APPROFONDIMENTI
Sergio Benedetto
Sabetta
“ I classici della letteratura sono guide più rigorose e più utili di
ogni metodologia di scienze sociali per chi non ha avuto esperienza personale
di guerre e di morte” ( Kaplen
, 86, La perduta sensibilità tragica dell’America, Federico Petroni,
in Fine della Guerra, Limes, 4/2024).
E’ in corso da anni un
dibattito sui benefici della globalizzazione in cui vi è una contrapposizione
tra chi ne esalta i vantaggi e chi al contrario la demonizza, soprattutto per
gli effetti ritenuti devastanti sulle economie più povere.
Questi
cambiamenti hanno imposto grandi sacrifici innanzitutto ai paesi più arretrati,
con esiti finali diversissimi legati al contesto ambientale, il sistema entrato
in crisi già all’inizio del nuovo Millennio, ha evidenziato le problematiche e
i limiti nell’ultimo decennio, prima con le guerre infinite e le crisi in Medio
Oriente e Asia, per emergere definitivamente con l’attuale guerra in Ucraina. (
AA. VV. , La grande Guerra, Limes, 7/2022).
Si è
sostenuto che i vantaggi della specializzazione derivanti da una economia
globalizzata si realizzano solo nel lungo periodo, mentre nel breve l’assestamento
può provocare danni.
Si osserva l’uso intensivo
della manodopera minorile e femminile con paghe ridotte e pochi diritti, deve
tuttavia riconoscersi che i salari per quanto bassi sono più alti di quelli
offerti da altre occupazioni, quello che in realtà incide è la mancanza di
accesso ai capitali e alle opportunità di formazione legate all’instabilità e
debolezza di molti regimi politici.
La
presenza di forti istituzioni interne permettono politiche di contenimento
degli abusi mediante il riconoscimento dei diritti di proprietà e delle tutele
minime dei lavoratori, oltre alla
regolamentazione delle risorse ambientali, altrimenti lasciate al saccheggio
dei vari potentati economici internazionali, basti riferirsi alla penetrazione
della Cina in Africa in questi ultimi decenni.
La
centralità del potere politico espressa mediante le istituzioni è fondamentale
nel definire una moderna politica industriale centrata nella lotta alla povertà
o all’ulteriore sviluppo per zone economicamente già decollate.
Deve esistere una
coesistenza di mercato e di poteri pubblici in cui le istituzioni regolino,
oltreché pianificare, l’attività economica rispettosi della sua libertà,
limitandone gli eccessi, inoltre provvedendo a creare le condizioni necessarie
per il diffondersi del benessere, quali infrastrutture, accesso al credito,
formazione, certezza dei diritti e contemporanea lotta alla corruzione che
limita l’efficacia degli interventi.
In
realtà l’azione deve esplicarsi a vari livelli, in ambito centrale e locale i
quali devono agire in sinergia, la capacità di regolazione è particolarmente
importante a livello di istituzioni locali in quanto direttamente in contatto
con le realtà locali.
Deve comunque riconoscersi che la cooperazione
è sempre difficile in quanto i benefici economici a lungo termine non sono
sempre paganti nel breve da un punto di vista politico elettorale in ambito
locale, a cui si aggiungono i problemi finanziari e valutari per gli squilibri
della bilancia dei pagamenti e l’eccesso di liquidità sui mercati.
Il
trasferimento di conoscenze sia tecniche che organizzative deve radicarsi sulle
specificità socio-culturali locali e questo può avvenire solo con un dialogo
paritario tra istituzioni, imprese transnazionali e con la partecipazione degli
stakeholders referenti dell’attività imprenditoriale, non ci si può affidare
solo a un puro scontro competitivo fra interessi.
Bisogna
evitare che si accresca esponenzialmente il divario tra coloro che beneficiano
della globalizzazione soprattutto in termini finanziari a breve e coloro che la
subiscono, tenendo sempre presente la distinzione fra miseria e povertà, la
prima a carattere assoluto la seconda un sentimento prodotto e vissuto dalla
disuguaglianza crescente esaltata dalla facile comparabilità favorita dalla
mobilità e dai mass-media.
Secondo
il pensiero strategico dei think tank washingtoniani, preso dal suo neo
liberismo, l’economia è il mezzo mediante il quale governare il mondo nella sua
globalizzazione, diventando quindi fine ultimo mediante l’incrocio dei
reciproci razionali interessi economici
( Rogari).
Fondamentale
è la distinzione fra capitali a lungo termine di investimento e capitali a
breve termine o speculativi, di cui occorre un qualche controllo al fine di
evitare contraccolpi sulle economie al momento più deboli.
Ma anche il potere
monopolistico di poche aziende su mercati poveri inducono al mantenimento della
povertà, come la mancanza di programmi sociali di sostegno o di un flusso
migratorio temporaneo che riporti alla fonte conoscenza e capitali.
