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giovedì 13 giugno 2024

Rapporti tra Austria Ungheria Germania ed Italia, 1914: L'Italia per convenzione diplomatica.

 APPROFONDIMENTI

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  L’Italia potenza per convenzione diplomatica



La considerazione che godeva l’Italia sul piano internazionale è tale da escluderla dal novero della Grandi Potenze. Nel momento delle decisioni è sempre considerata a margine, una entità che può portare qualche vantaggio, ma che non è decisiva per le questioni generali. La Germania nel luglio 1914 faceva pressioni su Vienna affinché nei rapporti con l’Italia trovasse una soluzione al fine di portare l’Italia nel campo della neutralità o addirittura a fianco della Germania. Berlino fece pressioni su Vienna affinché accettasse l’interpretazione italiana dell’articolo VII del Trattato della Triplice; in cambio si doveva ottenere un atteggiamento amichevole nella guerra contro la Serbia e se si aprisse un conflitto generale scendesse in campo a fianco della Germania. Tutto si svolse, nel clima concitato di quei giorni, tra il 28 luglio ed il 1 agosto. L’Austria, pressata dalla Germania, si sforzava nelle dichiarazioni di focalizzare i compensi, cercando di avvicinarsi alle posizioni italiane. Il nodo da sciogliere era il Trentino. A Vienna si era convinti che, nonostante le pressioni tedesche, cedere il Trentino all’Italia in cambio della neutralità o del suo intervento a fianco degli Imperi Centrali era insufficiente; l’Italia avrebbe chiesto di più; inoltre contrari a questa soluzione erano i militari e lo stesso Imperatore. Per compensi si pensava al Montenegro, a Valona o ad altre soluzioni ma in quei giorni di luglio e Austria, che era entrata in guerra per frenare il nazionalismo serbo, non poteva cedere a quello italiano.

 

La Germania, con l’inizio delle operazioni era ancora convinta che l’Italia potesse essere manovrata a propria discrezione, senza tenere in conto né il Governo né l’opinione pubblica. L’imperatore Guglielmo II prese una iniziativa quanto mai fuori luogo: inviò a Roma un suo aiutante di campo, il ten. col. von Kleist, direttamente a Vittorio Emanuele III, con la richiesta di schierarsi lui e l’Italia al suo fianco; contemporaneamente von Kliest doveva prendere contatto con lo Stato Maggiore italiano per concordare le misure utili alla realizzazione di questa richiesta. Richiesta che poi non era tanto campata in aria se si fa mente locale che Cadorna aveva ordinato movimenti verso il confine occidentale in vista di una Guerra con la Francia, movimenti in corso proprio quel 31 luglio 1914.

 

 

“Nel corso del primo incontro egli (Vittorio Emanuele III) fece presenti le difficoltà che si opponevano alla collaborazione armata dell’Italia, collaborazione che fino a qualche settimana prima sarebbe stata sicura e che a causa dell’atteggiamento austriaco degli ultimi tempi avrebbe ora provocato una sollevazione popolare. Il re aggiunse che tutto questo era dovuto al fatto che l’Austria non aveva voluto fare alcuna promessa per il futuro; era molto dubbio ora che potesse esservi un mutamento dell’opinione pubblica popolare. Vittorio Emanuele disse anche che egli era personalmente con tutto il cuore con la Germania e promise che avrebbe ancora esercitato la propria influenza sul ministero e che avrebbe poi informato il Kleist del risultato, ed effettivamente nel corso del secondo incontro con l’inviato di Guglielmo II Vittorio Emanuele disse che nonostante gli sforzi da lui compiuti il giorno precedente, il governo restava fermo nella sua decisione di neutralità. Egli insomma volle presentarsi come un sovrano che, pur desiderando la collaborazione attiva con l’alleato, e pur prodigandosi a questo scopo, trova avversa l’opinione pubblica ed irremovibile il proprio governo.”[1]

 

L’iniziativa di Guglielmo II era il frutto della particolare visione che aveva questo imperatore nello svolgere il suo ruolo, ma era fuori da un preciso contesto politico e soprattutto indirizzata ad un sovrano monarca di un paese ove la monarchia aveva un peso enormemente inferiore a quello della monarchia prussiana. In ogni caso una iniziativa in ritardo sugli eventi ed aveva lasciato in gran parte degli Italiani uno strascico di negatività, che può indirettamente la considerazione che a Berlino si aveva dell’Italia.[2]

