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giovedì 8 marzo 2018

La Donna nella Guerra di Liberazione 1943- 1945 Parte Priima


APPROFONDIMENTI

Nel giorno dedicato alla donna riportiamo uno studio elaborato nel 2003 e adattato nel contesto della preparazione del Dizionario Minimo della Guerra di Liberazione in ambito CESVAM. Questo anche come attività propedeutica alla Giornat del Decorato del 2019 in cui si dovrà finalmente prendere in considerazione anche il Valore Militare al femminile, argomento già base di un progetto CESVAM 2017.
In questo ambito si inizia a trattare un periodo veramente delicato per via di una mancata composizione della memoria storica, in cui ancora l e ideologie che imperavano nella prima metà del novecento,  che hanno mostrato tutti i loro limiti essendo fallite alla prova dei fatti, ancora sopravvivono in  contesto socio-economico ed internazionale profondamente cambiato.


La Guerra di Liberazione iniziò un processo di cambiamento e revisione del ruolo della donna nella nostra società. Un processo ancora oggi in corso ma che è dal 1943, irreversibile, per i contenuti e gli obbiettivi conseguiti e da conseguire. La partecipazione della donna negli avvenimenti bellici che vanno dal settembre 1943 all'aprile 1945 diede titolo alle donne di rivendicare  diritti e nuovi doveri che segnarono una profonda svolta nei rapporti e intrecci tra il maschile e il femminile. Si conquistò, innanzi tutto il voto che significa il diritto di cittadinanza, ed ebbe fine la distinzione pubblico-privato, con l'universo femminile relegato per lo più nella casa ed addetto ai servizi di cura nella separazione rigida dei ruoli dei due sessi. Ancorchè sulla carta all'indomani della fine della guerra di Liberazione fu affermata, come prodotto conseguente di essa, l'uguaglianza nei diritti nel lavoro e nella famiglia, che, attraverso il cambio Istituzionale, furono raccolti nella Carta Costituzionale, che ancor oggi rappresenta il frutto più maturo e generale della Guerra di Liberazione.
Negli anni precedenti il ruolo della donna era relegato alla Donna fatale della cinematografia dei telefoni bianchi divenuto il mito femminile proposto alla vigila della guerra, mentre la iconografia dei media riportava le Principesse di casa reale nel sogno della favola del principe azzurro che mascherava  la distanza tra i ceti sociali che  era enorme ancor più nell'universo femminile

Durante il ventennio la donna accettò o sembrò accettare la parte delle suddite soddisfatte o rassegnate, retaggio non contestato delle generazioni precedenti. Nella sostanza la donna era relegata in casa, custode del focolare, addetta alla procreazione delle future e generazioni di soldati, sempre in sottordine rispetto al maschio e sempre in paragone, svalutativo con esso. Peralto è solo del 1919 la abolizione del cosiddetto “Assenso”, l’Istituto giuridico in cui era previsto che la donna sia socialmente che economicamente doveva essere sottomessa alla decisioni del padre, del marito del fratello, dei Cugini maschi.
Con l'andar della guerra, una guerra che per la prima volta era totale, che entrava nelle case e portava morte e distruzione, la donna iniziò a superare il ruolo che gli era stato assegnato, nel solco e nel ricordo di quando accadde durante la Grande Guerra, in cui la Donna sostiu’ l’uomo al fronte nei campi e nelle fabbriche.. Quando iniziarono i bombardamenti e si profilò la sconfitta, il disagio, che era latente nei primi anni di guerra, divenne, nelle masse femminili, mormorio, contrasto, dissenso, odio nei confronti del regime.
Da questo stato d'animo, misto anche alla inutilità di tanti sacrifici, nasce l'antefatto per la partecipazione convinta delle donne alla Guerra di Liberazione: occorreva, in tanta catastrofe e tragedia, non rimanere a casa, a pensare solo al proprio particolare, ma impegnarsi a lottare, a combattere, a partecipare. Da qui la partecipazione in prima fila nella crisi armistiziale, la partecipazione alla lotta ribellistica al Nord, alla vita politica del Sud, al dramma della deportazione, ad aiutare prigionieri e perseguitati, alla lotta clandestina, e, quello che poi non risulterà, a mandare avanti la famiglia nelle difficoltà del momento.

Con l'invasione del territorio nazionale da parte di eserciti stranieri, la popolazione vide  scomparire l'autorità stautale e, contemporaneamente, venne a contatto con la dura realtà della guerra, che prima era solo appannaggio dell’uomo al fronte, ora era appannaggio di tutti.

L'Armistizio dell'8 Settembre 1943 diede inizio a questo stato di cose.

