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venerdì 16 giugno 2017

La Battaglia di Vittorio Veneto. la Situazione Generale

 AVVENIMENTI
1.    SITUAZIONE GENERALE
a.    Situazione generale militare
(1)     I Quadri – le forze – i mezzi.
(a)      Italia
-       i Capi: a seguito degli eventi di Caporetto, il Comando Supremo fu spostato ad Abano ed affidato al Generale Armando Diaz, ritenuto portatore di una più moderna e realistica concezione della guerra. In tale ottica, il Comando subì sia una significativa riorganizzazione dei propri uffici, quali, ad esempio, l’Ufficio Informazioni, sia si prodigò per migliorare la vita di trincea, istituendo una struttura parallela alla gerarchia di comando, i cosiddetti Ufficiali P, che avevano il compito di monitorare il morale delle truppe e rapportare la situazione direttamente al Comando Supremo stesso.
-       gli Stati maggiori: era diffuso nell’Esercito il principio che il lavoro di uno Stato maggiore dovesse rimanere anonimo e che il Comandante ne riassumesse in sé i pregi e le carenze. Il principio trovava una sua ragion d’essere nell’esaltazione della responsabilità del Capo e nell’educazione alla modestia dell’Ufficiale di Stato maggiore.
Il Generale Cadorna ebbe piena libertà nella costituzione ex – novo del Comando Supremo, non esistendo questo in tempo di pace. Di tale libertà non fece buon uso, perché si lasciò dominare dalla visione assolutistica del proprio ruolo di Comandante. Ne derivò che, in battaglia, le Grandi Unità spesso si scindevano in due nuclei: uno, costituito dal Comandante, dal Capo di Stato maggiore e da un ristretto numero di Ufficiali, dislocato in prossimità di osservatori dai quali si potesse seguire a vista l’azione in corso; l’altro, comprendente la gran parte del personale, dislocato presso il Quartier Generale della Grande Unità e collegato con il posto di Comando avanzato.
Un’importante novità fu l’estensione della funzione di collegamento tra gli Stati Maggiori che fu affidata agli Ufficiali degli Stati Maggiori di diverso livello.
Questi operavano quali veri e propri rappresentanti dei rispettivi Comandanti per conto dei quali dovevano osservare e seguire l’azione, informando dello sviluppo il Comando di appartenenza.
-       i Quadri: dopo l’inizio della guerra, furono adottati alcuni provvedimenti per aumentare il tasso di arruolamento che portarono, nel 1917-18, la forza media operante a raggiungere i 2 milioni e 200 mila uomini.
All’inizio della battaglia di Vittorio Veneto, il Regio Esercito contava su 9 Comandi d’Armata, 24 di Corpo d’Armata e 57 Divisioni. Inoltre, operavano all’estero il II Corpo d’Armata in Francia, il XVI in Albania e la 35^ Divisione in Macedonia. Alla guerra presero parte militari di leva appartenenti a ben 27 classi (1874 – 1900), di cui 22 in servizio al momento dell’entrata in guerra e 5 “maturate” nel corso del conflitto (1896 – 1900). Le ultime 5 classi furono chiamate in anticipo rispetto all’età prevista alla legge (20 anni).
La distribuzione regionale presentò squilibri molto rilevanti e le regioni che registrarono il più alto tasso di chiamati alle armi furono, in ordine decrescente, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Toscana, gli Abruzzi, l’Umbria, la Lombardia, le Marche, e la Calabria. Gli Ufficiali dirigenti provenivano essenzialmente dalle varie Accademie e Scuole, mentre quelli di complemento erano reclutati tra la piccola borghesia, principalmente del sud dell’Italia, e venivano inquadrati nelle unità minori e anche nei battaglioni, essendo gli Ufficiali di carriera impegnati nelle funzioni di comando di livello superiore. Degli oltre 146 mila Ufficiali della Milizia Terrestre e di complemento nominati durante la guerra, più del 45% proveniva dai cosiddetti “corsi accelerati”, che inizialmente duravano 2-3 mesi per il complemento e 1 mese e mezzo per quelli di Milizia Terrestre, un altro 30,7%  dai corsi svolti in zona di guerra presso i comandi di Corpo d’Armata, mentre il restante 24% fu nominato senza distinzione o concorso tra Ufficiali meritevoli, ex-volontari di un anno, ex-allievi dei Collegi Militari, particolari categorie di professionisti, cittadini meritevoli per cultura, censo e rango sociale.
(b)      Austria
-       i Capi: al vertice della piramide di comando dell’Esercito austro-ungarico vi era l’imperatore Carlo I, il quale aveva ricevuto un’approfondita educazione militare, tanto che il suo primo atto dopo l’incoronazione fu quello di rinnovarne i comandanti e di assumerne il comando, fino ad allora mantenuto dal Capo di Stato maggiore, l’arciduca 4Federico.
