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venerdì 15 giugno 2018

L'Ultimo sforzo austriaco per vincere l'Italia




Auguri a tutti gli Artiglieri



La Battaglia del Piave

La vittoria del Solstizio



di


 Luigi Marsibilio




La battaglia del Piave preparò efficacemente la definitiva sconfitta dell’Austria e fu una delle più importanti, non solo della nostra guerra, ma della guerra mondiale. Essa fece svanire per sempre le speranze degli imperi centrali.
Come scrisse il Bronzuoli (1), l’Austria, inorgoglita dagli inaspettati successi dell’offensiva di Caporetto, libera ormai da preoccupazioni per gli altri fronti di combattimento, aveva potuto, con un supremo sforzo, mettere in campo un tale complesso di mezzi bellici da superare in intensità e proporzione, ogni altra offensiva precedente e da prefiggersi con balda sicurezza, come risultato della nuova offensiva, “lo sfacelo militare dell’Italia”.
“La sicurezza della vittoria riunì nello sforzo disperato tutte le genti dell’Impero asburgico, la cui compagine risentiva delle difficili condizioni di vita che il prolungarsi della guerra imponeva. La ricchezza delle verdi e fertili pianure d’Italia invitava le truppe austriache: avrebbero mietuto le messi che vedevano biondeggiare al di là del Piave, mentre una speciale organizzazione, perfettamente attrezzata, avrebbe proceduto al saccheggio metodico delle rimanenti provincie del Veneto ed anche della Lombardia, giacché uno degli obiettivi dell’offensiva era proprio Milano.
L’ombra del Radetzky pareva aleggiasse in quei consigli di guerra ed agitare i vecchi piani di conquista. A consacrare la vittoria che erano sicuri di avere già nelle mani, i generali austriaci si proponevano di offrire all’Imperatore Carlo il bastone di maresciallo di Vicenza, tornata sotto il dominio austriaco”.
Con questa certezza l’esercito nemico, forte di 56 Divisioni e di circa 7.000 cannoni aspettava, il mattino del 15 giugno, il segnale dell’attacco. Ma in quella notte, che possiamo chiamare storica, l’esercito italiano, di forze e mezzi pressoché uguali all’avversario, vegliava in armi sull’altra sponda del fiume sacro e sui monti, pronto a sostenere l’urto nemico.
Nei sette mesi che erano passati dalla durissima prova dell’ultima battaglia dell’Isonzo, l’esercito italiano era stato riordinato completamente e, con una propaganda illuminata ed efficace, aveva riacquistato la fiducia in se stesso. Il motto semplice ed ingenuo, tracciato da un ignoto fante sul muro di una casa diroccata: “O il Piave o tutti accoppati” esprimeva la convinzione e la fermezza di tutti.
L’offensiva fu preceduta di due giorni da un attacco, pomposamente battezzato col nome di “offensiva valanga” che, partendo dal Tonale, avrebbe dovuto, come la valanga di cui portava il nome, travolgere e sommergere le nostre linee ed aprire al nemico la via di Milano. Ma le nostre magnifiche truppe fecero miseramente fallire fin dall’inizio l’ambizioso progetto ed il clamoroso insuccesso nemico fu di funesto presagio per la grande offensiva, che doveva schiacciare l’Italia e che si scatenò il mattino del 15 giugno dall’Astico al mare.
Dopo quattro ore di bombardamento infernale, iniziato alle ore 3, le truppe nemiche si lanciarono ovunque all’assalto. Dall’Astico al Brenta l’urto fu fortemente contenuto e qualche vantaggio conseguito dal nemico sull’altopiano di Asiago fu riperduto nei giorni successivi. La lotta fu particolarmente aspra e sanguinosa sul monte Valbella, sul colle del Rosso, sul colle d’Echele, su cima Echar, posizioni contrastate con spietato furore da ambo le parti e sulle quali rifulse il valore, l’eroismo e l’inflessibile tenacia dei nostri, i cui petti impedirono al nemico di varcare quest’ultima barriera che lo divideva dalla pianura veneta.
Tra Brenta e Piave il combattimento si concentrò sul massiccio del Grappa, con uno sforzo disperato da parte del nemico, che si proponeva di forzare quel caposaldo al primo urto, aggirare il monte e fare in tal modo cadere di un colpo tutta la nostra difesa. Ma i nostri, non meno tenaci, vi si aggrapparono risolutamente e non permisero che il nemico restasse a lungo sulle posizioni che era riuscito ad occupare in un primo tempo. Infatti lo stesso giorno e nelle prime ore del giorno seguente, esso dovette cedere all’irruenza dei nostri e ritornare sulle proprie linee. Il Grappa era intangibile. L’aveva giurato tutto un popolo che, nell’incolumità e nella resistenza di quel baluardo, vedeva la salvezza della Patria.
