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lunedì 19 febbraio 2018

Le Suore del Monastero di Santa Priscilla e gli Ebrei 1943-1915



di Antonella Troiani

Catacombe di Santa Priscilla Roma

Durante l’occupazione nazista, le benedettine di Priscilla nascosero centinaia di perseguitati con la complicità dell’ambasciatore del Reich presso la Santa Sede, Ernst von Weizsäcker. L’operazione di occultamento non era esente da rischi, poiché i tedeschi rastrellavano tutto il territorio italiano in cerca di ebrei e partigiani; ma, per questi ultimi, era l’unico modo per sfuggire miracolosamente al treno della morte che portava ad Auschwitz. Numerosissimi sono stati gli ebrei salvati dalla rete di assistenza della Chiesa e un caso emblematico per tutti è quello delle Suore Oblate Benedettine di Priscilla, che durante gli anni oscuri della seconda guerra mondiale, sotto la sagace direzione del loro fondatore, don Giulio Belvederi, presso la loro casa alle Catacombe di Priscilla, nascosero centinaia di perseguitati.  Nonostante il tema della persecuzione contro gli ebrei e il Vaticano sia stata una querelle infinita e motivo di controversia accesa, fin dall’autunno del 1943, di fronte ad una precipitazione degli eventi, la Santa Sede decise di provvedere ad impartire direttive ai superiori dei vari ordini religiosi, i quali spalancarono le porte dei propri conventi per accogliere, anche sotto mentite spoglie, così come affermato da Giovanni  Preziosi, nel suo articolo apparso su L’Osservatore Romano di domenica 7 luglio 2013, tutti coloro i quali erano in serio pericolo di vita. L’autore, sopracitato, sottolinea, che le oblate benedettine di Priscilla- un piccolo ramo del grande tronco benedettino, sorto agli inizi del 1937 nella casa sulla via Salaria presso le Catacombe di Priscilla- si siano distinte in questa autentica gara di solidarietà, prodigandosi a soccorrere tutti i perseguitati, ospitandoli nella loro comunità e organizzando una duplice attività di protezione dei ricercati, sotto la guida di don Belvederi, fondatore dell’ordine, e con la collaborazione di Giulio Andreotti, presidente della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana); unica associazione riconosciuta nelle università durante il fascismo, nella quale si formerà buona parte della futura classe dirigente democristiana. Secondo quanto affermato da suora Gloria Carli, la rete di assistenza riusciva a produrre anche false carte d’identità degli ebrei e di altri rifugiati, poiché le suore avevano una piccola tipografia, al servizio dell’Archeologia cristiana; i documenti venivano stampati e poi vidimati con i timbri delle città già liberate. Questa rete di assistenza, attenta e meticolosa, era stata ideata da Giulio Andreotti il quale provvedeva alla stampa e alla consegna diretta dei documenti agli ebrei nascosti in Vaticano. La filiera era stata studiata e pianificata al dettaglio. Come affermato da G. Preziosi nell’articolo già menzionato, uno degli organizzatori di questa rete è stato un collaboratore di De Gasperi, nonché futuro segretario della Democrazia Cristiana, Guido Gonnella, il quale provvedeva a recapitare una busta contenente le false carte d’identità stampate nella tipografia delle suore benedettine all’edicola dei giornali che si trovava nei pressi del colonnato di piazza San Pietro. Dall’edicola, la busta veniva immediatamente prelevata e portata in Vaticano dove si procedeva a regolarizzare i documenti;  dopodiché il plico faceva il percorso inverso per ritornare al mittente. Affinché la protezione non venisse scoperta, tutti coloro che ne beneficiarono, avevano delle regole da osservare e dei comportamenti da tenere. A un segnale prestabilito e convenzionale, in caso di pericolo, passando per un accesso segreto, tutti gli “ospiti” si dileguavano nelle vicine catacombe dove restavano fin quando l’allarme cessava. Nell’articolo, comparso sul quotidiano della Santa Sede, si ricordano alcuni perseguitati che hanno beneficiato della protezione. Si menziona uno dei Visconti di Modrone di Milano e Lorenzo Camerino; quest’ultimo, di origine ebraica, beneficiò della protezione delle oblate di Priscilla assieme alla sua famiglia composta dalla moglie, Maria Molon, e dalla figlia Francesca, che al tempo dei rastrellamenti era soltanto una bambina dell’età di cinque anni. La famiglia Camerino rimase nascosta presso le catacombe di Priscilla fino al termine della guerra. Detta notizia si evince da una lettera che la signora Maria Molon