Ad una attento studio delle fonti, sembra emergere il dato che le donne  siano le prime acomprendere che la guerra non è finita con l'Armistizio.  La caduta del regime il 25 luglio 1943 fu accolta come una conquista per porre fine alla guerra e molte donne, scese nelle strade, si espressero con il grido di "guerra alla guerra", pensando ad un ritorno alla normalità ed ad una conquista di maggiori libertà. Corrado Alvaro ricorda una figura quasi emblematica di giovane madre che a Roma, a Campo dei Fiori, portava in braccio il suo bambino, all'indomani della caduta del fascismo, per fargli respirare l'aria della libertà. Con l'annuncio dell'armistizio, invece, non vi è esultanza. Comprendono tutti subito che la guerra non è finita, e che si andava incontro a tempi ancora più duri, con una  presenza, quella tedesca, che di ora in ora diventava sempre più oppressiva. Compresero che i tedeschi,  erano occupatori; libere da obblighi militari e quindi sollevate da ogni "onore militare", ne tantomeno ingombrate dalla vergogna di un giuramento tradito, o di una alleanza che mai avevano sottoscritto, le donne diedero subito una pronta e franca risposta: in ogni parte d'Italia, spontaneamente, offrirono ai militari sbandati ogni sorta di aiuto e li consigliarono e li sollecitarono a sottrarsi alla cattura, premessa per una sorte che sicuramente non poteva che essere atroce. Si assiste, in quel settembre 1943 ad una sorta di "maternage di massa" Le donne cercano di contrastare la deportazione dei militari in Germania, che alla fine risulterà di oltre 600.000 unità. Lungo le linee ferroviarie, nelle fermate delle stazioni, rischiando la vita, prestarono conforto ai deportati. e le testimonianze in questo senso sono migliaia.

La Partecipazione della donna alla Guerra di Liberazione è una progressione dettata dagli   avvenimenti. Conclusasi la crisi armistiziale nel settembre del 1943, con la creazione al  nord della Repubblica Sociale Italiana, che voleva la continuazione della guerra a fianco dei tedeschi e in contrapposizione al Regno di Vittorio Emanuele III, giudicato traditore, l'Italia era un campo di battaglia: una conclusione amara, tragica, di un ventennio che aveva sempre predicato la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti tra le nazioni. Non solo divisione territoriale, ma anche amministrazione della cosa pubblica in mano straniera. Al nord subito si palesa la ferocia degli occupanti tedeschi , con le prime stragi di popolazioni civili, già ampiamente sperimentate nell'est dell'Europa dal 1941, accomunate all'impegno di sottrarre alla deportazione in Germania chi ancora non era stato catturato. Le donne nascosero sbandati, prigionieri alleati, coloro che si sentivano in pericolo prima in soffitta o in cantina, trovando per loro rifugi sicuri fuori città, in fattorie abbandonate, in rimesse o capanne, rifornendoli di viveri ed indumenti, poichè l'inverno era alle porte, medicine ed infine armi, passando di loro iniziativa dalla spontanea offerta dei primi giorni ad una sorta di collegamento tra donne, amiche parenti, conoscenti. Si ebbe così una prima forma di organizzazione, che divenne una prima rete operante allorchè gli sbandati . gli ex militari, o ex prigionieri o solo avversari dei nazifascisti, iniziarono a formare le bande: la presenza e l'appoggio delle donne fu là dove i "banditi" diventarono  partigiani,  .


Prima della Guerra di Liberazione le donne non hanno avuto mai il diritto-dovere di difendere la patria in armi. Con gli eventi del 1943-1945 la donna ha avuto la possibilità di scegliere, di misurarsi con questa scelta e quindi prendere le armi, senza cartolina precetto,  per combattere una guerra che avrebbe portato libertà e democrazia paritaria. Una scelta ardua, che scardina i tradizionali ruoli femminili e pone le donne alla pari con i loro compagni uomini. Questa scelta, in un quadro storico, ha un valore simbolico: afferma la volontà di essere cittadine, di partecipare a pieno titolo alla difesa della patria comune. L'uso delle armi, in quei mesi, è inteso come desiderio di partecipazione totale di vivere fino in fondo e nelle condizioni più estreme la scelta di difendere la patria calpestata e di cacciare l'invasore o l'occupante. L'uso delle armi, nella pratica,  si ha nelle formazioni partigiane. Il partigiano impara a vedere le donne combattenti che fanno i turni di guardia come loro, che smontano e ripuliscono le armi, che sottostanno alla stessa disciplina e che partecipano, senza alcuna speciale tutela , agli assalti, agli scontri armati; pur tuttavia non smettono di considerare come donne le loro compagne d'armi. Si forma, nella vita partigiana, un etica molto rigida ed austera. Di fronte alle ragazze partigiane il sesso, nel senso di attività sessuale, è rimosso severamente, testa uno di quei problemi "maschili" che a quel tempo le "ragazze serie" ignoravano, o meglio fanno finta da ignorare, anche nella vita partigiana. Nascono ovviamente simpatie e amori :la morale partigiana  è rigida e conformista le compagne partigiane si rispettano, e se si amano, si portano se non di fronte al sindaco, se non di fronte al prete. Nonostante questo, finiti i tempi eccezionali, era poi difficile persuadere gli altri di tanto rigore, e intorno alle partigiane che hanno vissuto in mezzo agli uomini o hanno avuto con loro rapporti continui aleggerà sempre un'atmosfera di sospetto. 
Le donne che vanno in formazione sono poche, ma è un seme gettato. Con questa scelta si dimostra di essere diversi ma uguali. Ed è questa la grande conquista della Guerra di Liberazione.