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(1)   Cfr. Bronzuoli: “Guerra e vittoria d’Italia”.
Sul Piave l’urto nemico si spiegò con una grandiosità di mezzi pari ai risultati che il Comando austriaco si riprometteva: fiaccata la resistenza sulla zona montana, l’esercito della pianura avrebbe effettuato la sua marcia trionfale su Vicenza, Treviso e Venezia.
Ma fu proprio sul Piave che il nemico ebbe la delusione più amara e le perdite più sanguinose. I numerosi battaglioni che esso, con l’aiuto di ponti e di barconi gettò continuamente sulla destra del fiume, furono sottoposti ad un inesorabile fuoco di sbarramento; quelli che riuscirono a passare incontrarono la ferma decisione del nostro soldato d’impedire ad ogni costo qualsiasi sviluppo degli immancabili vantaggi conseguiti dal nemico al primo balzo.
Sulla sponda destra del fiume si impegnò infatti, fra i due eserciti un duello forse unico nella storia dei popoli per l’accanimento e per il numero dei combattenti e dei mezzi impiegati; duello che durò otto interi giorni e che fu combattuto nella melma delle sponde, nell’acqua del fiume e nel cielo. Le nostre artiglierie e le bombarde spazzarono continuamente le rive del Piave, sulle quali affluivano i rinforzi nemici e distrussero le passerelle ed i ponti, travolgendo uomini e cose. Le fanterie, ardite ed agguerrite, col ferro e col fuoco spinsero alla riva fatale i combattenti che erano riusciti a passare; stormi di velivoli seminarono dall’alto la morte e lo scompiglio nelle file nemiche.
La nostra resistenza dei primi quattro giorni si cambiò al quinto in controffensiva aggressiva ed impetuosa, specie contro il Montello, dove i nemici avevano conseguito i maggiori vantaggi. La lotta si riaccese più viva che mai; più volte le posizioni furono prese e perdute; ai nostri giungevano a tempo i rinforzi; per i nemici la tempesta di fuoco scatenata sul fiume dalle nostre artiglierie e la piena dell’acqua rendevano ormai scarsi gli aiuti. Il Comando nemico ebbe la sensazione del fallimento dell’offensiva e decise la ritirata che, per l’incalzare della nostra fanteria, per il tiro ininterrotto delle artiglierie, per la furia del Piave in piena, fu disastrosa.
La sera del 24 giugno i vantaggi conseguiti dal nemico con la sua offensiva erano stati annullati e le posizioni del tutto ristabilite. La magnifica vittoria riportata in un duello all’ultimo sangue tra Italia ed Austria, dimostrò la superiorità del nostro esercito sull’austriaco; sconcertò il Comando austriaco che vide perduto l’alleato più potente; gettò il germe della dissoluzione nell’Impero austro-ungarico e cambiò di colpo l’andamento di tutta la guerra.
La “vittoria del Solstizio” come la chiamò il D’Annunzio, non solo cancellò l’ombra che la sconfitta di Caporetto aveva gettato sul nostro esercito; ma segnò l’alba radiosa della vittoria finale nostra e degli alleati, perché l’Austria non poté più sollevarsi dal tracollo subito sul nostro fronte. Tuttavia l’esercito imperiale, sul quale poco avevano le gravi condizioni interne del Paese, si apprestò a combattere con l’usato valore l’ultima battaglia, dalla quale dipendeva la sua salvezza o la sua rovina.
In una lettera diretta dal Boroevic al von Bolgar, ex Sottosegretario di Stato, datata da Udine, 22 giugno 1918, a pochi giorni dalla sconfitta e nella quale è chiaramente spiegato il perché del fallimento dell’offensiva si legge fra l’altro:
“Sotto la fresca impressione degli avvenimenti, desidero farti conoscere la verità genuina, nota, oltre che a te, soltanto a Windischgraetz:
        l’offensiva contro l’Italia era stata ordinata per il 20 maggio per motivi politici. La scelta di questa data mi indica che al Quartier Generale, malgrado le esatte relazioni mie, non si aveva alcuna idea delle condizioni dell’esercito. Sin dal principio di febbraio, in seguito all’assoluta mancanza di rifornimenti, le truppe avevano tanta fame da cadere a terra durante le marce ordinarie. Perfino l’arciduca Giuseppe ha dovuto sentire lagnanze di soldati ungheresi a causa della fame. I cavalli erano ridotti a scheletri, l’Artiglieria non si poteva muovere. Lo spettacolo era desolante. Tutte queste cose furono dette infinite volte e vennero chiesti immediati rifornimenti e cibo per quattro settimane, affinché gli uomini fossero rimessi in gado di agire. Identica la situazione nel Trentino. Ma i rifornimenti cominciarono a venire soltanto l’1 giugno, cioè a dire appena due settimane prima dell’offensiva, stabilita per il giorno 15;

