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domenica 2 aprile 2017

Il Conflitto Siriano: tra pressione interna e contrasti religiosi latenti. Il Futuro è ancora una incognita

GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE


di Dante Gatta*


Pochi giorni dopo il sesto anniversario del conflitto siriano, cominciato ufficialmente il 15 marzo 2011, una soluzione pacifica tesa a stabilizzare la situazione appare ancora lontana. Ad oggi la Siria, più che come uno Stato, si presenta come un territorio frammentato in varie componenti non precisamente delimitabili, caratterizzate da un elevato livello di dinamicità, ovviamente legato al continuo susseguirsi degli eventi bellici. Un contributo fondamentale, all'analisi storica ed attuale della guerra in Siria, ci è stato fornito dall'Archimandrita Padre Mtanious Hadad, rettore della basilica di Santa Maria in Cosmedin di Roma, intervenuto al convegno “Comprendere la Siria: dal Presente al Futuro”. Nato a Ma'loula, una città non lontana dalla capitale Damasco, Padre Hadad è testimone diretto della realtà siriana, condizione avvalorata dal suo essere melchita, cioè un rappresentante di lingua araba della Chiesa cattolica orientale. Egli innanzitutto sottolinea come, per comprendere molti degli odierni conflitti in Medio Oriente, e nello specifico quello siriano, sia necessario fare riferimento alla storia di questo fondamentale quadrante del globo. Già a partire dall'esperienza dell'Impero Ottomano, l'intento chiaro, risalente alla locuzione latina “divide et impera”, fu appunto quello di creare e far risaltare le diversità, sia che queste riguardassero le varie religioni sia che coinvolgessero le confessioni interne ad una stessa religione. Sulla medesima linea strategica degli ottomani agirono le potenze europee in seguito alla I Guerra Mondiale, quando operarono la ridefinizione (e spartizione coloniale) del Medio Oriente, di cui ancora oggi buona parte della popolazione paga le conseguenze. La Siria è naturalmente figlia di questa esperienza, rappresentandone uno dei casi più emblematici. Negli anni '70 ci fu la presa di potere della famiglia Assad, musulmani di corrente alauita (e quindi sciiti) in un paese la cui maggioranza è invece composta da sunniti e che conta anche la presenza di numerosi cristiani. Con gli Assad, e dunque il partito laico Ba'th, le divergenti posizioni religiose si erano progressivamente smussate di fronte alla priorità che il governo conferiva al diritto e alla legge. In tal senso c'è tuttavia da sottolineare come, per ammissione dello stesso Padre Hadad, non possiamo sicuramente parlare di sistema totalmente democratico, quanto piuttosto di governo “dalla mano pesante”, condizione però, a suo avviso, necessaria affinché non emergessero nuovamente le latenti condizioni di contrasto intestino. Per Hadad le dinamiche internazionali post 11 settembre e l'intento di conferire maggiore sicurezza allo Stato d'Israele hanno contribuito a far sì che nella comunità internazionale, a guida USA, venisse maturata la decisione di far cadere i governi di tre Stati chiave della zona: Iraq, Egitto e Siria. L'esplodere delle cosiddette (strumentalizzate) “primavere arabe” è stato funzionale a questa strategia (riguardo Egitto e Siria) ed ha comportato il precipitare degli eventi, tanto che, nel 2011, neppure le imminenti modifiche costituzionali annunciate da Bashar al-Assad furono sufficienti per evitare la guerra. Seppure, dunque, è stata la volontà delle potenze internazionali la chiave del conflitto, nonché la causa del riaffiorare degli scontri confessionali tra sciiti e sunniti, Padre Hadad non nega il successivo ruolo fondamentale che ha avuto la stessa componente confessionale, tanto che, come se non bastasse, l'accanimento si è esteso anche alle comunità cristiane in particolare per mano di Daesh. Al di là della nota cronistoria degli eventi del conflitto siriano e degli schieramenti che si sono formati, è interessante far emergere dalla disamina di Padre Hadad due tematiche fondamentali che oltre ad essere immanenti nel conflitto siriano, ci permettono anche di intraprendere osservazioni che siano più generali rispetto al solo caso in questione. Tali tematiche sono: la propaganda mediatica e le migrazioni. La propaganda è fondamentale sia affinché si riesca a giustificare (mediaticamente appunto), di fronte agli occhi dell'opinione pubblica, la bontà di un conflitto, sia affinché si cerchi di orientare il senso comune verso il sostegno nei confronti di un determinato schieramento. Nel caso della Siria la macchina mediatica si è mossa affinché il governo di Bashar al-Assad perdesse legittimazione e affinché i ribelli venissero visti come moderati e futuri portatori di diritti e libertà. A proposito del ruolo avuto dai media nel conflitto siriano gli esempi forniti da Padre Hadad sono numerosi. In primis vi è il canale esclusivo di provenienza delle informazioni riguardanti la situazione in Siria, tale canale è l'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, la cui indipendenza è stata fortemente messa in discussione data la vicinanza col governo britannico. A ciò si unisce la mancanza di informazioni dettata dal non casuale ritiro degli ambasciatori europei dalla Siria stessa. I media avrebbero dunque contribuito in maniera decisiva a creare una narrazione poco affine alla realtà effettiva, e per farlo, oltre a manipolare informazioni, hanno sottaciuto riguardo i finanziamenti da parte delle potenti monarchie del Golfo a beneficio di cui i gruppi ribelli e terroristici, così come sono