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venerdì 16 giugno 2017

La Battaglia di Vittorio Veneto. Le parti contrapposte

AVVENIMENTI
1.    I BELLIGERANTI – LE ORIGINI DEL CONFLITTO
a.    I belligeranti
(1)        Il territorio.
Gli avvenimenti si svolsero nella zona nord-est del Paese. Le regioni interessate dai combattimenti si identificano con il Veneto, il Trentino Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia. L’area era delimitata a nord dalle Alpi dolomitiche, che costituivano la vera e propria frontiera naturale, e a sud dalla pianura padano-veneta, caratterizzata dalla presenza di fiumi, torrenti e canali, e dal mare Adriatico le cui coste si presentano basse e sabbiose. Il territorio avversario, che coincideva con l’intero Friuli e con parte delle altre due regioni, presentava caratteristiche analoghe. Il regime meteorologico del teatro di operazioni prevede inverni umidi in pianura e freddi al Nord, spesso caratterizzati da precipitazioni a carattere piovoso e nevoso, ed estati calde con elevati tassi di umidità.
(2)         La società umana.
La Grande Guerra fu combattuta, da entrambe le parti belligeranti, da un numero impressionante di effettivi. Ciò fu dovuto, principalmente, ad un incredibile “boom demografico” le cui cause sono state sostanzialmente individuate in tre ordini di motivi: gli effetti della rivoluzione industriale di fine ‘800, i processi di urbanizzazione ed i progressi della medicina che avevano contribuito notevolmente ad innalzare la qualità della vita. In particolare, la battaglia di Vittorio Veneto vide schierati circa 912.000 soldati sul fronte italiano e circa 1.070.000 su quello avversario.

