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venerdì 19 maggio 2017

Differenza tra i "Foreign Figheters" e la categoria dei mercenari

UNA FINESTRA SUL MONDO

  Di Alessio Pecce

Le prime forme terroristiche risalgono all’anno mille in Medio Oriente con la “Setta degli Hashishiyyn” (in arabo fumatori di hashish). La setta dei fumatori di hashish è un gruppo organizzato, temuto da tutti per l’aggressività dei propri componenti[1]. I figli più piccoli studiano molteplici discipline, ma la più importante è l’obbedienza al capo, la dedizione del corpo e della mente al suo volere e soprattutto il sacrificio della vita a favore dell’azione suicida: la morte avvenuta durante l’attacco violento è considerata un atto d’onore, mentre tornare vivi da essa è al contrario un disonore[2]. La parola “terrorismo” viene per la prima volta alla luce nel 1795, nell’Oxford English Dictionary, per descrivere gli abusi del potere rivoluzionario in Francia. Tra il XIX e il XX secolo, tale terminologia prende in considerazione due differenti modus operandi, inerenti sia alle azioni degli Stati, sia ai gruppi socio-politici organizzati: il primo riguarda l’uso del terrore da parte del Governo contro la popolazione per il consolidamento della leadership; per ciò che concerne la seconda accezione, il terrorismo è visto come l’utilizzo della violenza da parte di gruppi più o meno organizzati[3]. Agli inizi del XX secolo la parola “terrorismo” assume una connotazione tecnica, intesa come azione violenta da parte di organizzazioni clandestine all’interno di un contesto isolato. A tal proposito Jenkins lo definisce come l’uso della forza, inserendo due elementi come l’azione e l’obiettivo da raggiungere[4].
Tra il XX e il XXI secolo, avviene il passaggio dal mondo analogico a quello digitale, nel quale la velocità comunicativa e la riproducibilità divengono elementi imprescindibili. Il terrorismo jihadista viene pervaso così dalla cosiddetta “weaponizzazione mediale”: il messaggio mediatico, quale veicolo di trasmissione del terrore, è parte integrante delle armi da utilizzare[5]. La weaponizzazione rappresenta quindi l’evoluzione dell’arma digitale, in grado di penetrare nelle menti della pubblica opinione, come mai accaduto in precedenza. Per tale motivo si utilizza il termine “mediale”, differentemente dall’usuale “mediatico” usato spesso in relazione al passivismo delle audiences. Ragion per cui la weaponizzazione mediale ha provocato nel jihadismo una vera e propria “mediamorfosi” del terrorismo di matrice jihadista: ciò significa che la comunicazione non rappresenta più una modalità operativa, ma è parte integrante del conflitto stesso. Indi per cui il terrorismo è sinonimo di comunicazione, il tutto sotto lo sguardo di un mondo sempre più globalizzato e cyber interconnesso[6]. La nascita dello Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante (i territori dello Sham), racchiusi tra la Siria e l’Iraq sunnita, oggi noto come Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), è databile al giugno 2014 attraverso l’autoproclamazione del califfo Abu Bakr al-Baghdadi, mediante un discorso in cui richiama i musulmani all’unione, in favore della battaglia per la difesa della Ummah. Le forze del califfato provengono da una branca dell’organizzazione terroristica al-Quaeda, con a capo l’emiro Abu Mussab al-Zarqawi, presso il quale al-Baghdadi ha prestato servizio fino al 2004, anno in cui al-Zarqawi è stato arrestato. L’ISIS, o Daesh, ne ha acquisito la violenza, soprattutto nei confronti della comunità sciita, ma l’intento principale è quello di proclamare il califfato islamico, attraverso i media, frutto di un piano strategico-politico e in cui la simbologia non è da sottovalutare[7]. L’autoproclamazione è avvenuta attraverso un meccanismo di marketing, o meglio re-branding (reimmettere sul mercato un prodotto o un’entità commerciale con nome diverso), coadiuvata dal consolidamento della leadership funzionale