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domenica 13 novembre 2016

Il Valore Militare nella Grande Guerra

Ricerca di PaoloChirialetti


Caporale   ROSSI  Antonio di Giacomo
Decorato di Croce di Guerra al Valor Militare
37° REGGIMENTO ARTIGLIERIA DA CAMPAGNA, nato a Nepi il 6 febbraio 1895
D.L. 27/01/1927; B.U. 1927, disp. 7° del 18/02/1927, pag. 395
motivazione
Servente di batteria, dimostro’ nell’adempimento delle sue mansioni zelo, coraggio e sprezzo del pericolo. Durante tutto il combattimento, e sotto il persistente bombardamento a gas dell’avversario fu costante esempio ai compagni.”
Croce di Musile (Basso Piave), 15 Giugno 1918.

Estratto del Foglio Matricolare

Caporale ROSSI Antonio di Giacomo e Mecarocci Maddalena, nato a Nepi il 6 febbraio 1895. Residente a Nepi. Professione carrettiere.
25 novembre 1914 – Soldato di leva, 1a categoria, classe 1898, Distretto Militare di Orvieto e lasciato in congedo illimitato.                                                                                                                         12   gennaio   1915 - Chiamato alle armi e giunto.                                                                                      19   gennaio   1915 - Tale nel 33° Reggimento Artiglieria da Campagna.                                                24   maggio    1915 - Tale nel 37° Reggimento Artiglieria da Campagna.                                                15   giugno     1918 - Prigioniero di guerra per fatto d’armi (Basso Piave).                                             19 novembre 1918 - Rientrato in Italia.                                                                                                          1    gennaio    1919 - Trattenuto alle armi per mobilitazione.                                                                   11  febbraio   1919 - Inviato in licenza di convalescenza di giorni 60, da Ospedale Militare Perugia. 16    aprile      1919 - Rientrato al corpo.                                                                                                         1   dicembre   1919 - Tale nel 33° Reggimento con sede in Terni e mandato in congedo illimitato.
Effettuato il pagamento del premio di congedamento di cui alla circolare 114 del G. M. 1919 in  lire 250.
Concessa dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore.
Campagne di guerra:  1915, 1916, 1917, 1918.

IL SUO REPARTO
Il  37° Reggimento  Artiglieria  da  campagna  viene istituito durante la 1a Guerra Mondiale, dal Deposito del 1° Reggimento Artiglieria da Campagna che ha dato vita al 37° e  al 55° Reggimento,  oltre  a  qualche reparto minore. La costituzione di questo reparto risale al 1870 a Foligno, appena formato il Regno d’Italia, con il nominativo di 11° Reggimento Artiglieria, unendo reparti  d’artiglieria che avevano partecipato alle campagne del Risorgimento.
Durante il primo conflitto mondiale combatte in vari settori del fronte. Nel 1934 muterà ancora il suo nome nel più conosciuto “Cacciatori delle Alpi”, con il quale parteciperà alla 2a Guerra Mondiale, impegnato nel 1941 in Albania e dal 1942 in Jugoslavia con compiti di presidio e repressione della guerriglia. Colto dall’armistizio nella zona di Lubiana, ripiega su Fiume dove si scioglie. Per non far cadere la Bandiera di Guerra nelle mani dei tedeschi, l’alfiere del reggimento la nasconde nel suo zaino, e dopo le amare vicissitudini della prigionia nei campi di concentramento, alla fine della guerra la bandiera viene consegnata al ricostituito reggimento. Dopo alterne vicende e cambi di nome, nel 1976 torna all’antico con la denominazione 1° Gruppo Artiglieria “Cacciatori delle Alpi”, fino al novembre del 1999 quando viene sciolto ed il personale con parte dei mezzi confluisce nel neo costituito Gruppo Addestrativo della Scuola di Artiglieria.