Tra le figure importanti si annoverano il Generale Artur Arz von 5Straussenburg, Capo di Stato maggiore in carica fino all'armistizio ed il Brigadiere Generale Alfred von Waldstatten, vice Capo di Stato maggiore.
Non vanno dimenticati il Feldmarschall von Conrad, Capo di Stato maggiore dal 1906 al 1916, che guidò le operazioni nella prima fase della 6guerra, ed il Generale Svetozar Boroevic von Bojna, il più alto Ufficiale croato imperiale, che combattè tutte le dodici battaglie dell’Isonzo tanto da meritarsi il titolo onorifico di "Leone dell'Isonzo".
-       gli Stati maggiori: il Generale Arthur Arz von Strassenburg influirà pesantemente nella condotta di lavoro e nell’emanazione degli ordini dello Stato Maggiore. Di buona esperienza militare, ottimo organizzatore, era Ufficiale che mai avrebbe contrariato l’Imperatore, anzi lo accompagnava spesso nei suoi spostamenti dove discuteva di piccoli problemi legati all’esercito. Ciò lasciava di fatto il vice Capo di Stato Maggiore, Brigadiere Generale von Waldstatten, solo nel pianificare ed approvare i piani di battaglia e a diramare gli ordini verso due Feldmarescialli (Conrad e Boroevic) più anziani ed esperti. Negli ultimi anni della Guerra, gli Stati maggiori, in particolare l’Armeeoberkommando dal 1916 fino al 1918, ha dato prova della propria eccessiva burocrazia, di una non oculata gestione dei potenziali delle Armate, di una scarsa pianificazione delle ritirate, ma soprattutto di una condotta dei piani di battaglia frenetica e non rispondente alle esigenze dei comandanti in prima linea.
-       i Quadri: l’Esercito austro-ungarico aveva avuto la fortuna di avere Comandanti che erano stati capaci di trarre gli opportuni insegnamenti dalle passate esperienze belliche negative. Nel 1867, con l’Ausgleich (compenso), gli Austriaci riorganizzarono l’Esercito creando una forza armata separata Ungherese l’Honved, a fianco dell’austriaca Landwehr.
Le ristrutturazioni si susseguirono fino al 1914, a seguito di differenti riforme modernizzatici, ma l’Esercito rimase ancora un’arma ingombrante. La struttura nonostante quanto precede, era conforme al vecchio regolamento del 1899 con sette formazioni militari. All’ingresso in guerra nel 1914, l’Esercito austro-ungarico era piccolo ma ben preparato, supportato da un gran numero di riserve poco addestrate.
Gli alti gradi erano ancora affollati da arciduchi e da membri della famiglia asburgica, ma il titolo nobiliare non era più un requisito fondamentale per il comando. Gli Ufficiali di carriera ricevevano una buona educazione in una delle tante Scuole dell’Impero. In aggiunta vi erano 14 scuole per cadetti che formavano i cosiddetti “alfieri” (che dopo 2 anni di servizio nei reggimenti, venivano promossi Ufficiali).
I tedeschi erano predominanti nei ranghi più bassi degli Ufficiali (plotone, compagnia) ma tale fenomeno va ricondotto ad un aspetto più economico e sociale che un pregiudizio razziale. Nei ranghi più elevati la percentuale si abbassava, fino ad arrivare ad una singola unità nel grado di Feldmaresciallo.
(c)      Le forze terrestri.
La guerra rese necessaria l’utilizzo integrale e prolungato di tutte le energie spirituali e materiali delle nazioni belligeranti. La forza mobilitata, già di mole imponente agli inizi del conflitto, raggiunse livelli numerici prima inimmaginabili. All’esigenza del ripianamento delle perdite si sommò quella della costituzione di nuove unità per far fronte al mutato rapporto di forze rispetto a quello iniziale. Degli incorporati, la Fanteria assorbì 2.922.246 uomini, l’Artiglieria 6.116.555, la Cavalleria 76.677, il Genio 217.113, l’Aviazione 23.264 e gli altri Corpi e Servizi il resto. La forza totale alle armi nel luglio del 1918 ammontava a 3.025.000 uomini.
(d)     Le forze aeree e navali.
Durante la guerra, gli stabilimenti industriali italiani aumentarono sensibilmente la produzione fino ad arrivare a produrre 6500 apparecchi nel solo 1918. In considerazione dell’aumento del numero di squadriglie, l’Ufficio Servizi Aeronautici del Comando Supremo fu riorganizzato in “Comando Superiore d’Aeronautica”. Con ciò si intese dare una certa autonomia all’aviazione e nel contempo snellire l’impiego del nuovo mezzo che si era oramai affermato quale elemento indispensabile per il prosieguo delle operazioni. L'unità base era la squadriglia di cinque aerei con uno o due mezzi di riserva. Le squadriglie erano inizialmente riunite nel I, II e III Gruppo Squadriglie Aeroplani. A questi si devono aggiungere tre dirigibili, più uno di riserva.