Come
è stato evidenziato nel caso della cartamoneta di Katzenan,
l’allontanamento di un unico monopolista appaltatore fecero aumentare i
commerci con un netto miglioramento, ma con la creazione di dislivelli di
benessere del tutto fisiologici, tuttavia contenuti da vari comitati costituiti
e sufficientemente rappresentativi.
Abbiamo sopra parlato di povertà nei paesi
in sviluppo, ma la globalizzazione può avere gli stessi effetti anche
all’interno delle economie più avanzate.
Da
recenti studi condotti sia negli Stati Uniti che in Germania relativi al
benessere fisico e alle malattie per disuguaglianza emerge che l’accesso
all’assistenza sanitaria e l’esposizione a rischi sono solo alcuni dei fattori
che contribuiscono alla salute.
Sebbene
in Grecia il reddito medio è la metà di quello americano la speranza di vita è
superiore, come evidenziato dall’epidemiologo S. Bezruchka
dell’Università di Washington, se ne può dedurre che una volta raggiunti
livelli di salute di base grazie a cibo sufficiente e condizioni abitative
accettabili, l’importanza del reddito diminuisce in relazione al benessere.
Come
suggerisce N. Adler dell’Università della California sebbene la
condizione oggettiva di essere povero si ripercuota negativamente sulla salute,
la condizione scatenante è la condizione soggettiva del sentirsi povero.
Pertanto non è il livello in assoluto ma in rapporto all’autonomia decisionale
posseduta e alle tipologie di pressioni ambientali.
E’
stato più volte ribadito che maggiore è la disuguaglianza nella distribuzione
del reddito e maggiore è lo stress psicofisico per le fasce più deboli, infatti
un’elevata disparità di reddito intensifica la gerarchia nella comunità
indebolendo il sostegno sociale che avviene preferibilmente tra pari, il tutto aggravato
dal continuo sottolinearsi della indigenza attraverso un perenne confronto con
le fasce alte, tale da ridurre il senso di controllo della propria esistenza ed
aumentare la carica di aggressività insita nei rapporti sociali al fine
dell’acquisizione delle risorse e a scapito delle capacità collaborative.
Il fatto del sentirsi povero,
a seguito dell’intrecciarsi degli stressori sociali e psicosociali, è aggravato
dal rinchiudersi delle fasce più alte con la richiesta di riduzione delle spese
pubbliche dirette ai servizi della comunità. E’ andata infatti crescendo una
concorrenza fra gli Stati nell’abbassare le imposte, riducendo
contemporaneamente l’offerta dei servizi pubblici nonostante la domanda aumenti
a seguito della complessità dinamica delle economie.
Quello
da sottolineare è la dimostrazione data da Wilkinson che una minore
disparità di reddito è benefica ai fini della salute sia per i poveri che per i
ricchi.
Questo
non toglie che le disuguaglianze restino quale stimolo e premio nell’impegno
nell’attività produttiva, è l’eccesso che porta alla disgregazione e
all’impoverimento sociale.
Si
possono richiamare a riguardo gli studi condotti sulla statura delle
popolazioni in Europa e negli Stati Uniti, da cui emerge il rapido interagire
tra tenore di vita biologico e il mutare delle condizioni economiche. Sorprende
il regredire degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa a partire dalla fine
della seconda guerra mondiale, nonostante che per tutto il XIX secolo
superassero di 5 – 7 cm di media gli europei, ma anche il tasso di mortalità
neo natale è attualmente il più alto tra i paesi industrializzati, mentre si
riduce la speranza di vita.
Tutto questo a fronte di una
notevole ricchezza complessiva della nazione ed una spesa del 14% del PNL nella
sanità a fronte di valori medi dell’8% nei restanti paesi del G7 (Francia,
Germania, Italia, G.B., Spagna, Giappone).
Le
implicazioni sono che un’economia di mercato temperata dal sociale è migliore
ai fini della qualità della vita dei propri cittadini e della sostenibilità
dello sviluppo rispetto ad una orientata esclusivamente al libero mercato.
Logicamente
questo comporta una inclusione nel tessuto sociale comunitario più lenta e
progressiva dei nuovi arrivati, anche rispetto alla questione della cittadinanza,
proprio per la necessità di mantenere l’equilibrio nella distribuzione dei
servizi in funzione del mantenimento della qualità di vita e conseguente
riduzione delle tensioni sociali, a differenza di un assoluto libero mercato in
cui si è lanciati nell’arena senza una solida rete di protezione sociale tanto
nei servizi in genere che nella comunità di accoglienza.
In
altre parole i flussi di ingresso e di accoglienza dipendono dal modo di
finanziamento dei servizi e dalla qualità e quantità di benessere sociale che
si intende mantenere, oltre che dalle caratteristiche socio – culturali delle
comunità di accoglienza, tra i vari interessi economici, leciti e illeciti, che
poggiano su un afflusso incontrollabile e le utopie terzomondiste e messianiche
di parte della politica, in quanto prive di una visione socio – economica
effettiva e concreta.
Dobbiamo
sempre considerare la delicata “coscienza del sé”, su cui vanno ad incidere le
problematiche della globalizzazione, la quale secondo quanto ritiene Heatherton
è nata al fine di facilitare la cooperazione nella specie umana.
