Considerazioni
sull’Istituto del Nastro Azzurro
Da
quando sono diventato socio dell’Istituto del Nastro Azzurro sono trascorsi
alcuni anni che sono stati contrassegnati da grandi cambiamenti.
Ho
festeggiato con i miei commilitoni i cinquant’anni di naia, e ci siamo
ritrovati e divertiti, ma allo stesso tempo ho ridotto molto la mia vista per
motivi congeniti, così come ho subito due interventi d’urgenza in un anno.
Tutto questo non ha impattato tanto nella mia vita, per fortuna sto bene, e
tutto questo mi ha fatto fare nuove conoscenze e nuove esperienze. Di me e
degli altri. Ho perso amici e ne ho trovati, o ritrovati.
Questo
non per parlare di me, ma per considerare come è cambiato il Nastro Azzurro, se
è cambiato, almeno tanto quanto sono cambiato io. Mi ritrovo a discutere con
persone colte, impegnate, che vogliono promuovere la cultura e la conoscenza
del passato e del presente, soprattutto se appartenenti al CESVAM. Eppure,
oltre a sapere chi si presenta a preparare le salamine, a prenotare i salami
nostrani (io sono Alpino, quindi è facile comprendere come si parli di
eccellenze gastronomiche) o “cene del colesterolo”, sfilare con i labari e
restare per oltre un’ora in posa in prova davanti ad un improbabile sergente
che forse non era capace nemmeno quando, tanti decenni fa, era sotto le armi
per servizio di leva; oltre a nascondere piccoli interessi dell’amico
dell’amico, nella boria tronfia di definirsi “presidente” o “alfiere” o mostrarsi
nelle fotografie di un periodico che, a parte guardare le immagini come quando
eravamo bambini, non legge quasi nessuno, mi sembra che non sia cambiato
niente.
Io
ho servito la Patria, le associazioni, il pubblico, le persone fragili,
pertanto il servizio e la memoria li considero importanti e fondamentali, ma mi
sembra che non si vada da nessuna parte senza un itinerario chiaro e certo,
condotto con polso, e il polso di chi non si accontenta di numeri vuoti di
significato, ma che pongano le basi per quello che dobbiamo lasciare di noi al
futuro.
Dopo
che ci siamo spesi per ore ed ore a sfilare e a mangiare sotto i tendoni; dopo
che abbiamo esposto in casa le medaglie commemorative e finto di esporsi in un
museo che non è più nemmeno del Nastro Azzurro, che cos’è questo Istituto, ente
morale di centenario prestigio?
Ho
avuto la fortuna di essere comandato da un tenente che è diventato generale di
corpo d’armata. Noto che molte Federazioni o Sezioni dell’Istituto sono
“comandate” da persone che vogliono soltanto mettersi in mostra, anche tra
clientelismi e zizzania, concependo un’operazione centrifuga per chi potrebbe
esprimere ad alta voce la verità, mantenendo invece quell’acqua torbida che
tanto piaceva denunciare al Manzoni lombardo. Insomma, nell’era dell’intelligenza
artificiale bisogna essere in grado di contrapporre un’intelligenza capace di
non essere autoreferenziale, ma capace di costruire qualcosa che faccia
crescere l’Istituto e le persone che lo compongono, con le persone fruitrici
che non imparino soltanto l’apparenza. Siamo influencer forse?
Pongo
questa riflessione ai miei colleghi soci perché credo che la nostra esperienza
di vita sia irripetibile difronte al mondo attuale che vive di parvenza, ma che
non conosce troppo la sostanza.
Se
la vita ci porta a cambiare, anche la modalità dell’Istituto penso dovrebbe
essere più pregnante, più consona al presente, più vicina alle nuove
generazioni con corsi e studi, più fatta di attività organizzate e proposte da
noi come Istituto in modo consapevole ed organizzato. I numeri si deve imparare
a contarli in termini di costruzione di impegno e non solo di facciata.
Il
mio impegno continua, ma non voglio essere una pedina spostata dall’alto quando
serve. Voglio vedere un Istituto ancora degno di rappresentare per davvero chi
si è speso nel Valore Militare.
Renato
Hagman