(e)      I materiali di armamento e di equipaggiamento, i mezzi tecnici ed i servizi.
Fu la mitragliatrice, resa quasi invulnerabile dalla fortificazione e potenziata dall’ostacolo, a determinare il carattere particolare della guerra. Venne meno anche  la mobilità tattica e la fanteria cercò di riacquistarla mediante l’aumento della sua potenza di fuoco e di urto. Da ciò l’esigenza di dotare l’Esercito di armi a tiro teso e a tiro curvo: pistole mitragliatrici, fucili mitragliatori, mitragliatrici alleggerite, cannoncini, bombe da fucile, bombe a mano, lanciafiamme leggeri e pesanti, lanciagas e bombarde.
L’artiglieria dovette ben presto incaricarsi della distruzione dell’ostacolo e della messa fuori combattimento di obiettivi fortemente protetti. L’evoluzione dei materiali mirò ad artiglierie mobili e a tiro rapido per l’appoggio alla fanteria, lunghe, a grande gittata e potenti per la controbatteria, corte, potenti e con sufficiente rapidità di tiro per la distruzione dell’ostacolo.
(2)     Le dottrine operative.
La dottrina d’impiego non fu nelle linee generali diversa da quella degli altri eserciti, ma ebbe caratteristiche proprie suggerite dalla diversità morfologica dei terreni e dall’inferiorità quantitativa dei mezzi e delle munizioni. Nei riguardi dell’azione difensiva, di importanza rilevante furono le “Norme per l’azione difensiva”, nelle quali il Generale Diaz riassunse i criteri essenziali della preparazione e della condotta dell’azione difensiva, insistendo in particolare sullo studio e la preparazione del terreno, sulla raccolta e sfruttamento delle notizie sul nemico, sullo scaglionamento in profondità delle truppe e dei mezzi, su modi di svolgimento dell’azione e sulla preparazione materiale e morale che le truppe devono ricevere prima di essere condotte a sostenere l’assalto nemico. Si riaffermò il principio che anche la guerra di posizione è movimento.
Meno lineare fu l’evoluzione della dottrina tattica offensiva. I lineamenti essenziali dell’azione offensiva prevedevano che lo scopo finale fosse la distruzione del nemico, mentre la conquista delle sue posizioni non era fine a sé stessa, ma soltanto un mezzo per costringerlo ad esporsi ai colpi della superiorità morale e materiale dell’attaccante.
Condizione essenziale per l’attacco era la sorpresa. Tale dottrina, che ben presto costituirà la base delle dottrine offensive tra la prima e la seconda guerra mondiale, prevedeva una preparazione dell’artiglierie, un mascheramento dello sforzo principale mediante il ricorso a manovre di inganno e continui spostamenti delle truppe nelle retrovie per disorientare il difensore.
Inoltre, relativamente agli schieramenti di fanteria, si passò da quello per riga a quello per fila più idoneo al movimento e meno vulnerabile.
b.   Avvenimenti e provvedimenti in vista del conflitto
(1)  Politici e diplomatici.
Nell’estate del 1918 l’organizzazione di guerra degli Stati Uniti d’America era in Francia al completo di uomini, armi e di servizi, per cui sul fronte occidentale la superiorità delle forze era passata dalla parte dell’Intesa. Gli Stati Uniti erano consci dell’importanza politica e militare del loro intervento. L’Intesa aveva logorato le forze e la volontà bellica degli Imperi Centrali, ma a sua volta era stanca. Inoltre mancava sempre l’unità della direzione politica. Ogni potenza dell’Intesa continuava a perseguire i propri scopi di guerra e di dopoguerra, perciò si facevano due lotte: una in Francia, l’altra in Italia. Altri rilevanti aspetti diplomatici del periodo in esame, furono rappresentati sia dalla proposta, lanciata dagli Austro – ungarici, di sgomberare il Veneto come premessa di un successivo armistizio, sia dalla richiesta formulata dall’Imperatore Carlo al Papa, il 23 ottobre 1918, affinché facesse sospendere l’offensiva italiana.


(2)  Economico-finanziari.
La grande mobilitazione richiesta per la guerra non fu solo in termini umani, ma fu anche mobilitazione dell’economia. In tutta Europa, lo Stato vide crescere il proprio ruolo in maniera esponenziale, assumendo dovunque una deriva autoritaria. Anche in Italia la sua presenza divenne "totalizzante" per sostenere lo sforzo bellico.
