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martedì 16 maggio 2017

Nascita ed evoluzione dei Reparti d'Assalto 1917



 di MASSIMO COLTRINARI*


Era evidente, nel 1917 la incapacità di tutti gli Eserciti coinvolti nella Prima Guerra Mondiale di trovare delle soluzioni tattiche volte ad uscire dalla guerra di trincea e, sul piano strategico, trovare soluzioni  affinché l’offensiva sia messa in grado di prevalere sulla difensiva e quindi, riportare la guerra in campo aperto, cercare la manovra e la libertà d’azione per conseguire un risultato positivo.
Un cenno è necessario circa le tre fasi della manovra di rottura.
a)              l’apertura della breccia, venne in un primo momento affidata all’Artiglieria
b) la seconda alla Fanteria
c) e la terza il dilagamento  e lo sfruttamento del successo alla Cavalleria
I risultati furono, come visto, tutti deludenti.
L’artiglieria non riusciva a distruggere l’ostacolo passivo; la Fanteria con i propri mezzi e con i procedimenti in vigore, non fu assolutamente in grado di muovere con rendimento operativo accettabile nel dedalo delle difese passive ed attive; la Cavalleria non riusciva a dilagare per effetto della incapacità di avere mezzi idonei.
Di fronte alle ecatombe di fanti, ai procedimenti della Fanteria, le cui ondate successive si accavallavano l’una sull’altra la seconda calpestando i morti della prima e si otteneva la conquista di qualche decina di metri, assolutamente insignificanti sul piano tattico e sul piano strategico, tutti gli Stati Maggiori degli Eserciti coinvolti nel conflitto erano alla ricerca di una soluzione affinché si potesse ritornare a manovrare in campo aperto, con perdite minime, e riportare la lotta a livelli accetabbili
I Britannici trovarono una soluzione per questo aspetto “inventadosi”  una nuova specialità della fanteria, quella “carrista”. Non vi è lo spazio per parlare di questa invenzione, (si è già accennato alla Battaglia di Cambrai).  E’ però necessario dire che è consequenziale il fatto che i Britannici avendo a disposizione un apparato industriale che permettesse soluzioni di questo tipo, ovvero il ricorso allo strumento meccanico, poterono avviare la sperimentazione di questa soluzione e non di altre.  
 I Tedeschi e gli Austriaci, pur avendo anche loro a disposizione di un apparato industriale tale che era in grado di mettere a disposizione i “tank”, ricorsero, per libera scelta, alle “Strumtruppen”, alle truppe d’assalto, ovvero specializzando ancora di più le unità di fanteria.
Di queste truppe d’assalto se ne potrebbe parlare a lungo; qui si può dire che i nostri nemici di allora ricorsero allo strumento “umano” e non “industriale”  per risolvere il problema tattico.
Il Comando  Supremo Italiano non aveva scelta: non aveva alle spalle un apparato
Industriale e le materie prime  tale da poter fare degli esperimenti  costosi quanto impossibile, se dati esisti positivi, da trasformare su larga scala. Ammesso quindi che erano disponibili risorse materiali tali da poter mettere in esecuzione un piano di un carro armato, chi avrebbe poi trovato le risorse per produrlo su larga scala?
Le soluzioni erano quindi basate sull’impiego “uomo”, l’unica risorsa che si aveva in abbondanza.
 Un primo tentativo fu la corazzatura dell’uomo. In pratica si voleva dare più protezione al fante. Le famose corazze “farina” discendono da questo assunto: m il fante”corazzato” o “calafato” era poi troppo appesantito per lanciare un assalto su larga scala e conquistare posizioni importanti. Le corazza, con gli scudi, e le pinze taglia fili non si mostrarono all’altezza delle risposte che si attendevano. Queste armi non risolvevano in nessuna maniera il problema tattico in essere.