rimasti ambigui riguardo il ruolo di USA e Turchia nel conflitto. Ultima manipolazione, in ordine cronologico, è data dall'incondizionata esaltazione dei cosiddetti Caschi Bianchi. Per quel che concerne l'altra tematica, quella delle migrazioni, c'è innanzitutto da registrare che a causa del conflitto, ben 11 milioni di siriani sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni. Molti di essi, a causa di problemi economici, si trovano ancora in Siria nella condizione di “sfollati”, mentre una porzione ha lasciato il paese. Oltre a Stati limitrofi, quali Libano e Giordania, parte delle migrazioni hanno avuto come destinazione l'Europa. Per padre Hadad neanche tale evento sarebbe casuale, bensì frutto della volontà dei poteri internazionali, visto che masse islamiche in arrivo nel vecchio continente, oltre a creare malumori, andrebbero a costituire quello che Marx chiamava “esercito industriale di riserva”, che contribuirebbe a correggere al ribasso salari e diritti dei lavoratori, minando così il tessuto economico e sociale europeo. L'accorata analisi fatta da Padre Hadad sulla situazione siriana oltre ad essere comprensibile (per la sua origine siriana e per il ruolo che egli attualmente ricopre) è sicuramente apprezzabile, nonostante possa peccare di alcune semplificazioni. Rientrante in questa categoria c'è sicuramente la sottovalutazione dell'Esercito siriano libero, poiché è limitativo considerarlo esclusiva proiezione della volontà internazionale, come fosse completamente avulso rispetto ad una realtà interna, la quale comunque (seppur minoritaria) esprime dissenso. Inoltre, probabilmente, non vengono evidenziati con il medesimo vigore utilizzato nei confronti degli “avversari” gli errori commessi dal governo siriano, né sottolineato a sufficienza il fatto che la Russia (principale alleato della Siria), allo stesso modo delle altre potenze, si stia muovendo anch'essa soprattutto in funzione dei propri interessi. Detto questo c'è però da costatare come molti eventi abbiano avvalorato il punto di vista di padre Hadad (il quale esprime questa prospettiva da diversi anni). Non a caso, mentre fino a qualche tempo fa la sua posizione destava stupore e polemiche, oggi invece, ciò non avviene. Questo poiché la suddetta mistificata narrazione dei media, dopo che per ben sei anni le ostilità si sono trascinate stancamente, è andata via via scemando, insieme alle stesse speranze di rovesciare il governo di Bashar al-Assad in tempi ragionevoli. Inevitabilmente, all'affievolirsi della strategia impostata sul piano internazionale, è corrisposto il rafforzamento del governo centrale di Damasco, che ha resistito militarmente e non ha perso il consenso interno di cui godeva. Parlando del conflitto in sé, nell'ultimo anno e mezzo la situazione ha subìto una svolta decisa a favore dell'esercito ufficiale siriano, coadiuvato dalle forze militari russe, verso la riconquista di territori occupati dai ribelli (anche da Daesh). Nonostante ciò una soluzione definitiva appare essere ancora molto lontana, come hanno dimostrato i deludenti esiti dei colloqui di Astana e Ginevra svoltisi negli ultimi mesi. La Siria attuale è una Siria frammentata, anche se apparirebbe senza senso la formalizzazione di tale divisione, dal momento che le frammentazioni attuali (forse ad eccezione del territorio controllato dai curdi) non corrispondono affatto ad una logica e coerente partizione né su base etnica né su base religiosa. In conclusione, in via più generale, c'è un significativo paradosso che però rischia di emergere dall'apprezzabile disamina fatta da Padre Hadad, paradosso che prescinde dalla situazione della Siria in sé, ma presenta tratti più diffusi. Questo genererebbe proprio dall'enfasi con cui Hadad sottolinea le difficoltà di adattamento che le popolazioni islamiche troverebbero migrando in occidente e di come tali difficoltà sarebbero dovute all'incapacità del popolo islamico stesso di accettare di essere minoranza in un paese straniero, così come il rifiuto di assimilare norme di diritto potenzialmente non del tutto coerenti con il Corano. Questa impostazione infatti cela una critica di stampo religioso che, oltre a chiudere le porte ad ogni forma di integrazione e di avvicinamento tra religione islamica e le altre, potrebbe avere un effetto ancor più deleterio, cioè quello di esacerbare gli animi dei popoli occidentali nei confronti di quelli islamici. E spesso, è proprio attraverso questa prospettiva, ed è qui che emerge il paradosso, che i media hanno costruito (e potranno continuare a farlo in maniera ancor più avvolgente) delle narrazioni volte a maturare consensi per ribaltare regimi scomodi, con la scusante che si trattasse di governi tirannici che controllano popolazioni che nell'immaginario collettivo (quello, per l'appunto, mediaticamente costituito) appaiono ormai incontestabilmente come nemiche (quelle islamiche). Questo a dimostrazione di come le strategie legate agli interessi economici e geopolitici risultino complesse e sfuggenti, e, soprattutto, di come ad alimentarle, in maniera del tutto involontaria, possano essere addirittura soggetti che avrebbero invece la chiara intenzione di contrastarle.

* Dante Gatta.
nato il 31/01/1991. Laureato triennale e ­magistrale alla Sapie­nza: laurea triennale­ in Scienze politiche­ e relazioni internaz­ionali con tesi in ge­ografia politica ed e­conomica (votazione f­inale 109) ; laurea m­agistrale in Scienze ­della Politica con te­si in geopolitica (v­otazione finale 110 c­on lode).

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