(3)         La storia.
Il 1918 fu caratterizzato dal fallimento delle grandi offensive tedesche e dal crollo degli Imperi centrali. In realtà, già nell’anno precedente, si erano manifestati profondi segnali di crisi politica, morale e tattica. In Germania, presa nella morsa del blocco navale britannico, la situazione interna era peggiorata rapidamente e l’opposizione delle masse operaie alla guerra aveva provocato grandi scioperi nelle fabbriche di armamenti. Tuttavia, Hindenburg e Ludendorff proseguirono determinati nell’obiettivo di mettere fuori campo Francesi e Inglesi prima che gli effetti dell’intervento statunitense potessero farsi sentire in maniera efficace. In Austria, devastata dalla fame a causa dell’assedio dell’Intesa, la situazione politica ed economica era addirittura peggiore con gravi ripercussioni sull’efficienza materiale e spirituale delle Forze Armate. Nel marzo1917, l’Imperatore Carlo I, succeduto nel novembre 1916 a Francesco Giuseppe, all’insaputa della Germania, aveva tentato invano la stipula di una pace separata. In Italia, il Governo Boselli si era trovato a fronteggiare un serpeggiante spirito di rivolta sfociato, a Torino, in una vera e propria insurrezione repressa nel sangue. La grave situazione che si era creata a livello internazionale aveva indotto il Papa, Benedetto XV, ad avanzare, mediante una “Nota” inviata ai Capi degli Stati in guerra, proposte per una pace di compromesso, ma la sua iniziativa era caduta nel vuoto.
(4)      Il potenziale economico.
A differenza dell’Austria, l’Italia visse, nel biennio 1917-18, una fase di forte sviluppo economico ed industriale. La 12a battaglia dell’Isonzo aveva lasciato il Regio Esercito in carenza di armi, munizioni, viveri e vestiti. La situazione di emergenza fece scattare un grande piano nazionale; in pochi mesi venne ricostruito l’intero materiale d’artiglieria perduto nell’ottobre-novembre del 1917 e ripristinati gli equipaggiamenti ed i servizi. Oltre agli stabilimenti militari, tutte le principali industrie nazionali furono coinvolte. Le industrie belliche, che nel 1915 erano 125, raggiunsero il numero di 5700 nel 1918 con 1 milione e 668 mila occupati. Nel corso del conflitto, l’industria degli armamenti produsse 12.000 pezzi di artiglieria, 37.000 mitragliatrici ed oltre 70 milioni di proiettili. Un buon apporto provenne anche dall’industria meccanica che, nel solo 1918, produsse 20.000 automobili, 15.000 motori d’aviazione e 6523 aerei.
(5)      Gli ordinamenti civili.
(a)    Italia: il primo organo costituzionale dell’ordinamento politico italiano era la Corona, costituita da una sola persona fisica, il Re, organo supremo dello Stato e rappresentante della sua unità. Ad egli spettava il comando di tutte le forze 1militari e la loro organizzazione. In pratica, però, l’effettiva organizzazione delle forze stesse rientrava nelle attribuzioni del Governo da cui dipendeva il Capo di Stato maggiore generale. Il capo del Governo, nel 1918, era Vittorio Emanuele Orlando, il quale aveva sostituito Paolo Boselli all’indomani degli eventi di Caporetto. Durante i mesi precedenti la battaglia di Vittorio Veneto, fu Orlando a prendere parte alle riunioni con gli alleati e ad intrattenere rapporti frequenti con il Comando Supremo.
(b)   Austria: l’Impero austro-ungarico era retto dall’Imperatore Carlo I, insediatosi dopo l’assassinio del suo predecessore, l’Arciduca Francesco Ferdinando, avvenuto il 28 giugno 1914. Per fronteggiare un forte e sempre più minaccioso malcontento popolare sul fronte interno, intraprese varie iniziative tra cui, il 23 giugno 1917, quella di concedere un’amnistia generale che comprendeva anche i reati di alto tradimento.
(6)     Le Istituzioni militari.
(a)    Italia: Comandante Supremo, come detto, era il Re che delegava, in tempo di pace, il Comando dell’Esercito al Ministro della Guerra, membro del Governo e suprema autorità gerarchica per i militari, che si avvaleva della consulenza tecnica del Capo di Stato maggiore dell’Esercito. Dal 1870 al 1914, il Regio Esercito venne profondamente trasformato e potenziato con successivi provvedimenti ordinativi, tanto da poter contare, all’inizio della guerra, di circa 875.000 uomini. Nel corso del conflitto, furono mobilitati, complessivamente, circa 5.900.000 uomini: nell’Esercito operante, circa 4.200.000; nel territorio, circa 840.000; per le industrie, circa 860.000. Una menzione particolare meritano le forze aeronautiche che, all’inizio della guerra, facevano parte dell’Esercito e della Marina ed operavano alle dipendenze del Ministero della Guerra e di quello della Marina. Le esigenze della guerra accrebbero di molto il numero e l’efficienza delle forze tanto che Diaz decise di istituire un Comando Superiore dell’Aeronautica.
(b)   Austria: l’Esercito austro-ungarico, nonostante appartenesse ad una delle più grandi potenze europee dell’epoca, non era molto grande. Secondo il regolamento del 1899 nelle Forze Armate c’erano sette formazioni militari: l’Esercito regolare, chiamato “comune”, le forze di “seconda linea” (la regia “Landwehr” e la reale ungherese “Honved”), le forze di “terza linea”, costituite dagli uomini delle classi più anziani (la regia Landsturm) e la cosiddetta “Ersatzreserve” che costituiva “manodopera” poco addestrata di riserva per l’Esercito comune e la Landwehr.
