comando Supremo (S.I.M.-Sezione Calderoni), ha provocato da parte di alcuni protagonisti della Resistenza del Maceratese osservazioni critiche sulle quali ritengo opportuno, nella veste di membro superstite della Missione, intervenire per chiarire il senso del documento, esplicitare qualche fatto forse troppo sommariamente esposto ed ovviare a qualche omissione.
        Collaborai alla elaborazione della relazione sul piano puramente informativo di fatti ed episodi, mentre le considerazioni di ordine politico militare e le osservazioni conclusive riflettono le impressioni, le convinzioni ed i giudizi del Generale Melia sulle vicende che caratterizzarono la Resistenza nelle Marche.
E’ indubbio che la relazione, stilata da un onestissimo Generale in s.p.e. dell’Esercito Italiano, il quale in un momento difficile aveva scelto a Bari la via della lotta al nazifascismo in territorio occupato dal nemico, può apparire freddamente burocratica, in quanto priva di aggettivi esaltante e legata a fatti e circostanze non sempre percepibili nella loro compiuta verità, per il susseguirsi e l’accavallarsi convulso e violento degli accadimenti; la ricostruzione “a posteriori” di fatti non è stata quindi agevole, anche se vicina nel tempo agli stessi, ed è probabilmente viziata, in taluni casi, da giustificabili inesattezze.
        La operatività della Missione fu condizionata dalla esiguità numerica della stessa (due componenti), dal fatto che il Capo Missione, molto conosciuto specie nel Maceratese, doveva agire con estrema cautela, dal non aver saputo o voluto acquisire organicamente qualche valido collaboratore, dalla etichetta “monarchica e badogliana” che suscitava, in particolare agli inizi, in taluni esponenti politici diffidenze e prevenzioni, per altro ricambiate dalla Missione.
        D’altro canto non si può tacere che la Missione aveva anche il compito di appurare, informando il S.I.M., la consistenza e l’armamento delle formazioni




partigiane di sinistra (comuniste in particolare), alle quali talvolta venivano lesinati i “lanci” a vantaggio di gruppi di altro colore, privilegiando quelli militari e monarchici.
        Superando mentalità, abitudini, concezioni acquisite nell’ambiente del regio Esercito, i componenti della Missione si “calarono” nella realtà della Resistenza, che era una guerra di popolo contro i nazifascisti, di civili in armi insofferenti di discipline formali e di gradi che non rispecchiassero autentici valori umani e professionali.
        Anche nelle Marche gli Antifascisti, gli ex confinanti e detenuti politici, i combattimenti delle brigate internazionali di Spagna ebbero una funzione preminente e decisiva nella costituzione e nella organizzazione delle formazioni partigiane, nella educazione politica, ispirata agli ideali di Libertà, Giustizia sociale e Democrazia dei giovani provati dalle guerre di aggressione fasciste, disorientati dalla catastrofe in cui il fascismo aveva precipitato l’Italia, avviliti e braccati dagli occupatori nazisti e dai repubblicani.
Avvalendosi delle esperienze di vita cospirativa acquisite duramente nel corso del ventennio fascista e nella guerra antifranchista, essi furono i promotori, i coordinatori ed i validi strateghi, sul piano politico-militare, della guerra partigiana.
La Missione ebbe proficui incontri e contatti di natura organizzativa ed operativa con diversi esponenti Antifascisti i quali, indipendentemente  dal loro credo politico ed in assoluta unità da intenti, fornirono lealmente informazioni, assistenza, coperture, nascondigli, nel rispetto di una ermetica segretezza; la loro valida collaborazione consentì ai componenti della Missione, tra l’altro, di sfuggire alla cattura dei nazifascisti.
Ritengo doveroso ricordare i loro nomi: Balzelli Goffredo, Bartocci Guido (Flette), Bragina Astorre, Buscalferri Aldo, Carelli Augusto, Crucianelli Gino, D’Innocenzo Ezio, Fattorini Mario, Morello don Cesare, Pallotta Mariano e fratello, Pasquini Silvio, Pianesi Mario, Ricci Ottavio (Nicola), Rocchi Zeno, Sarti Ernesto, Tommasi Annibale.