        il colpo principale si doveva vibrarlo dal Trentino e precisamente contro le Divisioni inglesi e francesi. Quando lo seppi, mi opposi con la massima energia. Arrischiai anche la mia posizione, scrivendo che non si poteva prendere il toro per le corna. Tutto invano. Si venne, infine, ad un meschino compromesso in seguito al quale le forze principali rimasero nel Trentino; mentre si dispose per un attacco contemporaneo anche dal Piave. Inizio il 15 giugno. Proposi un rinvio di tre giorni. Conrad disse di non poter rinviare e perciò rimase stabilito il giorno 15.
Sintomatico il fatto, continua il Boroevic, che il giorno 14 il Comando Supremo si scisse. Ce ne furono quattro: quello di Baden (presso Vienna), quello di Waldstaetten a Belluno, il generale Arz nel treno di corte nel Trentino, Sua Maestà al telefono del treno di Corte. La sera del 14, alle ore 18.00, mi venne chiesto ancora una volta per telefono: “che cosa succede domani ?. Io risposi: “come è stato ordinato dal Comando Supremo, si attaccherà”. Fu risposto: “Bene, agite secondo il vostro criterio, ma sotto la vostra responsabilità. Alle 2 del mattino del 15 io mi trovavo al mio posto di osservazione di Oderzo; alle 3 cominciò la battaglia.
“Alle 3 del mattino (del 15 giugno) passai il Piave; alle 10 avevo già 12 mila prigionieri e mi trovavo sul Montello. Ero molto contento. A mezzogiorno appresi dall’11ª Armata del Tirolo che tutto andava bene e che le prime linee erano sconvolte. Alle 11 di sera Sua Maestà mi chiamò al telefono e mi disse in tono visibilmente eccitato: nel trentino siamo battuti, le truppe hanno perduto tutto quello che hanno guadagnato e siamo stati ricacciati sui punti di partenza. Mi parve di essere colpito dalla folgore. Fui scongiurato di resistere. Assicurai che avremmo fatto l’impossibile. Contemporaneamente telegrafai al Comando Superiore per avere esatte notizie; ma non ricevetti nessuna risposta. Seppi la verità soltanto all’indomani, dall’11ª Armata. Nel frattempo accorrevano rinforzi dell’avversario (che il giorno 14 si trovavano ancora a Verona) e che erano stati trasportati in autocarro. L’avversario era più forte di me.”
Boroevic aveva visto giusto. Infatti il 17 si iniziava quell’azione che doveva accrescere il progressivo logoramento delle sue truppe e ricacciarle nel fiume. La sera di questo giorno era stato ripreso dagli Italiani Pizzo Razea sugli altopiani ed ogni pressione nemica era cessata sul Grappa. Inoltre gli attacchi sferrati dagli austro-ungarici sul Montello venivano contenuti ed il fronte del Piave, nonostante gli sforzi della 5ª Armata austriaca, permaneva saldo, senza rotture o gravi arretramenti, mentre le ultime Divisioni austriache di riserva, già destinate ad avanzare su Mestre e Treviso, venivano invece gettate nella terribile fornace della battaglia di sfondamento.
Dal 15 al 18 giugno 1918 le nostre truppe si batterono per contenere l’avanzata nemica, disturbarla, paralizzarla. Dal 19 in avanti e sino al 23, le truppe si batterono per respingere gli austriaci e ricacciarli nel fiume.
Per comprendere l’importanza dell’azione svolta dalle truppe italiane in queste giornate di passione e di gloria, occorre richiamarsi ad un  opuscolo pubblicato due mesi dopo dal Comando Supremo austriaco ed intitolato: “Ammaestramenti tratti dalla battaglia del giugno 1918”. In esso infatti si legge questa preziosa ammissione:
“E non minore fu la nostra sorpresa nel constatare che il nemico non si impegnò a fondo nella zona avanzata; ma l’abbandonò, logorando poi reiteratamente il nostro attacco nella zona intermedia a noi non nota….Tanto maggiore fu quindi la delusione quando, dopo l’assalto che già aveva richiesto risolutezza ed ardire, seguì la lotta dissolvente ed estenuante contro le mitragliatrici nascoste…..la delusione spiega in parte la rilassatezza sopravvenuta nei combattimenti svoltisi nella zona intermedia fortificata….E peggio fu durante la giornata del 18, quando il nostro XXVIII Corpo d’Armata, le cui truppe si erano coperte di gloria nei primi tre giorni della battaglia, con l’impiego a fondo della 1ª Divisione d’assalto, riusciva a riconquistare la linea Fossalta Osteria – Capodargine, catturando parecchie centinaia di prigionieri.
Frattanto il Boroevic era tutt’altro che tranquillo.