ad una governance orientata al modello statuale[8]. A tal proposito il Daesh si struttura in una logica amministrativa, attraverso l'inserimento di norme e istituzioni volte ad eliminare dai territori tutti gli oppositori e quindi le comunità nemiche come sciiti, curdi, cristiani, yazidi, oltre  ad altre minoranze. Il tutto è finalizzato alla stabilizzazione di norme e ideali condivisi dall'intera comunità, sotto il controllo operativo del da'wa, al-hisha e al-Ta'lim: il primo diffonde il Corano, cercando di far rispettare il più possibile la legge islamica, con l'obiettivo di convertire gli infedeli; il secondo rappresenta la polizia religiosa che si occupa di diffondere valori consoni all'islam; mentre al-Ta'lim si concentra nell'insegnamento del Corano all'interno delle scuole. È bene ricordare infine come in questi territori è richiesto alla popolazione il pagamento di una tassa per l'utilizzo dei servizi essenziali, sintomo di come il Daesh abbia incarnato il senso per lo Stato[9]. In virtù di ciò, tale complessità governativa impone all’IS il ricorso a strumenti simbolici in grado di raccogliere l’interesse globale e favorire l’interesse negli individui, tali da indurli al sacrificio della propria vita in nome del califfato. Il Daesh aumenta il consenso tra i soggetti, incrementando anche la propria presenza nelle città europee, grazie alle strategie di marketing adoperate, evento mai accaduto nell’ambito terroristico. L’eventuale attentato rivendicato costituisce dunque un obiettivo strategicamente dato, in cui l’ideologia di base è messa in evidenza dal valore simbolico[10]. Lo Stato Islamico sente il bisogno impellente di rappresentare e quindi difendere l’Islam, giustificando al contempo le azioni barbare commesse e continuando a spettacolarizzare il terrore, mediante la “cultura terroristica” destinata soprattutto ai digital natives[11] ed i mobile born[12]. Fino a qualche tempo fa era impensabile accostare il brand ad una organizzazione terroristica, eppure il mondo globalizzato impone una marca/logo, affinché si possa essere visibili alla società: ragion per cui l’IS è rappresentato da una bandiera di colore nero (simbolo della battaglia), al cui interno è inserita la shahada (rappresenta il primo pilastro dell’Islam) in cui si dichiara Maometto come unico profeta[13]. Dal processo di propaganda jihadista si evolve un processo di familiarizzazione all’interno dello Stato Islamico, in cui la “narrazione celebrata” della famiglia e l’educazione dei più piccoli svolge un ruolo di primaria importanza. Tutto questo è rivolto soprattutto ai foreign fighters, ai quali viene offerta una terra pronta ad ospitarli e ad accudirli, non prima di averli corteggiati a lungo tramite i social networks, attraverso i quali vengono visualizzate le gesta militari degli appartenenti al Daesh[14]. I foreign fighters, vale a dire i combattenti stranieri, sono quei cittadini europei di fede islamica che sono tornati nel loro paese paese d’origine a combattere nelle zone di conflitto del Medio Oriente e del Nord Africa. La possibilità/rischio di un loro rientro in Europa, per questo definiti anche “i rientrati”, comprometterebbe la sicurezza dello Stato, vulnerabile ad un eventuale attacco terroristico di matrice religiosa[15]. A tal proposito il fenomeno sempre più impellente relativo al loro rientro in Europa ha spinto gli Stati membri a realizzare un intervento legislativo urgente, partendo dagli obblighi internazionali vigenti previsti dalla risoluzione 2178. Quest’ultima si basa su tre componenti fondamentali: il contrasto all’estremismo e alla radicalizzazione, l’inserimento di misure preventive atte a controllare i soggetti sospettati di terrorismo e l’approvazione di fattispecie incriminatrici ad atti non ancora ritenuti meritevoli di tutela penale[16]. Nei giorni successivi all’attacco terroristico alla redazione del giornale Charlie Hebdo, il decreto antiterrorismo presentato d’urgenza dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano è divenuto legge il 15 aprile 2015. Le norme principali sono costituite dall’introduzione di un nuovo reato penale, punibile con la reclusione da cinque a otto anni, per colui che coordina e finanzia i viaggi meta di attentati terroristici; i foreign fighters sono condannati con la reclusione da cinque a otto anni, mentre la pena va da cinque a dieci anni per coloro che si sono addestrati per finalità terroristica. L’approvazione di tale legge permette non solo di sorvegliare i potenziali terroristi, ma include anche la possibilità al questore di ritirare loro il passaporto, impedendone così l’espatrio. Inoltre vi è l’accrescimento della pena per la pianificazione delle azioni terroristiche condotte tramite l’utilizzo del web, il quale è sotto il rigido controllo della polizia postale che al contempo crea delle black list. Nel codice penale sono inserite due contravvenzioni facenti riferimento al possesso illegale di materiale esplosivo e relative sostanze chimiche utilizzate a scopo bellico, così come viene punita la mancata segnalazione delle stesse alle autorità competenti[17]. È bene ricordare come già nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, la legislazione italiana abbia riformulato alcuni interventi legislativi, partendo appunto dalle principali disposizioni del codice penale inneggianti il contrasto del fenomeno terroristico compresi fra il 270-bis e il 270-sexies[18]. Nella fattispecie l’articolo 270-bis punisce il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale[19]. Dopo le modifiche effettuate dalle legge 438 del 2001, l’articolo 270-bis sancisce con la pena da cinque a dieci anni chiunque organizza, promuove, costituisce e finanzia associazioni che hanno finalità terroristiche, così come la sola partecipazione all’associazione è punita con una pena da cinque a dieci anni. Inoltre è bene ricordare che, il codice penale penale italiano, al momento dell’introduzione dell’articolo 270-bis non conteneva alcuna definizione di terrorismo, introdotta in seguito all’articolo 270-sexies con il decreto legge 155 del 2005, nonostante la punibilità dell’associazione per fini terroristici[20]. Il fenomeno dei foreign fighters assume rilevanza soprattutto nel quadro dell’Unione Europea, poiché in grado di generare insicurezza e paura nei confronti della popolazione europea e al contempo risulta particolarmente complesso da prevenire. A partire dal 2013, la questione dei f.f. è inserita costantemente tra i punti cruciali da discutere innanzi la Commissione del Consiglio dell’UE, del Parlamento e del Consiglio europeo e le varie proposte si basano sostanzialmente su quattro elementi: inquadramento giuridico del fenomeno dei combattenti stranieri destinati in Siria ed Iraq; aspetti cautelativi che impediscano a questi soggetti di partire; monitoraggio dei loro spostamenti e repressione di eventuali azioni terroristiche; cooperazione con gli altri Stati. In seguito, come accennato poc’anzi, dopo gli attentati di Parigi del 2015, i vari Ministri degli affari interni e della Giustizia hanno attuato la Dichiarazione comune di Riga inerente la lotta al terrorismo, nella quale viene richiamato il fenomeno dei f.f e le relative misure di contrasto. Ragion per cui al Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 è stata adottata l’agenda europea per la sicurezza, in cui sono presenti varie misure fondamentali: la lotta al terrorismo e conseguente modifica della decisione quadro; la cooperazione tra le varie forze di polizia e giudiziaria europee volte a contrastare i finanziamenti illeciti a favore delle organizzazioni terroristiche; l’incremento degli strumenti di lotta alla criminalità organizzata; il perfezionamento di Europol attraverso la formazione di un centro anti-terrorismo europeo di supporto all’agenzia[21].