I contatti ed i collegamenti della Missione con le formazioni partigiane ed i Comitati di Liberazione della provincia di Ascoli Piceno furono limitati e salutari, dopo quello avvenuto in Fermo nei giorni immediatamente successivi allo sbarco presso le foci del Tenna.
L’azione organizzativa del Colonnello Petroni Paolo, investito del Comando militare provinciale, incontrò seri ostacoli ed approdò a scarsi risultati, anche pel frazionamento delle formazioni e per l’eccessivo spirito di autonomia operativa delle stesse.
La ricetrasmittente “RAR” rimase pressoché inutilizzata per gravi carenze dei responsabili, compromettendo collegamenti e lanci.
Dopo i rastrellamenti del Marzo 1944 il Comitato di Liberazione, senza sentire il parere della Missione, sostituì il Colonnello Petroni con il Maggiore Strinati.
L’azione di comando del Colonnello Petroni si svolse essenzialmente nelle zone di Montefortino e di Montemonaco, con influenza diretta sul gruppo del Tenente Mario Cassio.
        Frequenti invece i rapporti, anche per la lunga permanenza della Missione nel Maceratese, con il C.L.N. di Macerata e le formazioni partigiane della provincia, ad accezione di quelle operanti nelle zone di San Severino Marche e di Cingoli, efficienti, validamente inquadrate e comandate che avevano i loro supporti logistici ed i vertici politico-militari nell’Anconetano.
Si incontrarono difficoltà nella designazione di un responsabile militare provinciale per la riluttanza di diversi ufficiali superiori dell’Esercito, inutilmente interpellati e sollecitati ad uscire da una passiva attesa degli Alleati.
Venne infine nominato il Colonnello di Commissariato Egidi Walfrido che si prodigò efficacemente in compiti organizzativi, partecipando valorosamente ad azioni di guerra.
Efficiente e funzionante, anche nei periodi più difficili e tormentati, la radio “PRD” su cui poggiò la Missione, grazie al costante ed eroico impegno del responsabile Pirani Florindo e del marconista De Arcangelis Silvio, abilmente sfuggiti, più volte, alle ricerche dei radiolocalizzatori tedeschi.




L’incontro tra il Generale Melia e l’Ing.Gino Tommasi (Annibale), avvento i primi di febbraio 1944 nei pressi di Caldarola presenti lo scrivente ed Ernesto Sarti, dopo le iniziali reciproche diffidenze, si rivolse in un aperto dialogo con ampie convergenze sul piano organizzativo ed operativo.
Dopo l’arresto dell’Ing.Tommasi l’8 Febbraio in Ancona la Missione, nonostante reiterati tentativi, non riuscì a stabilire contatti né a promuovere incontri con il Maggiore Amato Tiraboschi, subentrato nel Comando militare.
        Quanto al comandante della guardia nazionale repubblicana di Macerata colonnello Bassanesi, in un colloquio su richiesta dello stesso in epoca molto vicina alla liberazione di Macerata, riportai la netta impressione che si preoccupasse soltanto di salvare, con una tardiva ed inutile collaborazione, incolumità personale e perfino la posizione militare.
La mancata collaborazione di diversi ufficiali superiori dell’Esercito residenti nel Maceratese, che ai rischi di una partecipazione preferirono un ambiguo attesismo, non incise in modo rilevante sull’apparato militare dell’organizzazione partigiana. D’altra parte non tutti gli ufficiali riuscivano a superare i rigidi schemi tattico-disciplinari, professionalmente acquisiti in lunghi anni di militanza nel regio Esercito, ed a comprendere la peculiarità e le specificità della guerra partigiana.
In taluni casi, peraltro rari, l’azione di comando di ufficiali, anche i complemento, si rivelò controproducente.
        I contatti della Missione con il C.L.N. di Ancona e con le formazioni combattenti della provincia si limitarono al citato incontro con l’Ing.Tommasi e ad una mia breve permanenza, dopo un rapido incontroa Frontale con Goffredo Balzelli, presso il gruppo della Porcarella, per la esecuzione di sabotaggi sulla linea ferroviaria Falconara-Albacina ed ai tralicci delle linee elettriche di alta tensione.
        I primi di Aprile 1944 la missione si trasferì nella provincia di Pesaro, e precisamente nella zona di S.Pietro in Calibrano, ospitata