ANDO’ COSI’
Nel  1918  gli  austriaci  pianificarono  una  massiccia  offensiva  sul fronte italiano da sferrare  ad  inizio  estate, si scelse di dare inizio alle operazioni nel mese di giugno.  L’offensiva  fu  preparata  con  grande  cura  e  larghezza  di  mezzi  dagli  austroungarici,  che  vi  impegnarono  ben  66  divisioni. Gli alti comandi austroungarici  erano  talmente sicuri  del  successo,  che avevano  persino  preparato  in  anticipo  i  timbri  ad  inchiostro  da  usare  nelle  zone  italiane  da  occupare.
Già da lunedì 10 giugno 1918 il nemico inizia ad ammassare materiali e rifornimenti a ridosso della prima linea. Il Diario del 37° Reggimento così riporta: “Alle ore 0,15 venivano segnalati movimenti di carri e scarico di materiali dietro le prime linee a nord e sud della ferrovia. Vennero eseguiti i seguenti tiri: […] alle ore 0,15 tiri di disturbo nei pressi della ferrovia […] ”. I nostri comandi sono a conoscenza della data precisa dell’attacco nemico, infatti venerdì 14, sul Diario del 37° Reggimento si legge: “Il tiro d’interdizione notturno stabilito con i pezzi delle posizioni avanzate viene sospeso in seguito all’imminenza di attacco nemico nel mattino del 15. Vengono impartite speciali disposizioni perché la vigilanza sia intensificata durante la notte, tanto agli osservatori che alle batterie”.  L’informazione si rivela esatta, cosi continua il Diario: “Sabato  15  giugno 1918, alle ore 0 tutto il personale delle batterie e del Comando viene svegliato e inviato al proprio posto. La calma è completa su tutta la fronte. Nostre artiglierie eseguono violenti tiri d’interdizione sui più importanti obiettivi nemici. Alle ore 03,00 incomincia il bombardamento nemico con artiglierie di piccolo e medio calibro, con tiri a lungo, a granata, a doppio effetto, a liquidi speciali. Le bombarde battono le zone adiacenti all’argine. Alle ore 03,05 come da ordine ricevuto dal Comando Divisionale si apre il fuoco di contropreparazione violentissimo sopra gli obiettivi precedentemente assegnati. Tutto il personale tiene applicato il respiratore inglese” (La maschera antigas di fabbricazione inglese, nda). Dopo  sei  ore,  il  nemico  scatena l’offensiva  che considera  decisiva  per  le  sorti  della  guerra  e  attraversa  quello  che  era  stato  il  fronte  per  sette  mesi:  il  Piave.  Particolarmente  efficace  fu  l’attacco  nella  zona  di  Musile, cittadina situata nel basso Piave attualmente in provincia di Venezia dove,  sulla  sponda  destra  del  fiume nella frazione di Croce,  si  trova  il  Caporale  Rossi  Antonio con  la  sua  batteria di  cannoni. Così riporta il Diario: “Alle ore 06,45 [...] vengono segnalati tentativi di passaggio del Piave compiuti dal nemico tra il Ponte della Ferrovia e Musile”, poi ancora, “Alle ore 8,40 rientrano alcuni comandati ai posti di corrispondenza riferendo che il nemico è a sud ovest di Croce”. Alle ore 9,00 rientra una pattuglia riferendo che il 23° Battaglione Arditi va al contrattacco. ”Alle ore 9,20 austriaci all’altezza di Croce”, il nemico ha ormai passato il Piave e tenta la penetrazione; “Alle ore 9,30 le batterie continuano il tiro di repressione con cadenza rallentata, essendo i pezzi eccessivamente riscaldati”. Qui si trova Antonio, che  risponde  al  fuoco  nemico  con  tutte le munizioni a disposizione. E’ in una situazione critica  perché  il  nemico ha  bombardato in  modo  massiccio,  usando   anche   granate  a  gas asfissiante;  i nostri  hanno  resistito  solo  grazie  alle  nuove  maschere  antigas  di fabbricazione  inglese,  ed  ora  stanno  arrivando  granate  fumogene e  lacrimogene,  per  coprire  ancora di  più  la  visuale  sulla  prima  linea.  A  tal  proposito  il  fante  Luigi  Gasparotto che  l’ha  vissuta  di  persona,   scrive  nel  suo  “Diario  di  un  fante”:  ”Il  nemico  sviluppò  una  nebbia  così  fitta  di  gas  lacrimogeni  che  giungeva  a  tre  chilometri  dal  Piave.  Era  tanto  densa,  che  la  vedetta  di  una  postazione  di  mitragliatrici  sul  ciglio  del  fiume  toccava  con  la  mano  l’acqua  ma  non  la  vedeva”. Nella  zona  di  Musile,  i  reparti  d’assalto  asburgici,  attraversato il Piave  con  perdite  insignificanti, perché protetti dalla  nebbia  artificiale, investono  e riescono a sopraffare  le  difese  italiane  stabilendo  un’importante  testa  di  ponte.  Così  afferma  il  Valori  nel  suo  libro  “La guerra  italo-austriaca”:  “Gli  effetti  della  violenta  azione  nemica  furono  impressionanti.  I  piccoli  presidi  dei  nostri  reparti   di  vigilanza,  situati  negli  isolotti,  sugli  argini  o  nella  trincea  più  avanzata,  furono  dal  nemico  avvicinati  durante  il  fuoco  di preparazione,  e  sopraffatti  all’arma  bianca;  le  principali  vie   d’irruzione  avversaria  divennero  così  i  nostri  stessi  camminamenti,  sicché  le  prime  fasce  di  reticolati  poterono  essere  facilmente  superate”.