Attraverso un processo basato sulla osservazione e in virtù di “pionieri dell’idea” che ci sono sempre nel nostro Esercito, cercarono di proporre soluzioni basate su nuove concezioni tattiche nell’assalto.
Abbiamo quindi la formazione di una nuova specialità della Fanteria , quella dell’Assalto”, anticipando quanto diremo in seguito,  che vide il suo massimo fulgore nell’anno delle battaglie difensive d’arresto e quello della offensiva finale, ovvero dal novembre-dicembre 1917 e alla vittoria del 1918.
 La specialità della fanteria per questo ultimo anno di guerra, fu quella che comunemente si definiscono “fiamme nere”, ovvero “gli arditi”, diretta espressione della fanteria di linea, secondo la tradizione ottocentesca, ma che inglobavano tra di loro anche gli “arditi”, le “truppe d’assalto” di alcune specialità della fanteria, come gli Alpini , le fiamme “verdi”, e i bersaglieri “, le fiamme “cremisi”.
Gli inizi
Queste truppe d’assalto dovevano, secondo una elaborazione che prese le mosse nel 1916 dalle attività primordiale del tenente Cristoforo Baseggio, un volontario di 46 anni, che operò con quello che informalmente venne chiamata “Compagnia della Morte”, che operò solamente con compiti di esplorazione oltre la prima linea, ma che fu carente di due aspetti fondamentali delle truppe d’assalto, ovvero il peculiare addestramento e le atipiche modalità di impiego, per non parlare dell’equipaggiamento che era quello normale della fanteria di linea, e non particolarmente studiato.
Nell’ambito della 12^ Divisione si sviluppò il concetto di “pattuglia eletta”, ovvero di specialisti che, precedendo le ondate d’assalto, dovevano tagliare i fili dei reticolati far saltare ogni ostacolo passivo e quindi agevolare la progressione delle ondate sopraggiungenti di fanteria. Questa soluzione trovò l’opposizione del Gen.Capello, comandante della 2° Armata dal quale dipendeva la 12a  Divisione il quale non voleva la non continuità tra l’azione della artiglieria e quella della fanteria, ovvero nessun momento di arresto tra le due fasi. La proposto non fu totalmente bocciata ma integrata. Capello con una lettera dell’11 luglio 1916 al Comando della 3^ Armata accolse in parte il concetto di “pattuglia eletta” le quali però dovevano muovere alla testa delle ondate d’assalto rompendo le barriere che ancora ne ostacolano l’avanzata e precedendole nella trincea avversaria. Capello concepiva queste  unità come “speciali pattuglie composte da militari arditi” destinate alle imprese più pericolose  ed esaltanti.
 Su queste intenzioni si inserisce l’azione del gen. Francesco Saverio Grazioli il quale, dopo aver presentato un progetto incentrato sulla idea di formare una brigata speciale composta da 2/3 di soldati nazionali ed 1/3 da ascari o libici, con compiti di rottura, progetto che non fu accettato, al comando della Brigata Lambro avviò autonomamente una sperimentazione che  portò alla creazione di formazioni aventi compiti di rottura , quali teste d’ariete delle colonne d’attacco.
Armati alla leggera, con sole bombe a mano ed armi bianche, questi drappelli dovevano muovere per primi, piombare risolutamente attraverso i varchi nelle trincee nemiche e fare strada al corpo d’assalto[1].
Il problema che Grazioli voleva risolvere era quello di andare oltre le “spallate” attraverso la trasformazione radicale dei metodi di impiego della fanteria; arrivare a condurre una guerra di movimento, manovrata, in terreno organizzato, come lo era stata per tutto l’ottocento. E’ quanto in Francia si cercava di fare con l’impiego del carro armato e in Germania con l’addestramento e l’azione delle squadre d’assalto.