“Si trattava – scrisse lo stesso Comandante l’Armata dell’Isonzo – di prendere nuove decisioni giacché, senza un sollievo dalla parte del Trentino, una mia ulteriore avanzata sarebbe stata follia ed avrebbe condotto alla catastrofe. Ordinai, senza interrogare, che si mantenessero ad ogni costo le teste di ponte conquistate fino a quel momento, sperando che si rinunciasse subito ai piani nel Trentino e mi mandassero le Divisioni diventate lì superflue, ovvero si agisse nel Trentino secondo nuovi criteri. Comunicai ciò al Comando Supremo, facendo notare che bisognava decidere subito e rispondere in merito alle mie innumerevoli proposte.
Nessuno mi rispose e continuai a combattere. Il 18 ritornai a Spilimbergo, a trovare Sua Maestà nel treno di Corte. Vi fui il 19 ed esposi a quattr’occhi la situazione, in un colloquio durato un’ora e mezza. Parlai liberamente su quanto era accaduto sino allora, esponendo un piano di operazioni che venne accettato. Allorché chiesi vettovaglie e munizioni, il generale Arz mi disse che, su questo punto, mi avrebbe riferito nel pomeriggio un colonnello ad Udine. Dunque non se ne sapeva niente!
Intanto l’avversario non soltanto non dava alcuna tregua, ma accumulava minacce e….riserve.”
Il Boroevic doveva esserne profondamente persuaso, perché subito dopo scriveva: “Frattanto Diaz aveva fatto venire altre truppe dal Trentino, cosicché io mi trovai con 17 Divisioni contro 30. Insistei perché si decidesse qualche cosa, ma invano. Il colonnello Zeenek mi comunicò da Baden che gli eserciti avrebbero potuto essere riforniti solo fino al giorno 25. Eravamo dunque nell’impossibilità di difenderci”.
Infatti il Boroevic parlava ad Udine e veniva ricevuto a Spilimbergo dall’Imperatore Carlo, il Comando Supremo italiano decideva “di iniziare il giorno 19 l’azione controffensiva per ricacciare il nemico oltre il Piave”. Effettuato durante la notte dal 18 al 19 e nella successiva mattinata il loro schieramento, dopo un’ora e mezza di preparazione, alle ore 15.30 precise le nostre truppe muovevano all’assalto lungo tutto il fronte della battaglia. “Fu – dice la relazione del nostro Comando Supremo – una lotta furiosa di attacchi e contrattacchi, a cui pose tregua solo la notte.” Ed il comunicato ufficiale austriaco è, a questo riguardo, costretto a confessare: “Nella regione del Montello la lotta toccò la violenza delle più grandi battaglie carsiche; in certi punti gli italiani spinsero sei volte innanzi le loro colonne d’assalto”. All’alba del 20 la battaglia si riaccese. Nervesa passò tragicamente di mano in mano e la lotta fu tanto violenta e l’impeto dei Fanti italiani così irruento che il comando austriaco, nel farne cenno, li scambiò per uomini appartenenti a truppe d’assalto. “La lotta – narra il bollettino nemico – si svolse ovunque con una mischia corpo a corpo. Su di una fronte di due chilometri, gli italiani lanciarono truppe d’assalto di otto reggimenti”.
Ed era, invece, soltanto Fanteria !
Sul basso Piave il nemico veniva respinto da Losson, Candelù, da scolo Palumbo e da Casa Martini, fra San Biagio e Bocca di Calalta. Il fiume, in decrescenza, permetteva la ricostruzione dei ponti; ma l’artiglieria e l’aviazione ne continuavano la distruzione sistematica, sicché non fu mai possibile al nemico di poter effettuare passaggi continuati. In siffatte condizioni, mentre il nostro Comando Supremo “ebbe, il 20 sera, la sicura percezione dell’approssimarsi della vittoria”, il nemico respinto sulla fronte montana,ridotto all’impotenza sul Montello, fermato sul Piave, privo di riserve, dovette alfine considerarsi battuto.
Frattanto, nelle giornate del 21 e del 22, l’artiglieria italiana rovesciò sulle posizioni tenute dall’avversario e sul fronte conteso un torrente di fuoco. Tutto il terreno venne sistematicamente battuto metro per metro. La crisi precipitò: nella notte dal 23 al 24 il nemico ordinò il ripiegamento. Era la fine.
A proposito della battaglia del Piave, il maresciallo Hindenburg (1) scriveva:
“La calamità del nostro alleato era una disgrazia anche per noi. L’avversario sapeva al pari di noi che l’Austria - Ungheria aveva, con questo attacco, gettato tutto il suo peso nella bilancia della guerra. Da questo momento la Monarchia danubiana aveva cessato di essere un pericolo per l’Italia”.
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(1)   Cfr. Hindenburg: “Dalla mia vita”.