Alle ore 11,00 nuclei nemici armati di mitragliatrice si avviano rapidamente alle batterie del 2° Gruppo che dopo essersi difeso con fucili, bombe a mano e tiri ad altezza d’uomo, su ordine del Comando ripiega, sempre  combattendo. “Alle ore 11,10 la 7° Batteria, con un solo pezzo in efficienza si difende ancora vigorosamente, e cerca intanto di riparare un altro pezzo inceppato. Ma Il nemico incalza e il Comandante la Batteria è accerchiato e costretto ad abbandonare i pezzi dopo averli resi inutilizzabili, ed a portarsi sulla linea del Gorgazzo (Fosso del Gorgazzo, nda) [...] fa ancora una disperata difesa, ma per il violento fuoco delle mitragliatrici e con diversi uomini feriti deve ripiegare sulle posizioni della 4° batteria”, gli artiglieri a differenza dei fanti, non possono arretrare facilmente perché hanno i cannoni da trasportare; “Alle ore 11,30 la 5° Batteria, completamente circondata spara ancora con due pezzi Shrapnel  (Proiettile cavo per artiglieria, riempito di sfere metalliche che scoppia prima dell’impatto con il suolo, sparando il contenuto su una vasta area; usato in funzione antiuomo, nda) a zero. Il Comandante non cede e difende uno ad uno i suoi pezzi con fucili e bombe a mano. Nessuno sfugge all’accerchiamento e non si hanno più notizie attendibili sulla sorte di questi valorosi.” Alle ore 11,45, minacciata di accerchiamento, anche la 4° Batteria riceve l’ordine di lasciare i pezzi asportando otturatori, alzi, parti vitali dei pezzi e di ripiegare sul Comando di Gruppo.
L’esercito  italiano  cercò  di  tamponare  alla  meno  peggio  l’avanzata.  Scoppiarono  così  una  serie  di  lotte  cruente,  a  volte  simili  ad  operazioni  di  guerriglia,  spesso  per  opera  di  piccoli  gruppi  di  soldati,  che  cercavano  di  conquistare  piccole  aree  di  territorio,  capisaldi  e  punti  strategici.  Anche  le  riserve  vengono  inviate  in prima  linea  ad  arginare  il  nemico  ed  iniziano  una  serie  di  attacchi  e  contrattacchi  da  ambo  le  parti. Così  Baj-Macario  riporta nel  suo  libro  “Giugno  1918” : “Furibonde  lotte  intorno  ai  villaggi  e  ai casolari,  perduti  e  riconquistati  una,  due,  tre  volte  in  un’alternativa  piena  di  ansie,  infiltrazioni  nelle  linee,  sorprese  di  fuoco  ed  agguati  fra  le  messi,  lungo  gli  argini,  sotto  i  filari  dei  gelsi  e  di  olmi, sotto  le  pergole […] La  linea  di  fuoco,  ch’è  tutto  un  serpeggiamento,  ondeggia  senza  posa:  è  quasi  impossibile  conoscerne  la  precisa  ubicazione  in  un  dato  momento:  sarebbe  più  appropriato  dire  area  di  combattimento”. L’abitato di  Croce  di  Musile  era  una  zona  di  grande  importanza  strategica,  circondata da  fortificazioni  predisposte  nei  mesi  precedenti  dagli  italiani.  Tra  il  15  e  il  16  giugno  1918,  con  lo  scatenarsi  dell’offensiva  austriaca,  Croce  venne  per  due  volte  perduta  e  riconquistata  dai  soldati  italiani.  In  questo  momento  di confusione  tattica,  dovuta  al  variare  continuo  della  linea  del  fronte,  i soldati  combatterono inebetiti  dai  gas e  storditi  dal  bombardamento.  Vennero  a  cadere  le  regole  di combattimento,  si  mischiarono  le  linee  e  si  trovarono  a  combattere  fianco  a  fianco,  arditi  dei  reparti  d’assalto ,  artiglieri,   bersaglieri e fanti;  con un ordine  comune  da  eseguire:  RESISTERE.   Premuti  dal  nemico,  alle  ore  12,00   questi  reparti  si  concentrarono  dietro  il Canale  Fossetta,  come  ricorda  il  fante  Gasparotto: “Sugli  argini,  anche  il  Comando  del  145°  reggimento  fanteria,  col  colonnello  Bianchi,  col  medico  e  col  cappellano  Fontanarossa,  dovette  fare  le  fucilate.  