 Le truppe d’assalto dovevano essere la risultante di una selezione molto accurata sugli elementi della Fanteria di Linea, selezionarli ulteriormente,  dotare questi reparti di capacità di condurre con propri mezzi di combattimento, appositamente studiati, manovrando non intorno ma all’interno delle posizioni sistemate a difesa del nemico, per creare quelle condizioni ottimali affinché le ondate della fanteria già pronte allo scatto potessero irrompere nella posizione con il minor enumero di ostacoli, affinché l’attacco, con perdite minime, avesse successo e creare le condizioni per lo sfruttamento in profondità.
 Davanti alla necessità di cambiare i metodi di attacco, che era evidente rimanevano infruttuosi ogni idea o iniziativa era presa in considerazione. Tra le tante, di cui qui non vi è spazio,è interessante notarne notizia di due in particolare:
-                 la disposizione che accordava premi in danaro e licenze particolari per atti di valore e spirito di iniziativa
-                 dare un distintivo da braccio a coloro che mostravano particolari dori di ardimento nel combattimento, in modo tale che nella compagine del battaglione si potessero ben individuare. Sono gli “arditi”[2]
Con la concessione del distintivo e la relativa codificazione per ottenerlo, prende consistenza la figura dell’ardito. L’ardito è un combattente sperimentato, che più volte si è volontariamente cimentato nelle imprese più pericolose ed al quale guardare al momento in cui ci sia da tentarne delle altre. Rimane però un soldato tra i suoi nella sua unità: il suo campo d’azione è la trincea e la terra di nessuno, addestramento e equipaggiamento non sono diversiva quelli della massa della fanteria. Rappresenta quel filone di pensiero che mira più ad elevare il livello qualitativo del fante, che creare un nuovo combattente e quindi una nuova specialità.
L’ “ardito”quindi non è ancora l’uomo delle truppe d’Assalto, anche se ne rappresenta la premessa. A testimoniare questo vi è il fatto che non furono create apposite unità organiche nell’ambito del battaglione o della compagnia. Quindi per la nascita delle truppe d’assalto occorre aspettare il 1917.

LA CIRCOLARE 6230 DEL MARZO 1917 E LA NASCITA DEI REPARTI D’ASSALTO IL 5 LUGLIO 1917
Il gen. Cadorna, nel marzo 1917 emana una circolare che ordinava ai reparti dipendenti di prendere a modello un programma di addestramento a compiti d’assalto speciali catturato al nemico relativo alle formazioni di unità di arditi.
Nella circolare si legge: “ Risulta da ripetute dichiarazioni di prigionieri che presso l’esercito nemico so stanno organizzando speciali riparti di arditi (sturmabteilung) dalla forza di 30 uomini per ogni battaglione di fanteria formati da uomini scelti ed arditi, con lo speciale incarico di precedere i battaglioni nell’assalto di posizioni nemiche, di aprire varchi nei reticolati
e di sorprendere l’avversario con violento lancio di bombe a mano. I reparti in parola vengono addestrati in speciali corsi della durata di 3 settimane specialmente al lancio di bombe a mano …. Ed alla distruzione di reticolati. Gli uomini appartenenti a questi reparti godono di uno speciale trattamento del rancio e nei servizi, avendo vitto migliore e più abbondante ed essendo dispensati da qualsiasi servizio di guardia e di fatica. La notizia viene segnalata per il caso possa essere presa in considerazione per le nostre truppe”.[3]
Sulla base di questa circolare  si tennero le prime esercitazioni aventi per base i criteri tattici elencati nella circolare nel giugno del 1917. L’attività del magg. Bassi trovò ampia conferma in queste esercitazioni che si svolsero alla presenza del gen. Capello e di Cadorna stesso e che portarono  alla creazione del I reparto d’Assalto  in forma ufficiale il 5 Luglio 1917.
Il quesito che nasce intono alla nascita delle “fiamme nere” è interessante: Queste furono il frutto dell’evoluzione del pensiero tattico italiano o si ispiravano ad un tipo di organizzazione già attuata dal nemico?