Ed il Ludendorff, nella lettera in data 7 novembre 1919 indirizzata al conte Lerchenfeld, così riconobbe la gravità della sconfitta austriaca nel giugno del 1918:
“Il Comando austriaco si diceva sicuro della vittoria; il generale Arz indicava come mèta la valle del Po. I miei presagi divennero più neri quando appresi che l’offensiva austro-ungarica era stata differita al 15 giugno. In quel giorno e nei seguenti tutta l’attenzione di Hindenburg e la mia erano concentrate sulla fronte italiana. Intuivamo che colà avveniva qualche cosa di decisivo, forse la decisione per l’ulteriore corso della guerra. Quando ci giunse, fin dal secondo giorno della battaglia, la notizia che l’offensiva era fallita e che le truppe austro-ungariche del Gruppo di eserciti del maresciallo Conrad, sulle quali facevamo il massimo assegnamento, erano state così duramente provate ed avevamo subìto perdite così gravi da essere incapaci di un nuovo sforzo, sentimmo che la partita era perduta.
La decisione, che fino ad allora era da attendersi sulla fronte di Francia, improvvisamente si spostava, assumendo proporzioni assai vaste per le sue ripercussioni, sulla fronte italiana, che fino a quel momento non poteva essere considerata che un teatro secondario di operazioni. Più gravi notizie sulle proporzioni della sconfitta austriaca ci giunsero nei giorni successivi. L’Austria aveva riportato una sconfitta che poteva essere decisiva. Non si poteva più fare affidamento su trasporti di contingenti austro-ungarici sulla fronte tedesca. Era dubbio che l’Austria stessa potesse resistere ad un forte attacco italiano. E, se l’Austria, come avevamo ragione di temere cadeva, la guerra era perduta. Per la prima volta avemmo la sensazione della nostra sconfitta. Ci sentimmo soli. Vedemmo allontanarsi fra le brume del Piave quella vittoria che eravamo certi di cogliere sul fronte di Francia.
Con la morte nel cuore vidi che le nostre speranze cadevano come foglie morte”.
La “battaglia del Piave” rivelò al mondo intero il valore del soldato italiano, che aveva scolpito nel cuore quelle rozze espressioni da lui stesso, alla vigilia della titanica lotta, scarabocchiate sulle crollanti mura delle case coloniche disseminate sulla riva destra del fiume: “Tutti Eroi! O il Piave o tutti accoppati!”, oppure: “Meglio vivere un giorno da leone, che cent’anni da pecora!”.
Ma la “battaglia del Piave” rivelò un’altra cosa, riconosciuta più tardi dallo stesso generale Ludendorff, il quale ricordava che la disastrosa offensiva austro-ungarica, non consentendo un alleggerimento della fronte d’Italia a rinforzo della fronte di Francia, aveva “profondamente addolorato e turbato il Comando germanico”.