L'Impegno della Donna nei fronti della Guerra di Liberazione 

Oltre che sul fronte della Ribellione al Nord la Donna trovò spazio anche in formazioni militari

Il Regno del Sud
Il 13 ottobre 1943 il Regno d'Italia, con a Capo Vittorio Emanuele III, dichiara guerra alla Germania ed ai suoi alleati.). Nel Forze Armate Italiane l'impiego della donna fu sempre limitato. Nel 1866 si hanno le "Vivandiere nel Corpo dei Volontari", nle 1907 vi è la regolamentazione del Corpo Infermiere Volontarie, ausiliario delle Forze Armate. Fino all'armistizio, la Aeronautica aveva costituito nuclei femminili addetti alle telecomunicazioni quali centraliniste e telefoniste. si istituisce 

Il Corpo Ausiliario Femminile (CAF)

Il CAF viene istituito con Decreto legislativo luogotenenziale 25 Giugno 1944 n. 151: L'arruolamento prevedeva la cittadinanza italiana , con età compresa tra i 21 e i 50 anni in possesso di u  titolo di studio equivalente all'attuale diploma di scuola media superiore di secondo grado, coniugate, ma con figlio con età superiore a 12 anni.
La gerarchia prevedeva una Ispettrice Generale, alcune Vice Ispettrici, Capigruppo e Gregarie. Le Gregarie erano assimilate moralmente al grado di sottotenente.
Prestavano un servizio volontario di 12 mesi, con diritto all'alloggio, all'uniforme, al vitto gratuito, sottoposte al regolamento di disciplina militare. Gli assegni erano non regolari: era corrisposta una indennità non equivalente a stipendio, ma per i tempi, molto sostanziosa pari a 2 mila lire se in servizio presso la zona abituale di residenza, 3 mila lire se fuori sede.
L'uniforme era di foggia inglese similare a  quella dell'Auxiliary Territorial Service: I distintivi di grado erano portati, sottoforma di bottoni, sulle controspalline; 4 per la Ispettrice Generale, 3 per le Vice Ispettrici, 2 per le Capo gruppo, 1 per le Gregarie.
Portavano le stellette sul bavero sopra le mostrine della fanteria ad indicare la loro fonte di appartenenza, anche se in tema uniformologico le fonti sono contrastanti.
L'impiego era presso le cosiddette "cantine mobili" o "carrozzoni" come si definivano i camion attrezzati all'interno con cucine ed altri "servizi di ristoro". Espletavano anche mansioni nelle foresterie, negli spacci delle "Case del Soldato", impiegate in biblioteche o negli uffici 
Il totale delle appartenenti al corpo era di circa 400 unità.

La Repubblica Sociale Italiana 
Il Servizio Ausiliario Femminile   (SAF)     
La Repubblica Sociale Italiana, creata il 23 settembre 1943, organizza il personale femminile. Con Decreto Legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 178 del 1 agosto 1944 e nel protocollo 4239 A, viene istituito il S.A.F. Servizio Ausiliario Femminile. I  compiti previsti, sono: addette ai posti di ristoro, telefoniste, archiviste, impiegate di concetto, ragioniere, marconiste, medici, farmaciste, infermiere, autiste. L'età dell'arruolamento è compresa tra i 18 e i 45 anni, inquadrate gerarchicamente dopo un corso di 45 giorni  propedeutico alle quattro specialità d'impiego previste: servizi militari, ospedalieri, difesa contraerea, posti di ristoro.
A capo della gerarchia un generale di brigata. Il primo comandante fu Piera Matteschi Fondelli.
Risposero alla chiamato oltre 4000 unità. La creazione del Corpo fu dovuta a necessità contingenti ed alla osservazione della organizzazione dell'Esercito Tedesco, che da tempo aveva inglobato nella sua organizzazione personale femminile.
 Non si prevedeva per il S.A.F. l'impiego in combattimento, ne l'uso delle armi, ma sostanzialemente come una attività logistica di sostegno.

(CONTINUA)

  

Fonti;
Addis Saba M., Partigiane, Tutte le Donne della resistenza, Mursia, 1998; Maria Grazia Ravera Baldini, "Il Corpo di Assistenza Femminile", in "Le Divisioni Ausiliarie nella Guerra di Liberazione", Atti del Convegno di Studi , Lucca 8-10 Ottobre 1994, Ed. ANCGLIRRFA, Toma, 1999.
Centro Studi e Ricerche sulla Guerra di Liberazione; "25 luglio -8 settembre 1943 album di una disfatta", a cura di Mario cervi, Rizzoli, Milano, 1993; Atlante Storico della Resistenza Italiana, a cura di Luca Baldisserra, Istituto Nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia,Bruno Mondadori, Milano, 2001;
Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'esercito, Esercito/Giovani -Una svolta nei rapporti tra Forza Armata e mondo giovanile,a cura di Franco Ferrarotti,  Roma, 2001

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