Come al solito  non esiste una risposta unica. Se da una parte, nel vedere lo sviluppo successivo sembra proprio che peculiari autonome forme di attuazione tattica nelle formazioni italiane, rispetto alle truppe d’assalto tedesche, non ve ne siano; d’altro canto il processo evolutivo dei precursori italiani e di alcuni ufficiali illuminati crearono l’humus favorevole al germogliare dell’idea che maturò in forma ufficiale il 5 luglio 1917.
 La polemica è ancora aperta, come tutto quello che concerne le truppe speciali. Se la circolare cadorna del marzo del 1917 può suggerire che le nostre truppe d’assalto siano la copia delle “sturmtruppen”  austro-ungariche, le circolari attuative del giugno 1917 sono la risultante del pensiero di nostri ufficiali tanto che si può affermate che le nostre truppe d’assalto ebbero una fisionomia propria con caratteristiche originali tali da distinguerle dalle unità austriache. Non per altro il Comando Supremo si premurò di salvaguardarne la specificità mantenendo sempre nettamente distinti sotto tutti i punti di vista queste unità dai plotoni arditi rigettando ogni forma di parificazione.
Entrambi gli Eserciti erano alla ricerca di una soluzione al problema centrale nel 1917: quello di riuscire a superare la guerra di logoramento ed uscire a manovrare in campo aperto: è normale che incentrando tutto sull’Uomo, molte delle soluzioni adottate si assomigliassero.  
Per ottenere i reparti d’assalto era necessario creare il combattente d’assalto
Per ottenere questo era necessario una preparazione fisica del personale estremamente accurata, accanto vi doveva essere un equivalente preparazione spirituale che doveva essere integrata ad un addestramento individuale e di reparto molto accurato, con metodi innovativi, condotto con larghezza di mezzi e con una interista fino ad allora non conosciuta. Era consequenziale che l’equipaggiamento e l’armamento non potevano non essere modificato. L’uniforme doveva lasciare la più ampia libertà di movimento, comoda, funzionale, che non doveva assolutamente pagare alcunché alle regole di estetica molto rigide in quel tempo.

Il combattente “ardito” che era scelto tra i migliori del suo reparto, gratificato con riconoscimenti particolari  addestrato in modo sempre più selettivo, sono le premesse per la soluzione ordinativa, cioè la creazione della unità d’assalto, vera specialità dell’arma di Fanteria
I reparti d’assalto
Il trattamento economico
La circolare 111660 R.S del 26 giugno 1917 del Comando Supremo autorizzava il Comandi di armata a costituire a partire dal 1 luglio unità speciali della forza di almeno una compagnia formata esclusivamente da volontari, tratti prevalentemente dia bersaglieri.
Il trattamento di questi reparti fu sanzionato con la circolare 106890  che regolava il tema degli alloggiamenti, dei turni di servizio del trattamento economico, premi distintivi da concedere. La circolare n. 21000 affrontava e regolava il tema dell’addestramento , che si imperniava su un “istruzione generale” e su “una istruzione speciale”
Uniforme
Con la circolare 117050 R.S. Equipaggiamento armamento e composizione organica dei riparti di assalto  emanata il 21 settembre 1917  si dava regolamentazione alla uniforme dei reparti. Si sanzionava l’adozione della giubba da bersagliere ciclista con bavero aperto e rovesciato su cui erano applicate le “fiamme nere” , elmetto con il fregio dell’arma di provenienza, moschetto modello 91, il pugnale, un paio di pinze tagliafili una sacca porta bombe, maschera antigas, e vanghetta erano in dotazione. Un equipaggiamento ed armamento snello e funzionale. Il fez  nero, proposto in alternativa all’elmetto. Nel fez doveva essere portato il numero del reparto in carattere romano sovrastato dalla corona reale. Gli ufficiali potevano portare il berretto grigioverde con lo stemma degli arditi in lana nera.  fu adottato con la circolare del 1 agosto 1918 “Uniforme dei reparti d’assalto”  che rappresenta il punto di arrivo di tante proposte.