b.   Le origini del conflitto
(1)     Gli antefatti.
Dopo i risultati favorevoli conseguiti nel corso dell’11a battaglia dell’Isonzo (o della Bainsizza, svoltasi dal 17 agosto al 15 settembre), le truppe austro-ungariche si erano rapidamente riorganizzate in vista di una battaglia di rottura che, attraverso un’infiltrazione profonda, avrebbe consentito loro di penetrare nel territorio del nord-est (Allegato C, pag. IV). L’offensiva, che prese il nome di 12a battaglia dell’Isonzo (o battaglia di Caporetto), iniziò il 24 ottobre 1917 e fu condotta dalla 14a Armata al comando del Generale Otto von Below. Le forze destinate alla rottura del fronte ed alla penetrazione furono articolate in quattro gruppi.
2Avviate le operazioni con un’intensa preparazione di artiglieria, gli Austro-ungarici conquistarono rapidamente Plezzo e Tolmino, località che erano state indicate come il settore di minore resistenza. Il successo dell’operazione fu dovuto anche all’abbandono dello schema statico, tipico della guerra di trincea e di logoramento, a favore di un nuovo concetto offensivo basato sulla rapidità di manovra e sulla sorpresa. Occupata Caporetto ed impadronitosi delle testate delle valli, l’avversario dilagò rapidamente verso il piano, fino a Cividale, Udine ed al Tagliamento. L’aggravarsi della situazione sulla sinistra del fiume costrinse il Generale Cadorna ad ordinare il ripiegamento verso il Piave che si concluse il 9 novembre, giorno in cui il Generale Cadorna cedette il comando al Generale Armando Diaz. La sostituzione era stata preceduta da una crisi istituzionale che aveva causato la caduta del Governo Boselli (26 ottobre) e l’insediamento di un Gabinetto presieduto da Vittorio Emanuele Orlando.
Gli eserciti contrapposti si riorganizzarono rapidamente in vista di una nuova offensiva. L’altopiano di Asiago, grazie al limitato spessore della zona montana, fu prescelto dal Generale Conrad per la battaglia decisiva che, qualora vinta, gli avrebbe consentito di marciare su Vicenza e Bassano e raggiungere l’Adige o addirittura la linea Mincio-Po.
La battaglia di Arresto (o prima battaglia del Piave) si combatté sulla linea difensiva Monte Grappa - Montello - mare. Le operazioni si svolsero in due periodi (dal 10 al 26 novembre e dal 4 al 26 dicembre 1917) durante i quali i tentativi di sfondare il fronte, condotti dalle truppe del Generale Josef Krautwald, furono vani. Da questo momento in poi, l’attività del Regio Esercito si concentrò sul rafforzamento e l’organizzazione della linea di difesa a oltranza.
Alla vigilia della battaglia del Solstizio (o seconda battaglia del Piave, svoltasi dal 15 al 23 giugno 1918), l’Italia disponeva di 53 Divisioni, mentre il nemico contava su 58 Divisioni.
Il piano messo a punto dal Comando austriaco prevedeva di sferrare l’attacco su due fronti: il primo, a cavallo del Brenta, avrebbe dovuto sfondare la fronte montana, scendere in pianura e avvolgere le unità italiane schierate sul Piave; l’altro, doveva essere condotto contemporaneamente sul Piave in direzione di Treviso-Mestre. Gli ordini diramati dal Comando Supremo italiano, invece, erano quelli di assicurare l’inviolabilità del fronte montano, realizzare uno schieramento elastico lungo il Piave e mantenere una forte riserva per governare la battaglia.
Il 15 giugno, le fanterie nemiche mossero all’attacco sull’Altipiano di Asiago, sul Grappa, sul Montello e sul Piave, ma furono sostanzialmente contenute e respinte e nella notte tra il 22 e il 23, sopraffatte dall’artiglieria 3italiana.
(2)     Le cause reali, remote e prossime.
La terza battaglia del Piave, o di Vittorio Veneto, iniziò il 24 ottobre e fu lo scontro che segnò la fine della guerra sul fronte italiano.
Tuttavia, la decisione di iniziare le operazioni in questo periodo fu soprattutto di natura politica. All’indomani della battaglia del Solstizio, i vertici militari si erano subito attivati per formare nuove Divisioni, avevano chiesto ulteriore materiale bellico, nonché rappresentato l’opportunità di avviare l’offensiva nella primavera successiva al termine  dell’addestramento dei giovani della classe del ‘900. Diaz, per sopperire alla mancanza di complementi, aveva chiesto al Generale John Joseph Pershing, Comandante del contingente Statunitense in Europa, di poter disporre di un più elevato numero di soldati americani, ma la richiesta non venne accolta.
Infatti, mentre Diaz era convinto che l’eliminazione del più debole degli Imperi centrali avrebbe trascinato nella catastrofe anche la Germania, gli alleati attribuivano al fronte italiano solo compiti diversivi e ritenevano che il grosso delle forze doveva essere impiegato sul fronte franco-inglese.

Fra le diverse opzioni possibili, l’operazione del Piave venne scelta dal Comando Supremo Italiano essenzialmente per due motivi: primo, perché richiedeva meno tempo ed offriva maggiori possibilità di sorpresa; secondo, perchè, a sfondamento avvenuto, avrebbe consentito di conquistare Vittorio e di separare le armate austriache della pianura da quelle della montagna. Il 23 settembre, il Generale Enrico Caviglia, Comandante dell’8a Armata, molto apprezzato dal Re e negli ambienti militari, ricevette l’ordine di predisporsi per l’inizio dell’operazione.

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