dai responsabili di una organizzazione molto efficiente, da cui dipendevano formazioni omogenee e ben comandate.
I colloqui, avvenuti principalmente con Nicola (Ricci Ottavio) validissimo responsabile militare a livello provinciale, furono molto utili e produttivi, anche per l’acquisizione di informazioni precise e puntuali sui lavori e sull’andamento della linea Gotica.
Ricordo con affettuosa commozione il partigiano Astorre (Bragia Astorre), umile, serio e coraggioso Caduto pochi mesi dopo, che mi fu assiduo e cordiale compagno in quelle giornate di rischio e di preoccupazione, mentre i militari nazisti transitavano minacciosi sulle strade circostanti.
Anche in provincia di Pesaro fu rimarcato l’assenteismo di vari ufficiali dell’Esercito di grado elevato.
        Sporadici i contatti ed i collegamenti con i gruppi partigiani della vicina Umbria, affidati al Colonnello Petroni che, per varie circostanze, non riuscì a stabilirli validamente.
        A conclusione di queste brevi annotazioni ritengo di dover colmare una lacuna della relazione, peraltro spiegabile nella qualità e nei fini della stessa, per lumeggiare il notevole apporto che alcuni valorosi partigiani, investiti di funzioni di comando o di compiti specifici, diedero validamente ed assiduamente alla Missione, affiancandone l’azione.

Buslcaferri Aldo - , trucidato dai nazisti a Vestignano di Caldarola il 22 Marzo 1944 mentre soccorreva un partigiano ferito.
La sua morte eroica, nel compimento di un gesto sublime di umana solidarietà e di amore fraterno, chiuse una vita intensamente vissuta al servizio di una Idea, nutrita senza incertezze durante il fascismo, nonostante persecuzioni, detenzioni e confino.
Dopo l’otto settembre era stato l’animatore ed il coordinatore del movimento partigiano nella zona di Caldarola. Lo incontrai l’ultima volta, poco tempo prima della sua morte, presso il Comando di Vestignano ed ebbi con lui un aperto scambio di informazioni e di orientamenti operativi.
Lo coadiuvava principalmente l’Ing.Luigi Pisani, anziano e valoroso antifascista, già fuoriuscito in Francia e capitano nella legione straniera francese, anch’egli ucciso dai tedeschi lo stesso giorno dopo atroci sevizie.




Pure nella sua fiduciosa serenità, Aldo era conscio dei pericoli che incombevano sul Comando di Vestignano ed era amareggiato e deluso pel comportamento di due ufficiali superiori che , assegnati al Comando come tecnici militari, non davano un’efficace apporto; infatti al primo sentore di rischio abbandonarono precipitosamente il loro posto.

Pianesi Mario, antifascista ed ex confinato politico, ispettore militare e membro del C.L.N. di Macerata.
Collaborò assiduamente con la Missione; ebbi con lui incontri e contatti frequentissimi. La sua casa in via della Pace, ove l’anziana madre mi riceveva cordialmente e serenamente, costituì un efficace punto di riferimento e di collegamento.
Fu uno dei maggiori animatori ed organizzatori della Resistenza nel Maceratese.
Sereno, imperturbabile, coraggioso disimpegnava compiti di dirigenza organizzativa, logistica, militare ed informativa, partecipando tuttavia valorosamente a scontri con i nazifascisti e ad azioni “gappiste”. Provvide personalmente, con astuzia ed ardimento, al rischioso trasferimento di ufficiali superiori alleati ex prigionieri nel Sud.
Alla innata bontà d’animo ha sempre unito il coraggio delle proprie idee e la generosità nel comunicarle.
La Missione poté contare, in ogni contingenza, sulla sua valida e leale collaborazione.

Pirani Florindo – capo della Missione radio P.R.D.. La sua radio ricetrasmittente fu la più efficiente delle Marche e la Missione se ne avvalse utilmente in ogni necessità.
Attraversare le linee, raggiunto Bari ed infine Brindisi, era riuscito, con l’impeto della sua dialettica e con tenacia instancabile, a vincere le resistenze dei Comandi Italiani ed Alleati ottenendo la consegna di un apparecchio ricetrasmittente. Affiancato dal bravo e valoroso marconista Silvio De Arcangelis, di Pescara, riattraversava rischiosamente le linee raggiungendo Cingoli, da cui successivamente spostava l’apparecchio in varie località del Maceratese, per evitarne la localizzazione da parte dei tedeschi e dei fascisti.
Catturato dai nazifascisti, riusciva audacemente a fuggire, approfittando di un bombardamento alleato su Macerata, dalla caserma Corridoni ove era imprigionato con accuse che comportavano la fucilazione, raggiungendo le formazioni partigiane del Monastero. Partecipava quindi ai combattimenti sostenuti da quel gruppo distinguendosi pel suo coraggio che rasentava la temerarietà.
Ci incontrammo la prima volta a Tolentino su invito, da Brindisi, del S.I.M. da cui dipendevamo, ai fini di collegamento tra le due missioni. I nomi di copertura non ci consentirono di sapere preventivamente che ci conoscevamo da tempi lontani. Dopo il controllo reciproco dei segni di riconoscimento previsti da Brindisi, ebbe inizio la nostra conversazione che assunse toni particolarmente cordiali.
Frequenti i successivi contatti.
Di carattere aperto e giovale, dinamico, sostenuto da un coraggio che non aveva limiti, fu un capace ed insostenibile collaboratore della Missione, specie nel campo informativo e dei collegamenti.