Nel settore dell’agricoltura, il governo intervenne con calmieri, requisizioni, incoraggiamenti, obblighi di lavoro e di produzione, tesseramenti, minacce di confische. Per accrescere la produzione promise ai contadini somme in denaro proporzionate all’entità dei raccolti e, per tutta la durata della guerra, impose coltivazione di terre e disciplinò la concessione di manodopera militare. Nel settore dell’industria lo Stato intervenne in maniera consistente direttamente nella produzione e nella programmazione di svariate attività.
(3)   Di carattere militare.
Nel 1916 era stata mobilitata la classe 1896, l’anno dopo quelle del 1897 e 1898, e la difesa dei mesi di novembre – dicembre aveva assorbito anche la classe dei ragazzi del 1899. Il Generale Diaz si trovò quindi nel 1918 con l’Esercito che non disponeva più dell’intatta classe del ’99 e non voleva chiamare alle armi gli adolescenti del 1900, da tenersi, secondo l’opinione comune, per la decisione finale dell’anno successivo. Si rese però necessario chiamare alle armi anche quest’ultima classe.
Approvato il piano operativo per la battaglia di Vittorio Veneto, le attività preparatorie prevedevano che in poco tempo si radunassero truppe, mezzi e soprattutto materiali nelle zone adiacenti la sponda destra del Piave. Tale attività, oltre a necessitare il ripristino della viabilità delle principali rotabili di afflusso, richiedeva un’attenta valutazione circa i materiali da ponte necessari per l’attraversamento del fiume. Tutti questi lavori erano affidati ad un Ufficio del Genio Militare detto “Direzione di zona”.
(4)   Di azione e di guerra psicologica.
Nei periodi precedenti l’evento storico in esame, un progresso grandissimo si attuò nel servizio informazioni, che fino ad allora era stato davvero efficiente solo presso la 1a Armata. Questo impulso derivò anche dalla particolare situazione creatasi con l’occupazione nemica di una zona non indifferente del territorio italiano. Alcuni Ufficiali furono inviati nelle zone occupate ove trovarono ospitalità presso parenti ed amici e riuscirono a raccogliere e fornire notizie importanti di carattere militare. Nell’aprile del 1918 venne inoltre creata una Commissione centrale per la propaganda sul territorio.
c.    Considerazioni riepilogative
(1)   Correlazione fra intendimenti e possibilità.
La convinzione che la fine più rapida del conflitto mondiale si sarebbe ottenuta con il mettere fuori causa l’Esercito austriaco, in modo da isolare militarmente la Germania e costringerla alla resa, aveva sempre costituito il fulcro del pensiero del Comando Supremo.
Dopo la grande sconfitta subita nella seconda battaglia del Piave, il Comando Supremo austriaco dimostrò una volontà attiva ed energica per mettere le sue truppe in grado di assumere qualsiasi atteggiamento, offensivo o difensivo. Fino ai primi di settembre le truppe furono mantenute nello stato d’animo offensivo. Solo alla fine di agosto esso cominciò a pensare di predisporre gli animi e le forze alla difensiva.
Oggi, a posteriori, ci sembra che, indipendentemente dalla riluttanza del Governo di Vienna a trattare con l’Italia, il Comando Supremo nemico, in quel momento, avrebbe dovuto insistere sulla necessità immediata della ritirata sulle Alpi. Bastava persuadere il Governo che non occorreva venire a trattative d’armistizio con l’Italia perché, senza trattare con nessuno, l’Austria-Ungheria poteva ritirare le sue armate sulle Alpi, salvando l’Esercito e la dinastia.
La situazione politica e militare sfavorevole per l’Austria-Ungheria sarebbe divenuta ad un tratto propizia, anche di fronte alle pretese del Presidente Wilson. Il Comando Supremo austro-ungarico giudicò con insufficiente pessimismo la situazione politico-militare dell’Impero e con elevato pessimismo la nostra.
(2)   Rapporti di potenza fra le Parti contendenti.

Il 24 ottobre 1918, nello scacchiere offensivo (Allegato D, pag. V), le Armate 4a, 12a, 8a e 10a  disponevano di 31 Divisioni e 4.955 pezzi contro 26 Divisioni e 2.848 pezzi delle Armate Imperiali, ma, nel settore cruciale di sfondamento, l’8a Armata del Generale Caviglia schierava 14 Divisioni e 2.708 pezzi d’artiglieria contro le 9 Divisioni e gli 835 pezzi d’artiglieria della VI Armata avversaria. Una situazione di forza simile a quella di un anno prima sull’Isonzo, tra Tolmino e Plezzo, ma questa volta a parti invertite.

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