Il principale canale di reclutamento è il web, attraverso cui lo Stato Islamico adopera notevoli tecniche comunicative, ma soprattutto multicanale rappresentato da video, forum e blog. Inoltre, considerando il target composto da giovani, i reclutatori, attraverso i canali social Facebook e Twitter, promettono loro un futuro caratterizzato dalla “serenità economica”[22].
A tal proposito, i nuovi conflitti che oggi oppongono gli Stati occidentali al terrorismo jihadista hanno determinato la progressiva sostituzione di queste forme di reclutamento su base ideologico-religiosa, in luogo di quello tradizionalmente basato sul riconoscimento di lauti compensi economici. La figura del “Lone Wolf”, richiamata più avanti, rappresenta il punto finale di questa evoluzione, posto che in taluni casi gli attacchi compiuti sono ideati, finanziati e realizzati dagli stessi esecutori senza alcun coordinamento con le centrali operative di comando dei terroristi.
Tutto ciò è parte integrante delle cosiddette “guerre asimmetriche”, in cui prendono parte diverse tipologie di attori: volontari, contractors, lupi solitari, foreign fighters e mercenari. L’articolo 47 del I Protocollo addizionale descrive il mercenario come quel soggetto che:  1) appositamente reclutato combatte un conflitto armato; 2) prende parte in maniera diretta alle ostilità; 3) trae benefici economici dalla presa diretta del conflitto; 4) non è residente nel territorio controllato da una parte del conflitto, né cittadino di una parte del conflitto; 5) non è stato inviato da uno Stato non parte del conflitto, quale membro delle Forze Armate; 6) non appartiene alle Forze Armate di una parte del conflitto. Nel 1989  si è conclusa la Convenzione contro il reclutamento, l’addestramento e il finanziamento dei mercenari, entrata in vigore nel 2001. A ciò fanno seguito due elementi relativi al rovesciamento di un governo o alla destabilizzazione degli organi costituzionali, motivato essenzialmente dal significativo guadagno privato e spinto dalla promessa di un indennizzo materiale. Recentemente l’impiego dei mercenari è avvenuto soprattutto in Nigeria, dove impegnati come addestratori e consulenti hanno preso parte in maniera attiva alle ostilità contro l’organizzazione terroristica di Boko Haram. La figura maggiormente accostata al mercenario è quella del contractor appartenente a gruppi militari privati e disposti a vendere i propri servizi di sicurezza agli Stati da utilizzare durante un conflitto armato. Sono chiamati anche Private Military Companies (PMC) e intervengono militarmente sia in modo “attivo” che “passivo”: possono porsi al comando di truppe durante le ostilità oppure offrire delle conoscenze direttamente in combattimento. Le loro competenze sono richieste da Stati e gruppi militari con capacità operative limitate, in situazioni di gravi crisi[23]. Secondo l’articolo 43 del I Protocollo addizionale possono essere considerati combattenti legittimi solo se sono inquadrati sotto un comando responsabile e rispettano il Diritto Internazionale Umanitario. Tuttavia i consiglieri militari e gli istruttori non possono essere considerati dei mercenari, poiché non prendono direttamente parte alle ostilità[24]. Infine, ma non per ordine di importanza, ci sono i “Lupi solitari”, considerando anche i recenti attacchi terroristici, ultimo quello di Nizza durante la cerimonia nazionale. Il Lone wolf  agisce individualmente per mezzo di azioni spontanee, senza obbedire a degli ordini e appartenere ad una determinata cellula terroristica. Questa tipologia di terrorista “fai da te” utilizza la rete per addestrarsi, indottrinarsi e procurarsi un supporto logistico, ragion per cui non necessitano di pregresse conoscenze strategico-militari e hanno il vantaggio di godere dell’effetto sorpresa. L’inclinazione dei loro attacchi e quella dei “soft targets”, poiché possono colpire con qualsiasi arma, anche legalmente detenuta, come ad esempio coltelli, pistole e fucili. I lupi solitari sono considerati potenzialmente più pericolosi delle classiche organizzazioni terroristiche[25].




