APPROFONDIMENTI
Perché non attaccammo nel 1914?
Una
politica estera lineare avrebbe messo in condizioni il nostro Esercito di
operare con aderenza alla realtà. Ma questa politica estera era ondivaga e
contradittoria e fu quanto mai discontinua. La guerra di Libia era una guerra coloniale,
oltremare che fece spostare a sud il baricentro operativo dell’Esercito, mentre
le crisi balcaniche e gli interessi strategici dell’Italia in quelle aeree
erano sempre più pressanti. Nel 1914 al momento della crisi generata
dall’attentato di Sarajevo avevamo le nostre forze non concentrate su un unico
obiettivo ma sparse sia verso sud che verso nord, intendendo la minaccia
principale una guerra contro la Francia.
Si
dibatte il perché non attaccammo nell’agosto 1914. Il rovesciamento delle
alleanze prevede che si deve trarre il massimo profitto da esso e quindi ottenere
i risultati eclatanti, che dovrebbero mascherare una operazione che non è mai
accettata benevolmente da tutti per i suoi risvolti poco edificanti. La
questione, in sostanza, si riduce alla domanda: sarebbe stato possibile per
l’Italia conseguire risultati strategici se fosse entrata in guerra
immediatamente contro l’Austria anziché dichiarare la neutralità?
La
risposta è sostanzialmente negativa per una ragione principale: la
impreparazione dell’esercito uscito stremato dalla guerra di Libia. È una
indiretta accusa al Governo ed alla politica militare degli anni precidenti la
Grande Guerra che non hanno permesso di avere uno strumento utile in grado di
svolgere un’azione strategica di ampio respiro. Nel 1914 l’Esercito italiano
disponeva di 350 mila uomini che, secondo certi autori[1]
ed avrebbe potuto attaccare e vincere i 400 mila soldati dell’Esercito
austriaco in piena crisi di mobilitazione ed impegnato a fronteggiare una
guerra su tre fronti, quello russo, quello serbo e quello italiano. Tesi che
peraltro trova riscontro nell’azione di Cadorna che il 3 ed il 14 agosto aveva
insistito presso il Governo per un attacco contro l’Austria. In tutta la
questione sembra che non si riesca a comporre un quadro unico, ognuno dei
protagonisti attento solo a focalizzare il suo punto di vista.
L’Austria,
peraltro, osservava attentamente la situazione italiana nel luglio ed agosto
1914 e non prese alcun provvedimento militare, ovvero non rafforzò minimamente
le posizioni del fronte meridionale, tanto da poter far dire che corse e ben
valutò quello che si definisce un rischio calcolato. Diede per certa la
neutralità italiana, che nell’agosto 1914 era quello che desiderava.
Occorre,
peraltro, fare, due osservazioni. La prima derivante dall’’azione di Cadorna che
nel luglio 1914 era tutto intento a progettare, pianificare e mettere in essere
l’azione contro la Francia, a seguito della convenzione militare del marzo
1914; abbiamo visto come la sua sorpresa fu grande nell’apprendere che l’Italia
sarebbe rimasta neutrale e in prospettiva si affacciava l’ipotesi di una guerra
all’Austria. La seconda è che la proclamazione immediata della mobilitazione
generale avrebbe messo in condizioni l’Esercito di attaccare dopo 40 giorni
dalla sua proclamazione, ovvero a metà settembre del 1914, dando tutto il tempo
all’Austria di predisporre le sue difese, facendo svanire l’effetto sorpresa. I
tedeschi, come noto, iniziarono la loro mobilitazione già per tempo per essere
in grado di muovere contro il Belgio agli inizi di agosto. Oltre a questo a
monte ci sarebbe dovuta essere una politica estera tale che un attacco
immediato all’Austria avrebbe dovuto avere una preparazione politica e
diplomatica che doveva iniziare mesi prima. Un ministro degli Esteri come il di
San Giuliano, che perorava la causa della neutralità italiana per intervenire
al momento più opportuno a dare una mano al vincitore, non considerava
minimamente un attacco immediato all’Austria. Inoltre occorre far entrare in
gioco il rapporto con la Francia, la Gran Bretagna e la Russia, che
consideravano l’Italia come una potenziale nemica o, al meglio, come una
nazione neutrale per indebolire il fronte tedesco-austriaco. Ci vollero mesi
prima di determinare le condizioni concordate con l’Intesa dell’entrata in
guerra dell’Italia. Un attacco senza preventivo accordo sarebbe stato fine a sé
stesso. Le contraddizioni poi aumentano nel momento in cui Cadorna, nel corso
di una riunione ristretta a Palazzo Braschi il 19 agosto 1914, in merito ad un
attacco attraverso il Trentino, che era “irto di fortificazioni” era del tutto
impossibile.
Sorge
il dubbio che Cadorna, non a conoscenza della reale consistenza dello stato di
preparazione dell’Esercito, a fine luglio chiede la mobilitazione generale e
l’attacco all’Austria, vedendo le cose in modo superficiale; via via che i dati
di situazione vengono a sua conoscenza, cambia atteggiamento fino alla crisi di
settembre. Cadorna rimane impressionato dalla relazione sulle “enormi
manchevolezze” dei magazzini fattegli dal generale Alfredo Tettoni, direttore
dei servizi logistici, ed il 25 settembre 1914 protesta energicamente presso il
Governo e soprattutto accusa il ministro generale Grandi di non aver dato i
dati reali di situazione. Uno scontro che è una delle cause delle dimissioni di
Grandi l’8 ottobre 1914.
Lo scollamento tra vertice politico, con l’Italia ancora vagamente triplicista, e vertice militare, questo, peraltro, con un Capo di Stato Maggiore che ancora non aveva avuto idee chiare sullo stato dello strumento che comandava, forse è la vera ragione per cui non attaccammo nel 1914. Se poi si aggiunge che la impreparazione dell’Esercito era un dato oggettivo a causa della guerra di Libia, il quadro si completa con la constatazione che un conto sono le ipotesi (l’attacco al nemico impreparato) ed un conto è la realtà (impreparazione dell’Esercito, assenza di piani, politica estera diversamente orientata).
Massimo Coltrinari
[1]
Bencivenga R., Saggio critico sulla nostra guerra. Il
periodo della neutralità, Roma, Tipografia Agostiniana, 1930, Vol. I;
Alberti A., Testimonianze straniere sulla
grande guerra italiana 1915 -1918, Roma Ministero della Guerra, Comando del
Corpo di S.M., ed. del giornale “Le Forze Armate”, 1933, pag, 28-31.
[2]
Ilari V., Storia del servizio militare in Italia. La
“Nazione Armata” 1871 -1918, Roma, CEMISS, Rivista Militare, 1990, Cap. X
III, pag. 420 e segg.
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