 

Il tentativo tedesco di costringere, attraverso cessioni territoriali, ovvero il Trentino, da parte dell’Austria all’Italia ebbe una risposta chiara dal governo austriaco l’8 agosto. La risposta fu ampiamente motivata ma fu categoricamente negativa. L’Italia era considerata potenza solo per convenzione diplomatica. Un indice di quale considerazione regnasse nei circoli governativi viennesi riguardo all’Italia è la proposta avanzata in pieno consiglio dei ministri dal Presidente Sturgkh:

 

“…di non attendere una aggressione italiana, ma di ingannare gli italiani che si comportavano come briganti, con un raggiro diplomatico: la Germania, si noti la chiamata in causa dell’alleato, avrebbe promesso un trattato segreto il Trentino all’Italia, purché questa intervenisse a fianco degli alleati della Triplice e riconoscesse le misure che al termine della guerra l’Austria avrebbe adottato nei Balcani. Dato che fra queste vi sarebbe stata l’eliminazione del Montenegro, cui certo Vittorio Emanuele per motivi familiari non si sarebbe rassegnato, l’Italia avrebbe pertanto dovuto rinunciare al Trentino.”[3]

 

In questi giorni le decisioni importanti riguardo all’Italia sembrano improntate ad una precisa mancanza di realismo. Sia a Berlino che a Vienna non si è consci di quale evoluzione ha subito la pubblica opinione italiana, la politica del governo ed in genere l’atteggiamento dell’Italia verso gli alleati. E questo è sostanzialmente dovuto alla poca considerazione che l’Italia godeva presso i dirigenti viennesi e tedeschi. Poca considerazione che porta alcuni di loro a percorre terreni in cui l’inganno, la bugia, il raggiro ne fanno da padroni.

 

Anche se non si deve dare un peso oltre il dovuto[4] il 9 agosto 1914 l’Imperatore Guglielmo II e lo stesso gen. Moltke avevano suggerito all’addetto militare austriaco a Roma di promettere il Trentino all’Italia e di trovare poi il modo alla fine della guerra di non mantenere la promessa.[5]

Anche l’ambasciatone tedesco a Roma “non esita a dare al proprio governo suggerimenti di astuto inganno verso l’Italia di quel machiavellismo di cui i tedeschi ebbero prima o poi ad accusare gli italiani e del quale gli uni e gli altri in nome della necessità della Patria, dettero prova. Infatti il 21 agosto Flotow telegrafò a Berlino che a suo giudizio l’atteggiamento tedesco verso l’Italia era troppo leale: si avvicinava invece il momento nel quale la Germania e l’Austria avrebbero dovuto fare all’Italia delle promesse, anche se queste più tardi avrebbero potuto essere mantenute solo in parte o niente affatto. Egli suggeriva che Vienna facesse sperare al Governo di Roma, naturalmente per il caso di ingrandimento austriaco nei Balcani “correzione di confine” al nord evitando di parlare del Trentino; in tal modo sarebbe rimasta poi la libertà di interpretare il senso di quella vaga apertura.”[6]

 

Il suggerimento dell’ambasciatore tedesco a Roma fu fatto proprio dal Governo tedesco che inoltrò il telegramma dell’ambasciatore a Vienna

 

Il cancelliere, approvando senza riserve i suggerimenti di Flotow, mostrava di essere d’accordo sul concetto di fare promesse senza troppo sentirsi ad esse vincolati per il futuro”[7]

 

A metà agosto oramai le situazioni si sono chiarite. Berlino e Vienna tutti sono concentrati sull’andamento delle operazioni militari che stanno andando benissimo. Ormai l’Italia non era più un pericolo, e quindi il suo attacco all’Austria, che avrebbe aperto un terzo fronte, era svanito. La Germania era convinta di vincere la guerra da sola sia all’oriente che all’occidente e non riteneva l’aiuto dell’Italia necessario; ora che l’Italia era neutrale in quell’agosto del 1914 le cose si erano messe per il meglio. Anche l’Austria si era allineata a questa situazione.

