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domenica 18 febbraio 2018

Note sulla Medaglia d'Oro Giovanni Randaccio


ARCHIVIO


 A cura di Antonio Cuozzo.




Giovanni Randaccio, 

maggiore, 

da Torino,

 del 77° Reggimento fanteria,

 Fonti del Timavo, quota 28, 

28 maggio 1917.





Ed ora sulle sponde del misterioso Timavo, incontriamo una delle figure più alte e luminose di tutta la nostra guerra, l’eroe purissimo, ch’ebbe per suo celebratore e poeta Gabriele d’Annunzio ; il maggiore Giovanni Randaccio dei “Lupi di Toscana”. Era stato valoroso ufficiale di fanteria in Libia e poi aviatore, ma allo scoppiare di questa guerra aveva voluto essere di nuovo fante fin dalle prime ostilità, sul monte Sei Busi, aveva dato in ripetuti attacchi prova del suo ardimento, guadagnandosi la prima medaglia d’argento.[2] Nella battaglia autunnale del 1915, poi, sulle alture di Polazzo, ferito due volte durante un assalto, manteneva ciò nonostante il comando del suo reparto; ferito una terza volta in modo gravissimo, rimaneva ancora al suo posto, incoraggiando i suoi soldati a mantenere la posizione. Una seconda medaglia d’argento[3] si aggiungeva alla prima, ma le conseguenze delle ferite riportate, che richiesero perfino la trapanazione del cranio e la sutura delle meningi, resero il gagliardo soldato un inabile permanente alle fatiche di guerra. Non egli, però, poteva acconciarsi a rimanere per sempre un assente dall’atmosfera vibrante della guerra, ch’era per lui come un elemento vitale : tanto chiese, tanto insistette, che ottenne di ritornare alla fronte. Prese parte, così, nell’ottobre 1916, alla conquista del Veliki-Kribach, sulla cui cima Gabriele d’Annunzio, che aveva voluto essergli a lato , piantò una grande bandiera ; ma Giovanni Randaccio, impadronitosi di quel vessillo, e postosi in testa alla sua compagnia, ch’era in rincalzo, la guidò più avanti, sulle pendici del Dosso Faiti, alla cui conquista cooperò quindi validamente, nelle prime giornate di novembre. Alla fine della battaglia fu promosso maggiore per merito di guerra e decorato di una terza medaglia d’argento.[4] Costretto quindi ad entrare in un luogo di cura, ne uscì in tempo per prendere parte alla nuova offensiva del maggio 1917 : quella, nella quale doveva perdere la vita. Il 23 maggio, coll’impeto usato, lanciava il suo battaglione contro le posizioni nemiche di quota 21 e 21-bis, travolgendone i difensori. Cinque giorni dopo, il 28, muovendo da quota 12 passava il Timavo ed assaltava la quota 28. Anche qui egli recava con sé una bandiera che doveva consacrare la conquista. Un battaglione del 77° Reggimento fanteria ed uno del 149° Reggimento fanteria, al comando del maggiore Randaccio, avevano il compito di impadronirsi della forte posizione avversaria, che si ergeva subito al di là del corso d’acqua ; l’artiglieria nemica non aveva consentito di gettare altro che un’angusta passerella e su questa infieriva il tiro delle mitragliatrici austriache. Nonostante le difficoltà estreme che l’azione presentava, la quota 28 fu strappata al nemico, ma questo, rafforzatosi, tornò prontamente alla riscossa, riuscì ad avvolgere il battaglione del 149° Reggimento fanteria e cercò di isolare gli altri . In questo momento difficilissimo rifulsero più che mai l’energia mirabile e la forza morale del maggiore Randaccio ; benché minacciato sul tergo e di fianco, egli riuscì a disimpegnare gran parte del battaglione ed a trarlo in salvo; molti soldati non esitarono a gettarsi nel Timavo, ripassandolo a nuoto. Ma nel mentre il valoroso maggiore, ritto presso la passerella sorvegliava il defluire degli ultimi suoi, una raffica di mitragliatrici lo investiva, ferendolo gravemente. La bandiera che doveva essere il segnale della vittoria divenne così coltre funeraria. Gabriele D’Annunzio così scrive in merito alla Morte del Maggiore Randaccio:

Gabriele d'Annunzio, capitano dei Lancieri di Novara


“Probabilmente riconosciuto come ufficiale, al pastrano e ai gambali, fu subito investito dauna raffica di mitraglia. Subito cadde, perché non si sentiva più le gambe; così ebbe a dire con una voce che fin dal principio dominava lo strazio della carne e l’ansietà della morte. Pensò alla moglie amata ed alle sue quattro creature, e le nominò, ma serbado il viso fermo e l’occhio asciutto. Al posto di medicazione, dove nell’oscurità afosa risounavamo i lamenti puerili ed il balbettio atroce, che noi temiamo più delle schegge laceranti, Egli non mise un solo gemito, se bene soffrisse di là di ogni tolleranza umana. Stringeva i denti e mi guardava fisso, dissanguandosi, mentre le mani incerte del giovane medico lo palpavano. Egli avrebbe potuto morire sul colpo, fulminato; trapassare dall’ardore della vittoria versol’ombra di quel Dio che accoglie le primisie degli eroi.. Ma era riserbata alla sua magnaminità anche l’elezione del patimento. Ogni passo di portatri faticosi, fra palude e petraia, lungo le trincee sconvolte, attraverso gli spientti di ferro abbattuti, sotto il fuoco nemico diretto ad impedire l’accorrere delle truppe di rincalzo, ogni passo era un aumento di spasimo per lui disteso sulla barella e già spento dall’inguine in giù. Lo scoppio delle grante arrestava  il cnvoglio o lo affrettava o lo deviava, di sussulto in sussulto, di scrollo in scrollo. Il terreno era scoperto, visibile era la barella con l’uomo in maniche di camicia ed avvolto in fasce. Un tiro meglio aggiustato ferì di nuovo il ferito e due dei portatori che abbandoranro le stanghe. Il peso sanguinoso urtò le pietre aguzze e rinsanguinò. Quando finalmente alle officine dell’Adria, Egli fu caricato nel carro dell’ambulanza, il suo martirio non sembrò terminare ma ricominciare. Non si poteva guardare la sua faccia smorta si contraeva e si trovava sui denti serrati, ed era la sola cosa che in lui si movesse. ……Tenevo fra le dita il suo polso freddo che non batteva più..Egli dischiuse un poco le ciglia, per ove guizzò l’ultimo baleno del suo sguardo intrepido. E su le sue labbra di trapasso si sisegnò la volontà di dire. Mi chinai su le sue labbra. E, in un soffio che mi percorse l’anima come bellezza folgorante, più appassionato di qualunque grido Egli disse . “Viva l’Italia”. Tale fu la morte del vittorioso”.

Fu conferita alla sua memoria la Medaglia d’Oro al Valor Militare, di “motu proprio” di S. M. il Re.[5]



[2] Il testo della motivazione è su www.istitutonastroazzurro.org/ consulta l’archivio digitale/ /Giovanni/Randaccio/1917/Medaglia d’Argento.
[3] Il testo della motivazione è su www.istitutonastroazzurro.org/ consulta l’archivio digitale/ /Giovanni/Randaccio/1917/Medaglia d’Argento.
[4]Il testo della motivazione è su www.istitutonastroazzurro.org/ consulta l’archivio digitale/ /Giovanni/Randaccio/1917/Medaglia d’Argento.
[5]Il testo della motivazione è su www.istitutonastroazzurro.org/ consulta l’archivio digitale/ Giovanni/Randaccio/Esercito/1917/Medaglia d’Oro.

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