Rocchi Zeno – Antifascista da sempre, perseguitato duramente dal regime, più volte arrestato, confinato in località insalubri che ne minarono ulteriormente il fisico, già menomato dalle continue angherie e bastonature dei fascisti.
Pur in condizioni di salute precarie fu, sin dal 19 settembre 1943, il promotore e l’animatore delle formazioni partigiane nella zona di Sarnano, ove esisteva sin dagli inizi un presidio fascista.
Nutrito da una Fede che il fascismo non era riuscito a piegare, era un idealista con uno spiccato senso di solidarietà umana ed un illimitato spirito di scarificio. La sua bontà non gli consentiva di odiare il nemico di smpre, che combatteva lealmente senza ricambiare le crudeltà di cui era stato vittima durante il ventennio.
I numerosi incontri che ebbi con lui, concretamente utili ai fini della Missione, trasfondevano in me quel senso di serena tranquillità e di ottimismo che animava costantemente la sua pur travagliata esistenza.
Nonostante i gravissimi rischi, sempre incombenti, e le imperfette condizioni non si allontanò mai dalla zona di Sarnano e dalle formazioni partigiane da lui create e dirette, nelle quali militavano numerosi slavi che lo stimavano ed amavano come un padre.
Fu un esempio luminoso di onestà indefettibile, di Fede intensamente vissuta, di valoroso combattente per la Libertà, la Giustizia sociale e la Democrazia.
Nei confronti di Zeno, che morì nella indigenza come nella indigenza era vissuto, gli aggettivi qualificanti non sono espressioni di vuota retorica, ma costituiscono un obbiettivo doveroso riconoscimento.

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Alla prova dei fatti la generazione cresciuta sotto il fascismo, arbitro assoluto durante il ventennio del suo destino e della sua formazione, si dimostrò matura per raccogliere ed assimilare le tradizioni e le lezioni degli uomini dell’Antifascismo.
Se il Risorgimento fu opera di una èlite, la opposizione in armi al nazifascismo fu espressione unanime di popolo, che vi partecipò con uomini provenienti da tutte le classi sociali.

                
Ancona 15 Marzo 1985

                                          Maggiore Fanteria Cpl. Angerilli Arnaldo

                                          Membro della Missione Militare “MAN”

giovedì 17 marzo 2016

17 MARZO 1861 - Proclamazione del Regno d'Italia



nella data anniversaria della proclamazione del Regno d'Italia, nel 1861, il nostro reverente pensiero va a tutti coloro che in pace ed in guerra si sacrificarono per costruire entro i suoi confini naturali lo Stato Italiano comprendete la Nazione italiana e quelle minoranze che il nostro gardo di civiltà tutela e protegge.

mercoledì 16 marzo 2016

Programma: Dalle Cantine e dalle Soffitte

Su una idea avuta da Carlo Minchiotti, è in fare di articolazione
 il Programma 

"Dalle Cantine e dalle Soffitte".

In pratica, ognuno di noi, nel quadro dei riferimenti statutari 
dell'Istituto del Nastro Azzurro, 
si guarda intorno, e cerca di riportare alla attenzione di tutti
 materiali che giacciono in cantina e in soffitta, ma che proprio per questo 
possono avere un valore degno di nota.

 A giudizio di ognuno, siamo a disposizione per pubblicare questo materiale e
 renderlo disponibile a tutti affinchè sia garantita la sua conservazione, che peraltro era assicurata, ma che sia di riferimento morale e spirituale a tutti noi

Il Presidente della Federazione di Roma dell'Istituto del Nastro Azzurro, dalla sua Biblioteca, ci ha messo a disposizione questo opuscolo con una esaltante dedica.
Un brillante studio delle genti di mare Italiane nella prima metà del Novecento
che documenta come il nostro Paese sia stato sempre faro di civiltà e comunicazione tra i popoli




per chi fosse interessato a questo programma
 scrivere a
centrostudicesvam@istitutodelnastroazzurro.org