 

In una lettera da Vienna a Roma, Aldrovandi Marescotti, rientrato pochi giorni prima da Roma, scrive.

“Vienna 14 agosto 1914. Nei colloqui estremamente cortesi che ho avuto in questi giorni con Berchtold, con Macchio, con Forgàch, ho constatato;

1° nessuna recriminazione da parte loro per l’atteggiamento dell’Italia;

2° speciale zelo compiacerci attivamente nelle varie richieste loro rivolte, zelo che ho notato anche nei funzionari dipendenti e che deve rispondere a particolari istruzioni.

…….

Una analoga riprova dell’attuale indirizzo delle direttive di questo Governo (austro-ungarico, n.d.a.) si ha dal fatto che il capo dell’Ufficio Stampa del Ministero i.e r. (imperiale e regio, n.d.a) ha dichiarato a taluni giornalisti austriaci, per loro norma, che l’atteggiamento dell’Italia, neutrale, ma benevola agli alleati, giova in ogni modo al blocco austro-ungarico-tedesco, perché per esso la Francia sarà obbligata per prudenza a non sguarnire i confini italo-francesi.” [8]

 

Aldrovandi continua nella sua lettera sottolineando come nei circoli politici di Vienna nessuno si meraviglia del mancato intervento italiano contro l’Austria e la sua dichiarazione di neutralità, in quanto era opinione diffusa in questi circoli, ed anche nella pubblica opinione, che durante la campagna di Libia del 1911-1912 era giunto finalmente il momento favorevole per un attacco all’Italia, Alleanza della Triplice in essere per reprimere definitivamente ogni velleità nazionalista. Accanto a questa mancata meraviglia, oltre al senso di depressione che la situazione aveva destato per le incognite che presentava, in cui la mancanza di dimostrazioni antirusse, anti serbe ed anti italiane sono da sottolineare, nei citati circoli e nella pubblica opinione si pensava concretamente che la guerra europea sia stata voluta dalla Germania che, sentendosi pronta, ha creduto che le convenisse di rompere gli indugi, prima che la Russia diventasse militarmente più forte.[9]  

 

Appare abbastanza chiaro che la posizione dell’Italia era stata determinata dalle scelte di Germania ed Austria: il conflitto era la risultante della iniziativa dell’Austria favorita dalla Germania all’insaputa dell’Italia, contro la Serbia. Per la Germania l’occasione era forse unica per scatenare una guerra europea e regolare le questioni e con la Russia e con la Francia, sperando che la Gran Bretagna rimanesse neutrale. In questo disegno l’Italia, alleata nella Triplice, non venne minimamente presa in considerazione.

 

L’ambasciatore italiano a Berlino, Bollati, in occasione della presentazione del Libro Bianco tedesco, così scrive a Roma il 5 agosto 1914:

 

Nel Libro bianco che è stato ieri presentato al Reichstag dopo una breve esposizione dell’attentato di Sarajevo e delle circostanze che l’hanno preceduto e seguito, il Governo germanico così esprime nei termini seguenti: stando così le cose l’Austria-Ungheria doveva dirsi che non compatibile né col la dignità né con la sicurezza della Monarchia l’assistere inattivamene a quanto si tramava al di là delle frontiere serbe. Il Governo i. e r. (imperiale e regio, n.d.a) ci informò di questo suo modo di vedere e chiese il nostro parere. Con tutto il cuore noi potemmo esprimere alla alleata la nostra concordanza[10] con il suo apprezzamento della situazione ed assicurarla che un’azione che essa li tenesse indispensabile per porre fine al movimento in Serbia diretto contro la integrità della Monarchia avrebbe avuto la nostra approvazione. Nel fare ciò noi ci rendevamo ben conto che la eventuale azione bellica dell’Austria-Ungheria contro la Serbia avrebbe provocato l’intervento della Russia e potrebbe quindi in conformità del nostro dovere di alleata implicarci in una guerra.[11] Ma noi non potevamo, di fronte ai vitali interessi dell’Austria-Ungheria che erano in gioco, né consigliare al nostro alleato una remissività incompatibile con la sua dignità né negargli il nostro appoggio in questo momento. Lo potevamo tanto meno in quanto che anche interessi nostri erano sensibilmente minacciati dagli incessanti intrighi. Se ai Serbi fosse stato più oltre permesso coll’aiuto della Russia e della Francia di minacciare l’integrità della Monarchia, ciò avrebbe avuto per conseguenza la progressiva rovina dell’Austria-Ungheria e la sottomissione di tutto lo slavismo sotto l’egemonia russa; in seguito a che la situazione della razza germanica nell’Europa centrale sarebbe divenuta insostenibile. Una Austria-Ungheria moralmente indebolita piegante sotto la invasione del panslavismo russo non sarebbe stata più per noi un alleato con quale potessimo contare e sul quale potessimo fare assegnamento come dovevamo farlo di fronte all’attitudine sempre più minacciosa dei nostri vicini d’Oriente e d’Occidente. Noi lasciammo quindi all’Austria-Ungheria completamente mani libere nella sua azione contro la Serbia.

