Cerca nel blog

venerdì 5 maggio 2017

USA: Il colpo in Siria e le ripercussioni.

GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE

Cooperazione con l'Accademia Congregazione Templare


Dalla Newsletter dell'Istituto Affari Internazionali
riportiamo il seguente articolo:


Usa nel ginepraio
Trump: Cento Giorni nel Medio Oriente
Laura Mirachian
03/05/2017
 più piccolopiù grande
“ …Non pensavo che fosse così complicato…”, diceva Trump l’altro giorno ai media. Sì, è complicato. Parlando di proiezione esterna in particolare, occorrono, tra l’altro, molto tatto e molte sfumature. Ma non troppe, perché occorre anche lucidità di pensiero e un minimo di strategia. Un equilibrio sempre difficile.

Concentriamoci per un momento sul Medio Oriente. Una regione in pieno travaglio, afflitta da contrasti, frustrazioni, rischio di frammentazione, sacche di povertà, disoccupazione, età media inquietante e al contempo invidiabile.

Il colpo in Siria e le ripercussioni
In Siria, Trump il 7 aprile ha battuto un colpo. Inaspettatamente. Non contro il sedicente Stato islamico, l’Isis, che pure è la sua dichiarata priorità, ma contro Assad. Ha bombardato la base di Shayrat (Homs), in risposta all’uso di armi chimiche a Khan Sheikoun (Idlib), o meglio alle emozioni popolari che esso ha suscitato.

La Russia, che non manca certo di apparati militari in area, non ha mosso un dito. Ha incassato, e sta forse pensando a quali prezzi dovrà pagare per l’auspicato riavvicinamento a Washington. Gli arabi del Golfo hanno applaudito. Israele ha tirato un sospiro di sollievo, ma riferito non ad Assad – bene o male “il migliore dei nemici” –, ma all’Iran.

Gli europei hanno abbozzato:Trump non si è coordinato con loro (dal suo punto di vista, perché mai?), ma usare armi chimiche è comunque proibito da un centinaio di anni. Le Nazioni Unite e il sistema di monitoraggio della Convenzione sulle Armi Chimiche stanno ancora accertando le responsabilità.

Sempre in Siria, Trump ha anche rafforzato la presenza militare a terra, ancorché non in prima linea. Devono averlo sconsigliato i vertici militari: meglio per ora attenersi ai raid aerei e alla copertura della cosiddetta Coalizione internazionale; poi si vedrà.

L’Isis finirà comunque per sgomberare i luoghi (Siria e Iraq) e la partita cruciale a Raqqa deve ancora cominciare. Basteranno per questo i validi combattenti curdo-arabi, ben pilotati e foraggiati? E pazienza per la Turchia, si potrà sempre recuperarla dopo, magari con garanzie di integrità territoriale e di zone di influenza da spartire con altri del vicinato.

Rovesciato il tavolo rispetto ad Obama
In ogni caso, con il repentino colpo su Shayrat, Trump ha già rovesciato il tavolo rispetto agli anni di Obama. Che aveva perseguito un meditato disegno, forse anche troppo sofisticato, ed era rimasto in mezzo al guado. Nel settembre 2013 aveva rinunciato ad un intervento militare per analogo attacco chimico a Goutha (nei pressi di Damasco). E sfumando l’obiettivo della prima ora di un ‘regime change’, aveva piuttosto puntato su un riequilibrio delle influenze in area tra Arabi del Golfo e Iran.

E anche per questo aveva sdoganato Teheran con l’intesa nucleare conclusa dai 5+1 (membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e Germania) nell’estate 2015. Ciò che aveva naturalmente suscitato il risentimento dei primi per l’evidente rischio di retrocessione strategica e le rimostranze di Israele, che nella prospettiva di un Iran nucleare e nell’attivismo di Hezbollah ai propri confini ha sempre visto il più forte rischio per il proprio futuro.

Obama aveva anche accettato de facto la presenza in Siria della Russia, giunta subito dopo, nel settembre 2015, con il suo arsenale militare, e con essa, almeno temporaneamente, il potere di Assad: una sorta di divisione dei compiti, io mi concentro sul terreno più familiare e interessante dell’Iraq, tu su quello più infido della Siria che conosci dal 1972.

E aveva instaurato con Mosca la necessaria collaborazione military-to-military per evitare incidenti nei cieli sempre più affollati di aerei e al contempo assidui contatti Kerry-Lavrov sul piano politico-diplomatico. Nel frattempo, l’opposizione siriana sostenuta dai referenti del Golfo e della Turchia era rimasta stretta tra i lealisti di Assad e relativi alleati e i jihadisti dell’Isis tracimati dall’Iraq nell’estate 2014 in concorrenza con gli affiliati ad Al-Qaida.

Trump torna in qualche modo alle origini. Arabia first. Israele first. Aspettiamo i seguiti.

Laura Mirachian, Ambasciatore, già Rappresentante permanente presso l’Onu, Ginevra.

Nessun commento:

Posta un commento