 La soluzione che si andava cercando per raggiungere lo scopo fu focalizzata anche all’indomani di Caporetto, nel clima di ricostruzione, di persuasione e ferma volontà instaurato da Armando Diaz. Quello che si era seminato nella primavera dell’ estate del 1917 fu raccolto con frutti abbondanti: fu inventato attraverso ipotesi e sperimentazioni un nuovo tipo di combattente, a cui si richiedevano audacia ed iniziativa, e che si impiega non a massa o in base a schemi preordinati ma a ragion veduta, dopo un processo decisionale e di comando estremamente consequenziale, sapendo di utilizzare e spendere “personale” pregiato ed altamente motivato, di difficile sostituzione nel breve periodo.
Si cercava di rafforzare lo spirito di corpo in ogni particolare.[4]
 Questo impiego era preceduto da una preparazione minuziosa, che includeva un accurato studio preventivo del terreno e dell’obiettivo. Si arrivò al punto di simulare l’operazione su una replica per quanto possibile fedele delle posizioni da attaccare, e nel contempo coordinare i tempi con le ondate a rincalzo per affinare sempre più l’azione.
 Oggi questa metodologia appare scontata. Nel 1917 era avveniristica: non si aveva la minima cura di preparare l’ azione: si doveva andare avanti, a prescindere. Questo non perché si era ottusi, ma in quanto risultato del retaggio ottocentesco, che le nuovi armi aveva reso tragico e obsoleto.
 Più che uomini speciali, che ha sempre una connotazione di eroicità che depone male per una organizzazione efficiente e realista, uomini eccellenti, frutto di selezione, secondo la meritocratica curva di Gauss. I compiti erano particolari e difficile e quindi era normale che questi uomini eccellenti  non fossero in linea con i canoni della disciplina in vigore nel regio esercito. Ma tutto quello che è innovativo porta ad andare fuori dagli schemi e questo è sempre compensato dalla validità degli Ufficiali, che sanno tenere alla mano uomini di questa elevatura.
 Non per altro dalla file degli Ufficiali delle truppe d’assalto quali il gen. Saverio Grazioli, che può essere considerato l’ufficiale “menager” ante litteram, il col. Ottavio Zoppi, il colonnello Giuseppe Bassi e il ten. col Giovanni Messe, futuro Maresciallo d’Italia, il ten. col Lorenzo Dalmazzo e tanti altri che saranno poi l’ossatura del Corpo Ufficiali nel prosieguo della loro carriera.
Il nemico in breve conobbe l’azione dei reparti di d’assalto. Il Bollettino n. 2372 della 2aArmata intitolato “Gli arditi e la loro tattica nel giudizio e attraverso le impressioni degli ufficiali e della truppa nemica”, rileva che gli Austro-ungarici avevano preso coscienza che si era di fronte ad una nuova tattica, ad un nuovo modo di combattere fondato sulla ricerca della sorpresa, sull’urto improvviso  e violento, sull’aggiramento, dei punti forti della difesa e su una penetrazione in profondità  diretta a bloccare i rincalzi ed ogni tentativo di contrattacco.
 Impressionate fu l’impatto psicologico dell’uso del pugnale. L’immagine dell’ ardito ne esce con un alone di leggenda
 “Un qualcosa di leggendario pare che comincia a circolare presso il nemico questi nuovi reparti d’assalto che per alcuni sarebbero costituiti da “alpini” per altri da “bersaglieri” e per la maggioranza sarebbero un copro speciale di “siciliani” elemento questo che sembra rappresentare presso il nemico l’essenza del carattere meridionale, ardente, impulsivo, irruento. La maestria nell’uso del pugnale che gli arditi serrano tra i denti per avere libere le mani al getto delle bombe, forse richiama l’immagine del coltello per cui gli italiani in genere ed i meridionali in specie sono all’estero sfavorevolmente reputati e concorre ad ispirare di tali nostre truppe un salutare terrore”
Quindi sotto il profilo ordinativo, il passaggio dalla fase di sperimentazione e ricerca del “soldato ardito” con le varie procedure d’impiego ed equipaggiamento ed armamento, fu molto breve.