 

Tutto ciò è talmente chiaro che non occorre alcun commento per dimostrare che l’azione dell’Austria-Ungheria è stata preventivamente concordata con la Germania anche in previsione delle complicazioni guerresche che ne potevano derivare.” [12] 

 

In questo comportamento vi è tutta la essenza dell’atteggiamento tedesco: escludere l’Italia dalla questione austro-serba, per paura che qualche cosa sfuggisse o anche per altre considerazioni, che si possono riassumere nella dizione che l’Italia era una potenza solo per cortesia diplomatica. Allargato il conflitto e visto che la situazione si stava compromettendo, con un possibile attacco italiano all’Austria, azioni volte a richiamare ai doveri di alleata l’Italia, lì dove la Triplice Alleanza era stata violata nella questione sia austro-serba, sia nella preparazione della guerra europea.

 

Al momento della dichiarazione della neutralità italiana, il ministro degli esteri tedesco Jagow, che aveva seguito le armate tedesche avanzare vittoriose in Belgio e considerando ormai la guerra avviata a sicura vittoria, il 31 agosto 1914 in una lettera a Zimmermann scritta dal Lussemburgo ebbe modo di delineare nei dettagli la posizione tedesca, che è mutata, alla luce del successo che si stava conseguendo rispetto a quella di luglio che aveva spinto la Germania a chiedere a Vienna la cessione del Trentino:

 

“…..L’Italia, moralmente non si è guadagnata il diritto a compensi, anzi non è più interesse della Germania che venga rafforzata; infatti la Triplice Alleanza, a causa dell’atteggiamento italiano, à virtualmente finita, anche se formalmente può vegetare ancora un po'. La stessa neutralità italiana non si può definire benevola…. Comunque (Jagow, ministro degli esteri tedesco, n.d.a) ritiene che i successi militari tedeschi agiranno in senso moderatore in Italia: l’ottimismo del ministro, esaltato dalla favorevole congiuntura bellica, giunge al punto di escludere oramai un intervento italiano contro l’Austria. Un pericolo italiano non esiste più, egli dice, a meno che non si verifichino gravi rovesci militari, il che egli evidentemente non crede possa accadere. In conclusione la politica da condursi con gli italiani è semplicemente quella di temporeggiare, da tenerli a bada con abile gioco diplomatico, mentre le armi risolvono a favore degli Imperi Centrali la grande contesa. L’Italia non è dunque più l’alleato necessario: la Germania ha constatato che può farne a meno persino in una lotta contro nemici numerosi come quella in corso; inutile l’alleato e finita l’alleanza.[13]

 

Una posizione quella tedesca di fine agosto 1914 che è in contrasto con le dichiarazioni ufficiali ed ufficiose di amicizia per l’Italia, ci comprensione del suo atteggiamento e infine della perfetta identità di vedute sulla interpretazione dell’Articolo VII della Triplice alleanza. Un atteggiamento questo della Germania per lo meno contradditorio. In realtà, avendo sottovalutato il ruolo dell’Italia al momento della decisione di alterare gli equilibri europei, con un’Austria non allineata alla sua politica con l’Italia, la Germania non ha potuto, o non ha voluto, avvalersi dell’apporto italiano. Ora che la guerra stava andando bene e tutto lasciava credere che si sarebbe risolta in modo vittorioso, ecco che i tedeschi assumono l’atteggiamento della volpe con l’uva. Possono a fare a meno dell’Italia, questa non è più un pericolo per l’Austria, l’alleanza è finita. Tutto sarebbe finito a valle della vittoria militare.

