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lunedì 5 marzo 2018

Analisi dei conflitti.


Dal peacekeeping al peacebuilding: gestire i conflitti per costruire la pace
Elementi di diritto internazionale umanitario e disciplina dell’uso della forza

Dott.ssa Roberta La Fortezza.

Nell’ambito delle attività di peacekeeping, costituiscono aspetti particolarmente rilevanti due questioni giuridiche di importanza notevole, che hanno suscitato sovente numerosi dibattiti in dottrina e in diplomazia. Da un lato, la disciplina dello jus in bello, la branca del diritto internazionale pubblico che si occupa di disciplinare la condotta delle ostilità e, quindi, i conflitti armati. Dall’altro, invece, il c.d. jus contra bellum (o jus ad bellum) che regola gli aspetti salienti e i casi in cui è possibile, da parte degli Stati, fare uso lecitamente della forza armata, alla luce del generale divieto imposto dall’art. 2.4 della Carta delle Nazioni Unite.
Entrambe le questioni sono intimamente interconnesse, in quanto mentre lo jus ad bellum detta le regole per l’utilizzo della forza e dunque, generalmente, l’inizio del conflitto armato (solitamente, ma non necessariamente) internazionale, lo jus in bello mira a limitare, mediante l’ampio corpus normativo pattizio e consuetudinario, l’uso di talune armi proibite oppure a tutelare chi alle ostilità non partecipa (ad esempio i civili) oppure non partecipa più (ad esempio i malati o i feriti). Peraltro, entrambi questi aspetti del diritto internazionale sono legati fortemente anche alla tematica del peacekeeping in quanto in ogni caso, specialmente per quanto riguarda le missioni che prevedano un utilizzo della forza armata, l’azione di forza collettiva generalmente cerca di seguire le regole dello jus ad bellum (e dunque sarà presumibilmente autorizzata dal Consiglio di sicurezza, l’unico organo abilitato – ai sensi della Carta delle Nazioni Unite – ad autorizzare l’utilizzo della forza da parte di uno Stato o da parte di una coalizione di Stati).
Inoltre, è fondamentale analizzare la questione in oggetto alla luce delle sfide contemporanee che caratterizzano la comunità internazionale e le relazioni internazionali. Come noto, il diritto internazionale si basa sull’effettività dei rapporti che intercorrono tra gli Stati e, più in generale, tra i soggetti del diritto che sono in questo caso non solo gli Stati ma anche le organizzazioni internazionali, mentre attualmente non sono in genere riconosciuti quali soggetti del diritto internazionale gli individui, ad esclusione forse di alcune branche del diritto e di alcuni contesti specifici (come può essere la tutela dei diritti umani). Le sfide contemporanee, caratterizzate dalla nascita di nuovi attori che influenzano il contesto internazionale ma anche di nuovi fenomeni che non erano precedentemente contemplati e dunque faticano ad essere regolamentati, pongono i corpora normativi in oggetto a volte in difficoltà e in ritardo, rispetto all’attualità che invece si evolve spesso velocemente. E’ rilevante in tal senso il dibattito che si è sviluppato in dottrina attorno alla c.d. consuetudine istantanea, che secondo parte della dottrina, proprio perché l’attualità internazionale si evolve così rapidamente, si formerebbe qualora, in caso di eventi inaspettati, quasi catartici per la Comunità internazionale stessa, gli Stati agiscano collettivamente adottando un comportamento che essi ritengono obbligatorio, dando così luogo ad una consuetudine che si forma sul momento per via di una percezione collettiva.
Forse proprio per rispondere alle esigenze dell’attualità internazionale, che ha visto negli anni ’90 uno dei suoi periodi più bui a causa di una vera e propria ondata di violenze e di crimini internazionali che ha colpito più di un continente, si è andata formando l’idea che la Comunità internazionale non possa restare immobile e impotente di fronte a massicci crimini e violazioni compiuti sulla popolazione inerme. Il Consiglio di sicurezza, pertanto, a partire dalla fine del secolo scorso, ha dato il via a una pratica di intervento, mediante mezzi generalmente pacifici e, solo in alcuni casi precisi, con la possibilità di utilizzare la forza armata, allo scopo di salvare il maggior numero possibile di vite umane. Le missioni iniziate in questa ottica, che generalmente afferiscono alla c.d. seconda generazione del peacekeeping, sono sicuramente molto importanti ma hanno anche degli aspetti controversi, quali, ad esempio, la sfida che pongono al principio cardine del diritto internazionale secondo il quale la sovranità degli Stati non può essere violata da attori esterni.
Il peacekeeping, infatti, che inizialmente era un mezzo per assicurare la pace tra due o più parti (generalmente, tra gli Stati), si è evoluto per fronteggiare l’attualità internazionale e ampliare la tutela delle popolazioni dalle violenze perpetrate nei loro confronti. Allo stesso modo, il diritto internazionale umanitario oggi affronta una serie di sfide che potrebbero in un futuro spingere la comunità internazionale a rivedere e ad ampliare gli strumenti che disciplinano i conflitti armati, al fine di ricomprenderne gli aspetti e gli sviluppi più recenti.

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