La battaglia.
L’azione principale fu preceduta da un attacco in forze nella regione del Tonale, che il nemico sferrò il 12 giugno e che si risolse in un sanguinoso scacco. Verso le ore 3 del 15 giugno l’artiglieria austriaca aprì il fuoco sulle nostre linee dall’Astico al mare, eseguendo forti concentramenti a, Tonale, in val Giudicarie, in val Lagarina ed in val d’Astico, ovunque controbattuta dal nostro fuoco di contropreparazione.
Fra le ore 7 e le 8 le fanterie austriache mossero all’attacco sull’altopiano di Asiago, nei settori del Grappa e del Montello e sul Piave, tra Saletto e Musile. Dall’Astico al Brenta le 17 Divisioni che dovevano aprirsi la via verso la pianura, alla fine della giornata si trovavano arrestate presso Perghele, nel settore centrale, respinte in un’epica lotta fra cima Echar e Busa del Termine, e completamente battute a pizzo Razea, nel settore orientale.
Nella zona del Grappa l’attacco nemico raggiungeva Col del Miglio, Col Fagheron, Col Fenilon e Col Moschin a sinistra; mentre nel centro, occupati quota 1053 ed il Pertica, rompeva la prima linea del Solarolo. A sera gran parte di queste posizioni ritornavano in possesso degli italiani.
Sul Piave intanto si operava il passaggio del fiume in due località: tra Falzè di Piave e Nervesa, e tra le Grave di Papadopoli e Musile. Nel primo settore 6 Divisioni austriache si trovavano di fronte la sola 58ª Divisione italiana.