 

In due mesi si è deciso da quale parte doveva stare l’Italia. Questo fu deciso dalla Germania, e subito dall’Austria, che non poteva seguire nei suoi ragionamenti di potenza l’alleata avendo in conflitti con l’Italia. La Germania, arrogante e presuntuosa, con un imperatore che gestiva la politica parallelamente al suo Governo, non tenne in debito conto, nella sua politica di potenza, il peso dell’Italia. Se così fosse stato avrebbe inizialmente fatto partecipe l’Italia nella decisione austriache da prendere contro la Serbia, in contemporanea avrebbe dovuto sollecitare l’Italia all’applicazione della convenzione militare della Triplice in cui Roma doveva inviare in Francia ben 150.000 soldati. E la richiesta avrebbe trovato il Capo di Stato Maggiore italiano, Luigi Cadorna, pronto alla esecuzione immediata, non per altro con movimento verso il confine occidentale già predisposti.

Di tutto questo da parte della Germania non vi è traccia; vi è il maldestro tentativo del 31 luglio di Guglielmo II di inviare un tenete colonnello al Re Vittorio Emanuele III per scendere in campo accanto a Lui in una guerra voluta da lui in nome di una Alleanza che era strettamente difensiva.

 

Sembra un’ipotesi da approfondire quella che l’Italia nel luglio-agosto 1914, abbia solo subito l’azione della Germania e, conseguentemente dell’Austria, che peraltro aveva in animo di invaderla alla prima migliore occasione, e quindi che siano stati gli alleati della Triplice, in particolare la Germania a non volere l’Italia al proprio fianco convinti che la guerra europea sarebbero stati in grado di vincerla da soli. Del resto l’Italia era una potenza solo per convenzione diplomatica, e una Grande potenza come la Germania non la ritenne degna di stare al suo fianco nell’impresa di conquistare l’Europa. Questo nel luglio 1914. Nei mesi successivi a Berlino come a Vienna si accorsero dell’enorme errore commesso.

 

(massimo Coltrinari

[1] Monticone A., La Germania e la neutralità italiana 1914 -1915, Bologna, Società Editrice il Mulino,

1971, pag. 29

[2] Aldrovandi Marescotti, che nell’agosto 1914 era primo segretario d’ambasciata a Vienna, scrive al riguardo: “…..Anche Albricci tornò riportando impressioni di disgusto per la oltraggiosa brutalità della Missione militare straordinaria che l’Imperatore Guglielmo aveva inviato in quei giorni a Roma, allo scopo di far intervenire l’Italia con gli Imperi Centrali nella guerra. Aldrovandi Marescotti L., Guerra diplomatica. Ricordi e frammenti di diario (1914-1919), Verona, Arnaldo Mondadori Editore, 1942., pag. 42

[3] Ibidem, pag. 31

[4] Ibidem

[5] Valiani L., La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, Milano, il Saggiatore, 1966

[6] Monticone A., La Germania e la neutralità italiana 1914 -1915, Bologna, Società Editrice il Mulino, 1971,

   pag.35

[7] Ibidem

[8] Aldrovandi Marescotti L., Guerra diplomatica. Ricordi e frammenti di diario (1914-1919), cit., pag. 40

[9] Ibidem

[10] È questo il passaggio che è necessario cogliere. Lo stesso atteggiamento doveva essere assunto nei confronti dell’Italia, senza nascondersi dietro il fatto che queste erano questioni solamente austro-serbe.

[11] Gli stessi obblighi dell’Italia, come alleata nella Triplici. Ma l’Italia non fu minimamente coinvolta nel processo decisionale che le altre due alleate avevano avviato.

[12] Aldrovandi Marescotti L., Guerra diplomatica. Ricordi e frammenti di diario (1914-1919), cit., pag. 23

[13] Monticone A., La Germania e la neutralità italiana 1914 -1915, cit., pag.39

 

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