Nell’ottobre 1917 le truppe d’assalto stavo per essere impiegate su larga scala, quando sopraggiunse la ritirata al Piave.
Alla vigilia di Caporetto presso i Corpo d’armata erano stati co
stituiti 17 reparti d’assalto . Un quadro di situazione,il 4 ottobre 1917, da l’idea che ormai dal punto di vista ordinativo la specialità era in ascesa.
 Con  Caporetto tutto viene messo in discussione; prende piede anche l’idea di cancellare dall’ordinamento i reparti d’assalto. Sono infatti emerse delle “leggende nere” come quella che durante la ritirata i reparti d’assalto si siano abbondanti ad atti di saccheggio e violenze gratuite. Emergeva il problema della disciplina, molto spinoso, che  alimentava tante dicerie. I primi a farne le spese furono proprio i reparti d’assalto della 2a Armata al centro di troppe leggende, per i quali non si può escludere che la decisone di scioglierli e riorganizzarli in due nuovi battaglioni fosse anche suggerita dalla volontà di dare un chiaro segnale per il futuro. Era però indiscusso che le prestazioni in combattimento di tali unità erano eccellenti.

All’inizio del 1918 si hanno la costituzione delle grandi unità d’assalto e  a metà anno si trasformarono queste unità da strumento di rottura a strumento di manovra., fino al punto di valorizzare la connotazione di unità “leggera”  per trasformarle ed levarle in formazioni “mobili”, cosa questa che fu sperimentata nelle ultime fasi della battaglia di Vittorio Veneto. Questa evoluzione non si ebbe se non tra contrasti e ripensamenti. Vi era una sorta di disagio di chi intendeva la specialità una elite. Passare ad unità organiche di livello superiori significava annacquare gli approcci e le motivazioni dei puri della prima ora.
La loro eredità
Come tutte le innovazioni che vengono introdotte sulla spinta delle necessita della condotta della guerra,  che rappresentano un a spinta in avanti della Arma di provenienza, anche quella delle truppe d’assalto subì questo destino. La Fanteria, che la guerra mondiale aveva mortificato, riducendola a svolgere un compito inconcludente, a fronte di perdite insostenibili, non poteva lasciare cadere l’esperienza delle truppe d’assalto. Molto di loro fu sorbito dall’Arma, che ebbe una evoluzione positiva; conseguentemente gli “arditi” furono messi quasi in liquidazione e come tali ebbero molte ripercussioni negative. I reparti d’assalto furono rapidamente sciolti nell’immediato dopoguerra ma tutti i suoi elementi ritornarono nelle unità di fanteria di linea, elevandone il tasso di efficienza. Non si vuole entrare nelle vicende del dopoguerra che non è compito di questo convegno. Ma un dato tocca cogliere: quando una parte di un tutto viene assorbita dal tutto per migliorarne la qualità e l’efficienza, questa parte se ha a cuore i destini generali non deve opporre resistenze di sorta in nome di aspetti, appunto, di parte. Così  le truppe d’assalto: riassorbiti dalla fanteria da dove provenivano, come la carriera dei suoi Ufficiali sta a dimostrare, si devono vedere come un esperimento di guerra ottimamente riuscito sotto il profilo umano, del valore del soldato, della abnegazione, della dedizione che rimane una die fiori all’occhiello delle nostre Forze Armate e un fatto quanto mai da non dimenticare nella storia della nostra Grande Guerra. Ma se visto come strumento per superare lo stallo tattico, per superare la superiorità della difesa sull’offesa, rimane uno sperimentazione che lascia perplessi, soprattutto se messa in relazione alla paritetica sperimentazione britannica dell’uso dei carri armati.