Riferimenti bibliografici

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Sitografia
www.internazionale.it/notizie/2015/04/15/legge-antiterrorismo. www.ilsole24.com/art/mondo/2015-11-22/ecco-come-isis-recluta-giovani-internet-trasformarli-terroristi.

Alessio Pecce (alessio-p89@libero.it)

Dottore magistrale in Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale. Specialista nella progettazione, gestione, valutazione e ricerca per conto di istituzioni politiche e sociali, organizzazioni economiche, imprese ed enti internazionali.





[1] Per approfondire si  veda: H. Lung, La setta degli assassini, tecniche e segreti, Edizioni Mediterranee, 2011.
[2] L. Bauccio, L’accertamento del fatto reato di terrorismo internazionale, Milano, 2005, p. 14.
[3] C. M. Polidori, Il terrorismo internazionale negli ordinamenti giuridici dei paesi occidentali e i relativi strumenti di cooperazione giudiziaria e di polizia, Edizioni CEMISS, Roma, 2006, p. 13.
[4] B. Jenkins, Terrorismo internazionale: l’altra guerra mondiale, Il Mulino, Bologna, 1987, p. 487.
[5] A. Antinori, Weaponizzazione mediale. Dal terrorismo internazionale alla digitalizzazione del neoterrorismo, in G. Marotta, Profili di criminologia e comunicazione, Milano, 2014, pp. 169-198.
[6] A. Antinori, La “mediamorfosi” del terrorismo jihadista tra iconoclastia e stato sociale, Federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Roma, 25 settembre 2015, pp. 4-5.
[7] L. Vidino, L’Italia e il terrorismo in casa: che fare?, Edizioni Epoké, Novi Ligure, 2015, p.13.
[8] A. Antinori, op. cit., p. 6.
[9] E. C. Del Re, Il senso di Da’is per lo stato, Limes rivista italiana di geopolitica, 11/15, p. 84.
[10] A. Antinori, op. cit., p. 7.
[11] J. Palfrey – U. Gasser, Born digital: Understanding the First Generation of Digital Natives, New York, 2010, pp. 1-400.
[12] P. Holland, The Rise of The Mobile-Born, in techcrunch.com, 08/11/2013.
[13] A. Antinori, Shahada e suicide-bombing. Fenomenologia del terrorismo suicida, Roma, 2007, pp. 1-126.
[14] A. Erelle, Nella testa di una jihadista, Milano, 2015, pp. 1-272.
[15] L. Panella, Sulla revoca della cittadinanza degli Stati per combattere il fenomeno dei foreign fighters, Federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Messina, 25 settembre 2015, pp. 8-9.
[16] A. Cavaliere, Considerazioni critiche intorno al d.l. antiterrorimo n. 7 del 18 febbraio 2015, in Diritto penale contemporaneo, 31 marzo 2015.
[17] Per approfondire si veda www.internazionale.it/notizie/2015/04/15/legge-antiterrorismo.
[18] F. Battaglia, L’attività legislativa italiana di recepimento degli obblighi internazionali in materia di lotta al terrorismo internazionale e combattenti stranieri, Federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Roma, 25 settembre 2015, p. 4.
[19] M. Sossai, La prevenzione del terrorismo nel diritto internazionale, Giappichelli editore, Torino, 2012, p. 224.
[20] F, Battaglia, op. cit., p. 5.
[21] G.G Nucera, Considerazioni sulle misure adottate dall’Unione europea in materia di combattenti terroristi stranieri, Federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, Roma, 25 settembre 2015, pp. 2-4.
[22] Per approfondire si veda www.ilsole24.com/art/mondo/2015-11-22/ecco-come-isis-recluta-giovani-internet-trasformarli-terroristi.
[23] P. Orizio, Mercenari, contractors e foreign fighters protagonisti degli odierni conflitti, visionabile presso www.analisidifesa.it/2015/08/mercenari-contractor-e-foreign-fighters-protagonisti-dei-conflitti-odierni/, 25 agosto 2015.
[24] N. Colacino, Elementi di Diritto internazionale umanitario e disciplina dell’uso della forza, Roma, 31 maggio.
[25] P. Orizio, op. cit.

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