scrisse alle suore, da Venezia, in occasione del Natale del 1945. La donna scrisse questa lettera in ricordo del Natale 1943 trascorso nella casa di Priscilla. Rivolgendosi alla Madre Reverenda, come riportato nell’articolo di G. Preziosi, scrisse “Il ritorno nella mia casa e la gioia di ritrovare i miei cari non mi hanno fatto mai dimenticare e tanto meno mi fanno dimenticare ora che si avvicina il Santo Natale, Lei e tutte le Suore di Priscilla. La bontà veramente ispirata dal Signore, che è stata per noi tutti fonte di coraggio e di speranza in uno dei momenti più tragici della nostra vita, ha lasciato nel nostro cuore e nella nostra mente un’impronta che è diventata la regola cui vorremmo conformare la nostra esistenza. Purtroppo le contingenze del vivere quotidiano ci fanno tanto spesso sentire invece quanto il costume delle buone Sorelle sia lontano dal nostro. E per questo davvero tante volte vorremmo essere più vicini a Voi tutte per poter ancora dividere della Vostra serenità. È così vivo in tutti noi il ricordo del Natale trascorso nella Casa di Priscilla che in ogni ora di queste nostre giornate riviviamo quella Festa del 1943 che è stata, nonostante la tragicità dell’epoca, d’indimenticabile serenità”. Nella lettera, la signora Molon, ricorda l’animo puro di monsignor Belvederi, considerato da tutta la famiglia come un vero Padre. Un padre, con grandezza d’animo, di bontà e di cultura; un padre che si è messo al servizio dell’umanità e di tutti i perseguitati. Oltre alla famiglia Camerino, per un lasso di tempo più breve, è ospite della casa di Priscilla, il professor Giorgio Del Vecchio, un accademico di origini ebraiche, docente di filosofia del diritto e preside della facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma. Fu discriminato dal regime per queste sue ascendenze. Ottenne ospitalità presso le suore benedettine, assieme alla propria consorte, grazie ai buoni uffici dell’esponente democristiano Guido Gonnella. Altra ospite, fu la celebre archeologa tedesca Hermine Speier che, dall’aprile 1943, a seguito dell’estromissione dall’Istituto Archeologico Germanico, perché di origine ebraica, venne assunta da Pio XI per riordinare l’archivio fotografico dei Musei Vaticani. I rifugiati della casa di Priscilla, durante il periodo di permanenza nel monastero, poterono godere della cura e dell’attenzione che monsignor Giulio Belvederi dedicò loro. Sarà proprio don Belvederi, negli anni successivi, a riconoscere quanto sia stata importante la complicità dell’ambasciatore del Reich presso la Santa Sede, Weizsäcker, affinché la gestapo non perquisisse la casa delle suore benedettine di Priscilla. Padre Belvederi racconta di come l’ambasciatore abbia finto di non sapere della rete clandestina allestita da tanti religiosi con il consenso della Santa Sede per salvare i ricercati. L’ambasciatore  Weizsäcker temeva che la deportazione degli ebrei di Roma avrebbe potuto danneggiare l’immagine della Germania favorendo la propaganda nemica.  Inoltre, una eventuale protesta del Papa, avrebbe peggiorato ancor più le cose mettendo in imbarazzo i tedeschi e riducendo la possibilità di un compromesso di pace negoziato dalla Santa Sede e scatenando, forse, episodi di resistenza e di disordini pubblici. Ciò spinse l’ambasciatore Weizsäcker a fare in modo che gli ebrei fossero segretamente avvertiti per disperdersi prima di essere arrestati. Nonostante queste misure strategiche di protezione e le tattiche per nascondere i perseguitati, il 16 ottobre 1943, il “sabato nero” del ghetto di Roma, le SS invasero le strade romane e rastrellarono oltre mille ebrei. E’ la data che segna l’ultima tappa di un triste itinerario iniziato nel settembre 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. A seguito, con la liberazione della capitale, a opera degli alleati, e il ristabilimento dell’ordine pubblico, si concluse il calvario dei tanti ebrei rifugiati, scampati al rastrellamento e alla deportazione nei lager nazisti, perché nascosti nelle varie case religiose sparse per tutta la città. Il 7 luglio 1944, fu il sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Montini, a nome del Papa, a ringraziare l’unione delle comunità israelitiche d’Italia e la comunità romana che avevano espresso la loro gratitudine e la loro riconoscenza al Pontefice Pio XII per gli sforzi profusi allo scopo di far cessare le persecuzioni razziali.

Una immagine recente delle Suore di Santa Priscilla



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