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giovedì 12 settembre 2024

Alle radici della Repubblica. La fine ingloriosa della Giunta Esecutiva Permanente

 DIBATTITI

La svolta di Salerno e il Partito d'Azione

Quando Togliatti salvò la Monarchia

 Un equilibro spezzato

Nel contesto del 1944, sul piano politico, il dilemma, per dare all’Italia un future migliore e diverso, era : continuare con il vecchio sistema, con il governo che aveva firmato l’armistizio, con il vertice politico-militare che aveva portato al disastro, oppure inventarsi soluzioni totalmente nuove, su nuove basi. Che senso avere fondare un partito nuovo per poi continuare sulle linee del passato? Inoltre, quale rapporto avere con gli Alleati, soprattutto britannici a noi particolarmente ostili, che di fatto avevano la sovranità su tutto il territorio, detenevano il potere effettivo e agivano in base alle esigenze della guerra in corso. Il rischio che si correva era che politiche troppo avanzate avrebbero compromesso la lotta all’occupatore tedesco nel nord Italia, vanificato gli sforzi che i “ribelli” come li chiamavano i tedeschi, del nord stavano facendo e quindi compromettere le scelte future.

Non da poco inoltre occorreva tenere presente le condizioni della popolazione che erano davvero inaccettabili, con un degrado morale spaventoso ed una situazione materiale, dopo tre anni di guerra, al limite della sopravvivenza fisica; popolazione che prestava orecchio solo a proposte concrete e reali, tali da migliorare il più possibile la propria condizione. La povertà faceva da padrone ed ogni discorso astratto o teorico cadeva nel nulla. Il Partito d’Azione teneva ben presente tutte queste condizioni ed aveva risposto ogni possibilità di realizzazione nella collaborazione tra i partiti.

Il Congresso di Bari di fine gennaio 1944, che era sostanzialmente guidato da Benedetto Croce, nelle sue conclusioni, era stato quanto mai vago e poco incisivo ed auspicava solamente la costituzione di un Governo che affrontasse i problemi, rinviando la questione istituzionale, che date le circostanze, era considerata prematura.


Sulla base dell’Ordine del Giorno del C.N.L. centrale del 16 ottobre 1943, redatto tre giorni dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del Governo Badoglio il cui ritardo rispetto alle richieste alleate tanto aveva insospettito gli alleati stessi, il Congresso per l’attuazione dei fini predetti nominò una Giunta Esecutiva Permanente, composta da un rappresentante dei partiti facenti parte dei Comitati di Liberazione, ovvero i tre partiti di sinistra, il Partito d’Azione, il Partito Socialista, il Partito Comunista ed i partiti di centro, con capifila la Democrazia Cristiana ed il Partito Liberale e la Democrazia del lavoro. Esisteva anche il Partito della Democrazia Liberale, sorto a gennaio a Bari, in contrapposizione a tutti gli altri partiti partecipanti al Congresso di Bari, di chiara ispirazione badogliana, creato per appoggiare politicamente e il governo Badoglio e, in seno al CNL, per svolgere una azione disgregatrice e di controllo.


Nella sostanza la Giunta Esecutiva Permanente era il contraltare politico del governo Badoglio, e assunse presto le vesti della sede naturale del confronto dei Partiti. La sua composizione, però, la portò presto ad un immobilismo di sostanza che la rendeva praticamente inutile. Gli stessi Alleati, che avevano sempre in evidenza che il Governo Badoglio doveva esistere in quanto il firmatario delle clausole armistiziali e quindi l’origine del loro legittimo potere in Italia, guardavano la Giunta Esecutiva Permanente con sospetto, ma non intervennero, data la sua sostanziale incapacità di agire.

La Giunta Esecutiva Permanente, che poteva divenire il polo centrale di una nuova Italia, dal suo immobilismo via via passò su posizioni sempre più distanti dai principi che reggevano l’azione dei partiti di sinistra, in particolar modo il Partito d’Azione.


Al suo interno i partiti moderati erosero passo dopo passo le posizioni dei partiti di sinistra, a cominciare dalla accettazione della Luogotenenza e della soluzione dinastica della questione istituzionale. Assommata al altre questioni fatalmente le riunioni della Giunta Esecutiva Permanente non potevano non concludersi che con una rottura fra il Partito d’Azione, affiancato da un Partito Socialista sempre più perplesso ed ambiguo e gli altri Partiti compreso quello comunista. Ovvero in vista della formazione di un nuovo Governo, sicuramente il Partito d’Azione non ne avrebbe fatto parte.


E’ perlomeno insensato, ci sia consentito rilevarlo, che alcuni storici (cfr. P. Spriano, Storia del PCI. La resistenza, Togliatti ed il partito nuovo, Vol V. Torino, Einaudi, 1976, pag. 306) affermino che Togliatti abbia determinato il superamento del “punto morto” in ci la Giunta era venuta a trovarsi: meglio sarebbe dire che la “condusse a morte” dal momento che essa si sciolse subito dopo”1


In sostanza l’equilibrio all’interno della Giunta Esecutiva Permanente fu rotto dalla iniziativa di Togliatti di sposare le tesi dei partiti conservatori e moderati, di fatto cancellando ogni possibilità di avere un Governo che non fosse l’erede diretto di quelli monarchico-badogliani precedenti. Se fu salvata l’unità antifascista, questa fu ottenuta tramite le lacerazioni interne del Partito d’Azione, in cui, tranne alcuni dirigenti centrali, la periferia era contraria ad entrare in un governo come quello che si prospettava.

Le lacerazioni portarono all’inizio del disfacimento del Partito d’Azione i cui militanti non vedevano attuati i pilastri del suo credo politico. In sostanza per il Partito fu l’inizio della sua fine, cosa ampiamente auspicata da Togliatti e dal PCI, che, come detto, vedevano nel Partito d’Azione un concorrente temibile a sinistra in grado di sottrarre le masse operaie e proletarie alla influenza del PCI stesso. Si potrebbe anche sostenere, a posteriori, che fu una vittoria di Pirro, in quanto Togliatti permise al re e a Badoglio e a tutto quello che significavano, di sopravvivere. Le masse che il PCI voleva controllare e gestire, in gran parte rimasero sotto il dominio del vecchio padrone, senza possibilità di uscire da questa gabbia, origine di quell’Anti-Stato, che in tanti si attardano a chiamare mafia, andrangheta sacra corona unita ed altri nomi di retaggio settecentesco ma che nella sostanza ancora oggi incidono nel tessuto sociale meridionale. Con buona pace del riscatto delle masse proletarie.

1Alosco A., Il Partito d’Azione dell’Italia liberata e la “svolta di Salerno” in Storia Contemporanea, Aprile 1979, Anno X, n. 2, Società Editrice Il Mulino, Bologna, pag. 365


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