Stabilite  le  difese  sulla  Fossetta,  la  prima  batteria  del  37°  reggimento  da  campagna,  piazzò  i  cannoni  sulla  stessa  linea  della  fanteria […]  Qui,  fanti,  artiglieri,  fiamme  rosse  dell’Allegretti  e   bombardieri  del  De  Prefetto,  si  batterono  a  bombe  a  mano,  con  gli  austriaci  sull’altro  margine  della  Fossetta”. Parliamo di un canale largo 4 metri, quindi i  due schieramenti  erano  a  strettissimo contatto. Il Caporale Edoardo Avellini che era presente quei giorni su quell’argine insieme a Rossi, ci fa rivivere quei momenti con le parole del suo Diario: […] tutti accerchiati si sarebbe stati, se non fossero arrivati in tempo i bersaglieri che diedero l’assalto e dopo si aprì fuoco accelerato, andandosi a fermare a Fossetta di Piave, dove c’è un piccolo canale largo circa 4 metri e una discreta profondità, qui  ci  fermammo tutta la notte fino alle ore 11 del giorno 16. Dalle ore  11 alle 14 le nostre artiglierie fecero 3 ore di bombardamento, cessato questo andiamo tre volte all’assalto in due ore per vedere se fu possibile mandare il nemico al Piave, ma questo non fu possibile però  ci  fruttò di fare moltissimi prigionieri […] ”. Così ricorda il Diario del 37° Reggimento Artiglieria: “Alle ore 23,00 il gruppo superstite che in tutta la giornata ha cooperato a respingere il nemico avanzante, batte specialmente le strade a cavallo della stazione di Fossalta  (attuale Fossalta di Piave, nda) e la linea del canale della Fossetta dietro alla quale si sostiene la nostra linea”. Nel caos della battaglia il Caporale Rossi è stato fatto prigioniero e portato nelle retrovie. Fortunatamente per lui, la  guerra sarebbe terminata di lì a poco e la sua prigionia è durata solamente cinque mesi. 
Tra  arretramenti  e  contrattacchi,  gli  uomini  sul  Canale  Fossetta  hanno  resistito.  Nei  giorni  successivi  il Regio Esercito  Italiano  torna  vittorioso  sulla  riva  del  Piave,  rioccupando  le posizioni  che  aveva  prima  dell’offensiva  asburgica.  Termina  così  la  violentissima e  sanguinosa   battaglia,  denominata  “Battaglia  del  Solstizio”,  ultima  possibilità  per  l’esercito  austroungarico  di  volgere  le  sorti  della  guerra  a  proprio  favore.  Il  suo  fallimento  ha  determinato,  dopo  soli  quattro  mesi, la  vittoria  finale  dell’Italia  a  Vittorio  Veneto. 
Il caporale  Rossi  Antonio,  ha  combattuto  un’importantissima  quanto  sanguinosa  battaglia, avrà  caricato  quel  cannone  chissà  quante  volte,  l’avrà  spostato  indietro  e  avanti, ora  tra  gli  alberi, ora  nel  fango, ora  tra  le  case  diroccate,  ma  non  l’ha  combattuta  solo  da artigliere;  l’ha  combattuta  da  fante  e  da  ardito,  quando ha  difeso  il  suo  cannone  dal  nemico  che  sbucava  da  tutte  le  parti  con  la  baionetta  sul  fucile,  quando  combatteva  con  le  bombe  a  mano  sul  bordo  del  canale, quando  arrivavano  le  granate  cariche  di  gas,  l’ha  combattuta  e nonostante la prigionia, l’ha  vinta.
Di fronte al nepesino Rossi nella austroungarica “Isonzo Armee” combatteva un ex sarto polacco (la Polonia meridionale faceva parte del multietnico Impero Asburgico) dal cognome famoso, Karl Wojtyla. Fortunatamente è sopravvissuto alla guerra  e  nel 1920 ha avuto un figlio di nome Karol, salito al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo II°, uno degli uomini più importanti dei nostri giorni. Il Sergente Maggiore Karl Wojtyla del 56° Reggimento Fanteria “Wadowice” era un militare di carriera che aveva combattuto sul fronte austro-russo fino alla primavera del 1917, per passare poi sul fronte italiano dove ha combattuto in vari settori, tra cui il Basso Piave. Venne insignito di “Croce di Ferro con Ghirlanda” e i suoi superiori  annotarono in un rapporto che lo riguardava: “E’ onesto, leale, serio, educato, modesto, retto, responsabile, generoso e instancabile”, qualità che si può dire, ha trasmesso al figlio. Dopo la guerra passò al neonato esercito polacco e venne congedato nel 1927 su sua richiesta, perché la moglie gravemente malata e morente aveva bisogno di cure, come il figlio Karol ancora piccolo.


Tratto dal libro
 “Nepi in Armi”
 di Paolo Chirieletti,
 disegni di Federico Farnesi, 
pubblicato dall’Associazione Culturale Antiquaviva.)

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