* Direttore del Centro Studi sul Valor Militare
(direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org)


[1] Grazioli F.S., Progetto di attacco a fondo con una brigata in formazione speciale, Aprile 1916.
[2] Il distintivo viene accordato con la circolare n. 15810 del 15 agosto 1916 2 Norme per la concessione del distintivo per militari arditi. Il distintivo per “militari arditi” è costituito dalle cifre reali ricamate in argento sormontanti il nodo Savoia e andava portato sulla manica destra della giubba, a metà distanza dal gomito e la spalla. Il suo simbolismo, che chiama in causa la casa regnate ne sottolinea l’alto significato a cui corrispondono norme precise per la sua concessione. Il distinti vo viene concesso a seguito di particolari azioni, tutte pericolose e speciali: quello che conta è la volontarietà, la presenza di arditezza e di coraggio che il protagonista deve aver mostrato.
[3] Promemoria del reparto Operazioni del Comando Supremo alla segretaria del capo di Stato maggiore dell’esercito in data 23 gennaio 1917 reparti d’assalto nell’esercito austro-ungarico
[4] Un esempio può essere fatto. Si riporta la nascita del grido e del movimento a cui si sarebbe presto accompagnato. “L’ A Noi” fu infatti prima di ogni altro reparto, il grido di guerra del XXVII. Si era nel febbraio 1918: in quei giorni il Maggiore ( che in realtà era il maggiore Luigi Freguglia, comandante del XXVII Reparto d’Assalto, cui l’esotico “Urrah” allora in uso nelle grida, scottava le labbra e provocava un senso mal celato di ripugnanza, stava ricercando coi suoi ufficiali un motto con cui lo si potesse sostituire. “Non sappiamo che farcene di questo internazionale “urrah!”. Vogliamo un motto italiano; qualcosa che racchiuda nel breve giro di uno o due parole il nostro programma di vita”. Fu un gran frugare… la vittoria spettò tuttavia Fruguglia. “ A Noi.. vi piace? Non è questo il nostro momento? A chi sarà sempre riservata la gloria e la gioia di osare l’impossibile? A Noi. Acclamazioni entusiastiche ed urla a far cadere il soffitto: A Noi!… A Noi!…. A Noi!… E canti e bottiglie, alla mensa, a decretare un trionfo. L’indomani stesso, al comando al  “presentatarm” gli Arditi gridarono per la prima volta il nuovissimo grido. Effetto sorprendente . Messii sulla via dell’innovazioni, gli Arditi non si fermarono lì. Il capitano Anchise Pomponi ebbe la felice idea di sostituire al vecchio “presentatarm” col moschetto il gesto suggestivo del pugnale che si leva balenando nel pugno serrato . La prova d’insieme della Compagnia Monte Piana entusiasmò. Freguglia inoltra senz’altro regolare domanda di autorizzazione al Comando del XXVII Carpo d’Armata. La risposta non si fece attendere: lo “A Ni!” ed il “presentatarm ardito” ebbero così il riconoscimento ufficiale. Le notizie sono tratte da C.A. Muggio, in XXVII Battaglione d’Assalto, Milano. Ed. Carnaro, 1937 a pagina 100-101.
Dal Comando di corpo d’armata la proposta sarebbe arrivata al comando d ‘armata e da qui ai vertici del Regio Esercito mentre nel frattempo questa modalità di rendere gli onori si sarebbe diffusa per imitazione, da un reparto all’altro, come suggerisce la stessa fonte. Nell’aprile il reparto si spostava a Salzano Veneto affiancandoci per poco al XIII ed all’VIII. Qui l’entusiasmo e la bellezza degli Arditi di Freguglia operarono il contagio.

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