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mercoledì 17 maggio 2017

La Donna nella Guerra di Liberazione 1943-1945

DIBATTITI


Nel Repertorio di Ricerca dei progetti del Nastro Azzurro per il triennio 2015-2018, finalizzato alla preparazione della celebrazione del Centenario del Nastro Azzurro che cade nel 2023, tre progetti sono dedicati al Valore Femminile in guerra. Nel 2002 si ebbe modo di compilare un lavoro dedicato alla Donna nella Guerra di Liberazione, che fu apprezzato a vario titolo in quanto riportava l'attenzione su un aspetto trascurato. Riportiamo in forma schematica il testo di quella pubblicazione, come traccia per sviluppi  dei progetti in essere.
(nota di contatto:centrostudicesva@istitutonastroazzurro.org)


LA DONNA NELLA GUERRA  DI LIBERAZIONE 
1943-1945

Scheda.1 
E' indubbio che gli anni in cui si sviluppò la guerra di liberazione incisero nella nostra società in modo profondo e duraturo: non solo nelle istituzioni, nella politica nella economia, ma anche nel costume e nella vita di relazione. Incisero anche nei rapporti tra il mondo maschile e quello femminile in modo tale che si apri una nuova pagina per la nostra Nazione.
La donna si impegnò a combattere per una Italia diversa, ed entro nelle fila della resistenza come partigiana combattente in modi diversi; fu coinvolta nella tragedia della deportazione e, superando una antica tradizione, entrò anche a far parte delle Forze Armate con un Corpo, quello Ausiliario Femminile (C.A.F.) che ci accompagnò in tutta la guerra di Liberazione. In quei anni si iniziò a superare  la quadrinomia infermiera, crocerossina, vivandiera, prostituta, per arrivare ad accettare, in un ordine gerarchico di uomini armati, anche la donna, accantonando lo stereotipo che armi e guerra di per sé sono contrari alla femminilità. Gettato questo seme, a guerra vinta iniziò quel processo di non distinzione tra uomo è donna che, ancor oggi in essere, fu uno dei principali frutti, per la nostra società, di una guerra che, iniziata come di conquista e di imperio, si concluse, fra lutti e rovine, con la conquista della democrazia, della libertà e della pace.  

Nota  di sintesi
La Guerra di Liberazione iniziò un processo di cambiamento e revisione del ruolo della donna nella nostra società. Un processo ancora oggi in corso ma che è dal 1943, irreversibile, per i contenuti e gli obbiettivi conseguiti e da conseguire. La partecipazione della donna negli avvenimenti bellici che vanno dal settembre 1943 all'aprile 1945 diede titolo alle donne di rivendicare  diritti e nuovi doveri che segnarono una profonda svolta nei rapporti e intrecci tra il maschile e il femminile. Si conquistò, innanzi tutto il voto che significa il diritto di cittadinanza, ed ebbe fine la distinzione pubblico-privato, con l'universo femminile relegato per lo più nella casa ed addetto ai servizi di cura nella separazione rigida dei ruoli dei due sessi. Ancorchè sulla carta all'indomani della fine della guerra di Liberazione fu affermata, come prodotto conseguente di essa, l'uguaglianza nei diritti nel lavoro e nella famiglia, che, attraverso il cambio Istituzionale, furono raccolti nella Carta Costituzionale, che ancor oggi rappresenta il frutto più maturo e generale della Guerra di Liberazione. 

Scheda n. 2. Spunti da foto:
 (a) La Donna fatale della cinematografia dei telefoni bianchi era il mito femminile proposto alla vigila della guerra.
 (b) La Principessa di Piamonte ed una popolana. La distanza tra i ceti sociali era enorme ancor più nell'universo femminile
(c) Il problema delle sopravvivenza nell'Italia in guerra vide la donna coinvolta ogni giorno
 (d) Con l'invasione del territorio nazionale da parte di eserciti stranieri, la popolazione vide  scomparire l'autorità stautale e, contemporaneamente, venne a contatto con altre realtà e culture.
(e) Il dramma dell'internamento  fu un dramma: Oltre 600.000 mila militari italiani internati in Germania. Ma la guerra vide internati anche civili internati ( nella foto donne e bambini italiani internati nell'Isola di Man, Inghilterra, 1940) per motivi politici, razziali, religioni ed etnici. 

(d) Da Roma Città Aperta.
A Roma, al Pigneto, in via Montecuccoli 17, una traversa di via
Prenestina , c'è il palazzo in cui vive Pina ( interpretata da Anna Magnani in Roma Città Aperta, girato nel 1945, da Roberto Rossellini) Nella Roma ancora occupata dai tedeschi Pina, è una delle tante donne toccate dalla guerra. Rimasta vedova e con un figlio, Marcello, Pina si arrangia nella vita di tutti i giorni cercando comunque di lottare per un mondo più giusto, dove Marcello e il figlio che aspetta da Francesco, interpretato da Francesco Grandjacquet, possano credere e realizzare. Ma proprio il giorno del suo matrimonio con Francesco, una retata messa in atto dai tedeschi cattura tutti gli uomini dello stabile in cui vive , compreso il suo promesso sposo. Pina cerca di ribellarsi all'arresto del suo uomo , si libera dalla stretta di una guardia tedesca , lascia correndo il cortile del palazzo, dove erano riunite le donne ed i bambini, ed esce in strada inseguendo il camion tedesco ed urlando il nome del suo fidanzato. Ed è in questa scena, forse la più emozionante ed importante del cinema italiano, e sintesi di tutta la lotta di liberazione condotta dalla donna, che Pina viene uccisa, colpita da una fucilata tedesca. Mentre il camion si allontana la donna cade a terra senza vita, sotto gli occhi di suo figlio Marcello, che rappresenta il futuro. Sicuramente Marcello, come tutti noi, non può lasciare che tutto scivoli nell'oblio.

