DIBATTITI
La svolta di Salerno ed il Partito d'Azione
Quando Palmiro Togliatti salvò la Monarchia
Due grandi occasioni perse
Massimo Coltrinari
L’azione delle forze moderate e conservatrici, la diffidenza degli Alleati, soprattutto Britannici, l’azione di Palmiro Togliatti, che vedeva nel Partito d’Azione un pericoloso partito di sinistra concorrente, che proponeva al proletariato e alle classi povere una politica di miglioramento senza la durezza e la spietatezza adottata dai Partiti Comunisti al potere, politica basata sul consenso e la partecipazione, portarono alla sconfitta, e quindi all’inizio della dissoluzione, del Partito d’Azione.
Nella contingenza del 1944 il Partito d’Azione, nel combattere un fascismo senza Mussolini, chiedeva l’’abdicazione immediata del Re e del Principe ereditario, la costituzione di una Reggenza civile, in contrapposizione totale ad una reggenza dinastica, e la formazione di un governo “dei migliori”, democratico ed antifascista. Primo passo di questo assunto fu la costituzione della Giunta Esecutiva Permanente costituita dopo il congresso di Bari del gennaio 1944. Questa Giunta, tramutatasi in un governo di unità nazionale laico, a guerra finita, doveva convocare l’Assemblea Costituente che avrebbe deciso sull’assetto costituzionale dello Stato.
Il nodo fondamentale era la reggenza civile, che interrompeva la continuità Dinastica, e che poneva le basi di un nuovo Stato che nulla aveva a che fare con il precedente, ovvero la sostanziale liquidazione di Casa Savoia.
Era, in sostanza, quanto proponeva la sinistra italiana impersonificata da Giuseppe Mazzini, e tutta la componente mazziniana nel 1860 dopo la vittoria garibaldina nel meridione per la costituzione di una Repubblica al posto del Regno delle Due Sicilie. Un nuovo Stato, su nuovi basi, non la continuazione di un Stato preesistente. Del resto la stessa soluzione era stata adottata con gli Stati preunitari italiani. I Lorena in Toscana, Il Papa Re nell’Italia centrale, gli Estensi a Parma e Modena, gli Austriaci nel Lombardo Veneto: della loro struttura ordinativa statale non fu conservato nulla. Doveva essere sia nel 1860 che nel 1944 la volta dei Savoia e del loro Stato.
Nel 1860 questa soluzione di sinistra a Napoli fu accantona con l’arrivo delle truppe Regie nel sud (Incontro di Teano), appoggiate dalle potenze di allora; nel 1944 questa proposta fu accantonata oltre che dalla azione della componente monarchica e dalle forze democristiane e moderate, dalle Potenze vincitrici, soprattutto della Gran Bretagna, ma anche dalla componente comunista, impersonificata da Palmiro Togliatti, ( La svolta di Salerno) che non tollerava forze concorrenti a sinistra. La intolleranza comunista si manifestò già nei primi mesi post armistiziali, impedendo a sinistra un confronto che avrebbe sicuramente giovato alle classi proletarie del meridione che si dibattevano nella più totale miseria, e favorendo in realtà un potere che a parole tutti volevano combattere data la situazione che contestualmente vivevano con i contrasti e la ostilità alla Confederazione Generale del Lavoro, allora in pieno controllo azionista. Mentre per il Partito d’Azione i Sindacati dovevano operare in piena autonomia, privilegiando solo gli interessi dei rappresentati ed iscritti, per il Partito Comunista essi, i sindacati dovevano essere una diretta emanazione del partito stesso. Cosa che con la Confederazione Generale del Lavoro non si attuava.
Il Partito d’Azione, peraltro, nei suoi esponenti di vertice adottò una politica di prudenza e sostanzialmente difensiva e di attesa e di accomodamento in un mal inteso senso di unità nazionale.
Ci si rese conto che doveva fare i conti con gli Alleati, i quali stavano combattendo il loro nemico, il tedesco, e nell’Italia liberata volevano la tranquillità e l”unità nazionale” delle forze politiche italiane. Non facevamo mistero che, se la corda si fosse rotta, il Partito d’Azione sarebbe stato escluso da ogni considerazione e messo nella lista dei partiti “nemici”. La conseguenza era immediata. Le formazioni partigiane nel nord Italia facenti capo a “Giustizia e Libertà” ovvero al Partito d’Azione non avrebbero avuto più nessun sostegno.
Dall’altra il Partito ed in gran parte dei suoi esponenti e anche nei suoi militanti erano fermi nella più assoluta intransigenza antimonarchica ed antifascista. Questo atteggiamento era anche dettato dal fatto che nella cosiddetta Italia liberata le condizioni morali, sociali, economiche era veramente pietose, condizioni a cui la popolazione era stata condotta dalla Monarchia e dal Fascismo senza alcun responsabilità nè politiche nè morali dei partiti politici.
Onore ed amor proprio per un Italiano nel 1944 nel meridione liberato erano parole pesanti. Se si voleva un riscatto, le linee guida dovevano essere intransigenza antimonarchica ed antifascista per un effettivo rinnovamento della società italiana; questo soprattutto per ragioni prima di tutto morali prima che politiche; linee che erano argomenti quanto mai solidi.
Da qui la grande eredità del partito d’Azione. Questo si può dire dell’azionismo di quei anni: la propria politica doveva essere attuata per ragioni prima morali poi politiche senza disgiunzione, ed è in questa consequenzialità il più grande insegnamento dell’”azionismo” militante del 1944.
La sconfitta del Partito d’Azione rappresenta quindi una seconda mancata occasione dopo quella del 1860 per un reale progresso della società meridionale. Ancona una volta l’approccio di Tommasi di Lampedusa, brillantemente esposto nel “Gattopardo”, si realizzò in pieno “che tutto cambi affinché nulla cambi”. Ed anche nel 1944 questo avvenne. Ma che questo abbia avuto un appoggio veramente di gran rilievo da un partito come quello comunista, con la “svolta di Salerno” attuata con grande perizia politica e diplomatica da Palmiro Togliatti è una considerazione di tutto rilievo se posta alle radici della nostra Repubblica. Il dibattito sulle conseguenze è aperto.
Le precedenti sono sono state pubblicate il 3, il 6, il 9 ed il 12 settembre 2024
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