Sul Montello il nemico, protetto da una densa cortina di nebbia provocata da proiettili a gas e fumogeni, traghettava i suoi primi battaglioni. Alle ore 16.00 due battaglioni e mezzo di assalto e 24 battaglioni di fanteria avevano passato il fiume. Da casa Serena a Nervesa infierì, per tutto il pomeriggio, la più aspra lotta. Già alle 15.30le fanterie italiane muovevano alla controffensiva, mentre gli attaccanti rispondevano col fuoco e, forti del numero, riuscivano ad ottenere qualche leggero vantaggio immediato.
Alle ore 09.00, sul basso Piave, il nemico, passato il fiume, costituiva una testa di ponte a Fagarè, in corrispondenza della grande arteria stradale Ponte di Piave – Treviso ed un’altra a Musile, in corrispondenza della ferrovia San Donà – Mestre. Fra Salettuol e Candelà l’attacco veniva respinto dalla nostra 31ª Divisione e, fra Zenson e Noventa, il passaggio del nemico era gravemente ostacolato. A tarda sera il bilancio della prima giornata era questo: mantenimento quasi integrale del nostro fronte sull’altopiano di Asiago; arresto dell’avanzata austriaca nel settore del Grappa; opposizione vigorosa all’avanzata nemica sul Montello, sul basso Piave e Ponte di Piave ed a Musile.
Nella notte le nostre unità si prepararono a fronteggiare la situazione con lo schieramento suggerito dal delinearsi della lotta, cosicché l’alba del giorno 16 trovava l’esercito italiano pronto al non facile e decisivo cimento.
Bilancio della seconda giornata: il fronte montano incrollabile; il fronte del Piave alquanto inflesso per i progressi del nemico, contenuti ed ostacolati dalla tenace resistenza dei nostri. Il Comando Supremo, liberato da ogni preoccupazione per il fronte montano, provvedeva a far affluire le riserve nei punti più minacciati e preparava quell’azione controffensiva a grande raggio, da attuarsi non appena il logoramento del nemico fosse stato compiuto.
Sull’altopiano di Asiago, nella giornata del 15, il nemico si era spinto fino a Perghele ed a Buco di Cesena ed aveva occupato le alture del Valbella, di Col del Rosso e di Col d’Echele, obbligando la difesa a retrocedere sulla linea cima Eschar-Busa del Termine-monte Melago-cima Cischietto-Casara Lobba-pendici di S. Francesco e di Sasso Rosso-sbarramento di S. Gaetano.
Da questa linea, nella stessa giornata del 15, partirono i primi nostri atti controffensivi; le truppe britanniche rioccuparono quasi tutto il terreno perduto; quelle francesi riconquistarono il Capitello Pennar; le italiane ripresero ed oltrepassarono Col del Rosso, ma dovettero riabbandonarlo al mattino successivo di fronte agli incessanti contrattacchi avversari. Le azioni dei giorni 16 e 17 ci ridavano Pizzo Razea; il 19 l’intero ridotto di Costalunga ritornava in nostro possesso.
Fra Brenta e Piave il mattino del 15 le fanterie nemiche erano riuscite a pervenire su Col del Miglio, monte Pertica e monte Solarolo; nel pomeriggio anche su Col Moschin e su Col del Fenelon e tentavano di aggirare le nostre linee di Porte di Salton, senza che le truppe che le difendevano cessassero la loro eroica resistenza.
Nella notte però i nostri violenti contrattacchi ci ridiedero Col del Fenelon e Col Moschin e, nella giornata del 16, buona parte del terreno ceduto il 15. Gli attacchi sferrati dal nemico a nord del Grappa, sul Casonet, col dell’Orso e Monfenera, vennero tutti respinti. Il giorno 17 riprendemmo quota 1671 del Solarolo; quindi l’azione nemica subì una sosta.
Il giorno 24 le nostre truppe attaccarono Col del Miglio, l’Asolone ed il Pertica; ma, raggiunta quota 1520 dell’Asolone e la vetta del Pertica, dovettero abbandonarle per la violenta reazione nemica e si stabilirono sulle posizioni tenute prima dell’offensiva austriaca.
L’avversario aveva subìto perdite enormi.
La resistenza delle Armate dell’Altopiano e del Grappa aveva avuto ragione dell’attacco avversario; la lotta veniva pertanto a localizzarsi sul fronte del Piave. Sul Montello, forzata all’alba del 15 la linea del Piave nei pressi di Casa Serena, nell’ansa di Falzè, e poco dopo anche a Nervesa, nella stessa giornata l’avversario riusciva a respingere la linea Casa Serena-Casa Marseille-Giavera-Sovilla-stazione di S. Andrea.