(f) Nelle Formazioni partigiane la donna combattente reclamò gli stessi doveri e gli stessi diritti di ogni altro combattente.

(g) Fondotoce (Verbania) 42 partigiani vengono condotti alla fucilazione. Tra di loro una donna in stato interessante

Scheda n.4. Foto 1944
(a) Gruppo di partigiani in trasferimento lungo un percorso fortemente innevato. La donna in primo piano è indicata, nella didascalia, come una maestra che ha deciso di combattere accanto al marito

(b) Ogni donna che decideva di combattere sapeva a cosa  andava incontro. Nella foto, l'impiccagione di Ines Versari, compagna di Silvio Corbari, nella piazza di Forli

(c  Dormitorio di staffette biellese inverno 1945. In divisa, Anna Germanetti, nome di combattimento "Kira". L'uso di uniformi sottolineava che le formazioni partigiane erano divenute un vero e proprio esercito 

(f) Cinque Ufficiali dei Gruppi di Combattimento con una componente del C.A.F. (Corpo Ausiliario Femminile) non in uniforme.(Foto gentilmente concessa dal gen. E. Boscardi)

(e) Due componenti il C.A.F. con militari dell'Esercito Italiano. Oltre al distintivo nazionale al braccio, non vi sono altri distintivi. I gradi rilevano che si tratta di una Vice Ispettrice ( a sinistra) ed una Capo Gruppo ( a destra)

(f)Una formazione partigiana nell'aprile del 1945, alla vigilia della liberazione

Il Nemico:
 (G)Ausiliaria che bacia la Bandiera della Repubblica Sociale

 (H) Schieramento e saluto di componenti del S.A.F., Servizio Ausiliario Femminile.  Della Repubblica Sociale Italiana.



Scheda n. 4 La Guerra e l'Anteguerra.
Durante il ventennio la donna accettò o sembrò accettare la parte delle suddite soddisfatte o rassegnate, retaggio non contestato delle generazioni precedenti. Nella sostanza la donna era relegata in casa, custode del focolare, addetta alla procreazione delle future e generazioni di soldati, sempre in sottordine rispetto al maschio e sempre in paragone, svalutativo con esso.
Con l'andar della guerra, una guerra che per la prima volta era totale, che entrava nelle case e portava morte e distruzione, la donna iniziò a superare il ruolo che gli era stato assegnato. Quando iniziarono i bombardamenti e si profilò la sconfitta, il disagio, che era latente nei primi anni di guerra, divenne, nelle masse femminili, mormorio, contrasto, dissenso, odio nei confronti del regime.
Da questo stato d'animo, misto anche alla inutilità di tanti sacrifici, nasce l'antefatto per la partecipazione convinta delle donne alla Guerra di Liberazione: occorreva, in tanta catastrofe e tragedia, non rimanere a casa, a pensare solo al proprio particolare, ma impegnarsi a lottare, a combattere, a partecipare. Da qui la partecipazione in prima fila nella crisi armistiziale, la partecipazione alla lotta partigiana, alla vita politica del Sud, al dramma della deportazione, ad aiutare prigionieri e perseguitati, alla lotta clandestina, e, quello che poi non risulterà, a mandare avanti la famiglia nelle difficoltà del momento.


Scheda n.5 L'Armistizio dell'8 Settembre 1943

Ad una attento studio delle fonti, sembra emergere il dato che le donne  siano le prime acomprendere che la guerra non è finita con l'Armistizio.  La caduta del regime il 25 luglio 1943 fu accolta come una conquista per porre fine alla guerra e molte donne, scese nelle strade, si esspressero con il grido di "guerra alla guerra", pensando ad un ritorno alla normalità ed ad una conquista di maggiori libertà. Corrado Alvaro ricorda una figura quasi emblematica di giovane madre che a Roma, a Campo dei Fiori, portava in braccio il suo bambino, all'indomani della caduta del fascismo, per fargli respirare l'aria della libertà. Con l'annuncio dell'armistizio, invece, non vi è esultanza. Comprendono subito che la guerra non è finita, e che si andava incontro a tempi ancora più duri, con una  presenza, quella tedesca, che di ora in ora diventava sempre più oppressiva. Compresero che i tedeschi, e i redivivi fascisti,  non lasciavano scampo; libere da obblighi militari e quindi sollevate da ogni "onore militare", ne tantomeno ingombrate dalla vergogna di un giuramento tradito, o di una alleanza che mai avevano sottoscritto, le donne diedero subito una pronta e franca risposta: in ogni parte d'Italia, spontaneamente, offrirono ai militari sbandati ogni sortadi aiuto e li consigliarono e li sollecitarono a sottrarsi alla cattura, premessa per una sorte che sicuramente non poteva che essere atroce. Si assiste, in quel settembre 1943 ad una sorta di "maternage di massa" Le donne cercano di contrastare la deportazione dei militari in Germania, che alla fine risulterà di oltre 600.000 unità.Lungo le linee ferroviarie, nelle fermate delle stazioni, rischiando la vita, prestarono conforto ai deportati. e le testimonianze in questo senso sono migliaia.


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