Emerge
chiaramente da quanto finora detto l’insufficienza del PIL quale indicatore
esclusivo di crescita economica di una nazione.
Il
PIL comprende solo fattori fisici ossia il valore dei beni e servizi finali
prodotti in un anno al lordo degli ammortamenti, ma non tiene conto del
deprezzamento dei beni capitali come il degrado degli ecosistemi; pertanto può
accadere che il PIL cresca mentre la ricchezza pro-capite, intesa come il valore
dell’intera base produttiva, ossia il capitale prodotto dall’uomo, quello
naturale, le conoscenze, le capacità e le istituzioni, diminuisca.
Come sostiene Partha
Dasgupta dell’Università di Cambridge, il PIL pro-capite può aumentare ma
la ricchezza pro-capite diminuisce se, come nel caso del sub – continente
indiano, gli investimenti in capitale, conoscenza, capacità produttiva e
miglioramento delle istituzioni non hanno compensato il degrado del capitale
naturale favorito da un eccesso di crescita della popolazione, nasce quindi la
necessità di introdurre nuovi indicatori sintetici come per l’Impronta
ecologica, mediante la quale si stima l’impatto che una data popolazione
con i propri consumi esercita su un territorio definito ( M. Walckernagel e W. Rees ).
Ulteriori
parametri devono essere pertanto introdotti al fine di captare gli aspetti
psicosociali della distribuzione della crescita economica globalizzata e
conseguente crescita della disparità di reddito. Ichizo Kawachi della
Harvard University, partendo dal concetto di “capitale sociale” come ampiezza
dei livelli di fiducia e sostegno in una comunità, ha dimostrato che un basso
capitale sociale sarà indice di possibili cattive condizioni di salute.
Si
parla ormai ampiamente di “sostenibilità” dello sviluppo, tuttavia è stato
osservato che in molti casi il termine è usato con effetto rassicurante dal
potere politico senza attribuirgli alcun preciso significato.
In
realtà occorre distinguere tra sviluppo (qualitativo) e crescita
(quantitativa), mentre la crescita ha un limite determinato dal sistema, ossia
dalle risorse ambientali, che può solo in parte essere supplito dallo sviluppo
tecnico, quest’ultimo è indefinito.
Dobbiamo, tuttavia, considerare che vi è un punto in
cui utilità e disutilità marginali si uguagliano con una possibile crescita
antieconomica, questo punto può essere spostato nel tempo ma non eliminato.
L’Indice
di benessere economico sostenibile (ISEW) sviluppato da Clifford W. Cobb
e John B.Cobb.Jr, sebbene usato ampiamente solo dagli economisti
ecologici, ha dimostrato che i costi della crescita all’interno di alcuni Stati
economicamente avanzati sta aumentando più rapidamente dei benefici.
Dobbiamo
considerare che il libero mercato, se funziona correttamente, favorisce solo
l’allocazione delle risorse in modo efficiente, ma non permette di determinare
una scala di sostenibilità della crescita per cui intervengono le politiche
governative ed ecco rientrare in gioco la necessità di solide e accreditate
istituzioni pubbliche.
Si
deve tenere presente che non sempre la crescita aumenta la felicità, in quanto
il rapporto tra reddito e felicità è in forma diretta solo fino ad un punto di
“quantità sufficiente”, oltre interviene la relatività dell’autovalutazione e
lo sforzo della ulteriore crescita può diventare antieconomico in termini di
capitale umano e ambientale ( Richard A. Easterlin ).
In
questi termini l’allargamento dell’Unione Europea, vista come un’occasione di
aumentarne il peso specifico, non solo in termini di pura crescita economica,
ma anche quale modello di riferimento per una politica economica sociale
alternativa al puro mercato, ha presentato purtroppo delle debolezze per
visioni e interessi diversi, si sono infatti create aree diverse e
contrapposte, quali la Mediterranea, del Mare del Nord, del Baltico e dei
Balcani.
A questo
si aggiunge il declino degli U.S.A. quale unica potenza globale e la richiesta
da parte della Cina, della Russia e degli altri Stati del B.R.I.C.S. + ( plus)
, Brasile, India, Sud Africa, Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi
Uniti, ed Iran) di creare nuove aree di influenza, considerando che secondo la
Banca Mondiale questi rappresentano il 45,6 % della popolazione mondiale e il
28,6% del PIL, a cui si affianca la proposta di creare una nuova valuta
digitale (R5) da affiancare al dollaro nelle transazioni economiche
internazionali.
A tal
fine nel 2014 era stata creata la New Development Bank ( Nuova Banca per lo
sviluppo), con tre obiettivi per il 2024: aumentare il ruolo del B.R.I.C.S. +
nel sistema finanziario internazionale, con una maggiore collaborazione fiscale
e doganale, nonché tra i sistemi bancari dei Paesi membri ( AA. VV. , Fine della Guerra, Limes, 4/2024).
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