Un contrattacco nel pomeriggio del 16, riportò il centro del nostro schieramento a Collesel della Madonna ed a Collesel di Castelvetro; ma successive puntate nemiche in direzione di Casa Serena obbligarono la nostra sinistra ad arretrare alquanto.
Il 17 l’avversario, ripresa l’avanzata fra Sovilla e la stazione di Nervesa, raggiunse la ferrovia nel tratto S. Mauro – S. Andrea, oltrepassandola fino a Casa De Rues; il giorno successivo e la notte sul 19 continuò a puntare su vari tratti del fronte, senza però conseguire vantaggi. Un suo tentativo di passare il Piave presso il ponte della Priula fu subito sventato.
Nel pomeriggio del 19, con una potente azione controffensiva, riguadagnammo terreno e la lotta si protrasse per tutta la notte e per il giorno dopo. Alla sinistra la situazione rimase quasi invariata; al centro, in seguito ad un furioso contrattacco nemico, le nostre truppe dovettero di poco ripiegare; alla destra contennero la violenta spinta avversaria.
La pressione delle nostre fanterie continuò tenace nei giorni 21, 22 e 23 giugno, appoggiata dagli incessanti bombardamenti delle artiglierie e degli aerei. Sempre più addossato al fiume, in condizioni di vita sempre più difficili, l’avversario, dopo aver ancora tentato inutilmente un forte attacco nella notte sul 22, la notte sul 24 iniziò il ripiegamento sulla sinistra del Piave, protetto da reparti di copertura.
Le nostre truppe, stringendolo da presso, raggiunsero il giorno 24 le antiche linee avanzate. Sul basso Piave, protetti da tiri a proiettili fumogeni, truppe nemiche riuscirono a passare il fiume fra Candelù e Musile; ma vennero fermate subito sulla prima fascia di resistenza. Il mattino del 15 giugno avevano occupato solo qualche elemento della nostra prima linea fra Candelù e Saletto, l’ansa di Zenson ed alcune località ad est di Musile. Nel pomeriggio un tentativo di passaggio del Piave a Salettuol costò al nemico perdite sanguinose; ma i suoi rinnovati, poderosi attacchi ci costrinsero ad arretrare la difesa nei tratti Candelù – strada di Ponte di Piave e Zenson – Fossalta.
La testa di ponte di Capo Sile dovette essere abbandonata.
La spinta del nemico continuò nella giornata del 16, validamente contenuta e poi arrestata da un contrattacco, sferrato il 17 contro l’intera linea austriaca: le località di Croce, Capo d’Argine e di Losson furono teatro di accanitissime lotte. Attacchi e contrattacchi si rinnovarono il 18. Nel pomeriggio del 19 una nostra ripresa offensiva ridusse alquanto il saliente nemico Meolo – Losson. La sera del 19 gli austriaci attaccarono a sud della ferrovia Ponte di Piave – Treviso, obbligandoci a ripiegare sulla linea Rovarè S. Pietro – Novello; ma nella giornata del 20, le nostre unità si riportarono sulla linea delle riserve.
Il giorno 21 ed il 22 trascorsero in una ininterrotta attività di elementi avanzati; il caposaldo di Casa Martini (Fossalta), caduto in mano al nemico, venne ripreso; nuovo attacchi avversari a Losson furono respinti. La notte sul 23 il nemico, sospinto dai nostri fanti, battuto dalle artiglierie e dagli aerei, iniziò la ritirata oltre il Piave. Nel pomeriggio dello stesso giorno le nostre truppe incalzanti raggiunsero la destra del fiume, da Candelù a Ponte di Piave, e la sera Zenson. Nella notte, superando l’ostinata resistenza dei nuclei di copertura nemici, rioccupavano tutte le antiche linee, eccetto l’ansa fra Paludello e la Gastaldia, da dove ricacciarono l’avversario la sera del 24. Nella notte sul 25 ed il 26 ripresero ed ampliarono la testa di ponte di Capo Sile e spinsero verso nord l’occupazione fra Cavazuccherina e Cortellazzo.
Anche in questa battaglia validissimo contributo per la vittoria offrì l’Aviazione, che riuscì ad abbattere ben 107 apparecchi e 7 palloni frenati nemici, compì preziose ricognizioni ed efficaci bombardamenti e potè eseguire circa 3000 fotografie delle posizioni nemiche (1).




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(1)   Per maggiori particolari sui vari episodi della lotta su ciascun fronte, i lettori potranno servirsi della pubblicazione del Comando del nostro Corpo di Stato Maggiore: “La battaglia del Piave”.



La grande battaglia dall’Astico al mare, che - dice il Bastico (1) – nell’ambizioso sogno degli austriaci avrebbe dovuto segnare il crollo del fronte italiano e l’inizio della sconfitta dell’Intesa, finì così con la nostra vittoria, con la quale, se in nostro possesso rimasero soltanto, complessivamente: 24 mila prigionieri, 70 cannoni e 1.224 mitragliatrici. 37.000 fucili, 155 lanciafiamme, noi infliggemmo al nemico perdite uguali a 250.000combattenti.
La nostra vittoriosa resistenza, facendo ancora una volta fallire il piano degli Imperi Centrali, diminuendo in modo così grave le loro energie materiali e morali, ebbe un’importanza senza dubbio decisiva nel preparare e nel permettere la controffensiva sul fronte occidentale e sul nostro e nel rendere certa la comune vittoria.
Il nostro Comando avrebbe voluto completare il successo con una vigorosa offensiva (2); ma, per poterla effettuare con mezzi adeguati, sarebbe stato necessario che l’Intesa avesse, finalmente, deciso di attribuire al nostro fronte quell’importanza che esso aveva e che gli avvenimenti dovevano ben presto dimostrare. I franco – inglesi erano già impegnati del resto, sul fronte occidentale, nel difendere il territorio della Francia, gravemente minacciato dalla seconda offensiva tedesca.


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