DIBATTITI
I TRATTATI
SEMIOLOGIA E
SEMANTICA
Prof. Sergio Benedetto Sabetta
Vi è unico filo conduttore nell’interpretazione delle norme giuridiche, sia nel diritto privato che nel diritto internazionale, una riflessione che si può estendere alle clausole dei trattati, ancor più nell’attuale momento in cui vi è in atto un rivolgimento strategico ed economico che nel fare saltare i vecchi trattati ne rimodula le interpretazioni, in attesa che la diplomazia riesca a stenderne dei nuovi.
Nel discorso si sviluppano una serie di
scelte mediante le quali si escludono o semplicemente si eludono alcuni
significati, questo permette la combinazione di nuove frasi inedite
virtualmente infinite a cui si contrappone un repertorio determinato di segni.
Frege
ha distinto una doppia visione del linguaggio, una ideale senza una
appartenenza al mondo fisico l’altra di riferimento alla realtà, tale passaggio
dal senso ideale al riferimento reale costituisce l’anima del linguaggio trasfuso
nel segno e rapportato sia alla struttura del sistema che alla sua funzione
nella frase.
Sottolinea a sua volta Chomsky, la necessità che
la padronanza delle regole di un linguaggio permetta a un locutore esercitato una generazione
dinamica di nuove frasi al momento opportuno, in modo che queste possano essere
comprese immediatamente da interlocutori altrettanto esercitati.
Il segno atemporale è restituito
all’universo dello spazio e del tempo attraverso l’articolo e il verbo,
rendendolo capace di cogliere il reale (Guillaume),
si passa dall’inventario strutturale dei segni alle operazioni strutturanti.
Dobbiamo considerare che il vocabolo è
al contempo molto più ampio e molto più ristretto della frase, esso “nomina”
mentre la frase “dice”, nomina secondo la sua posizione nella frase, essendo
tuttavia elemento costitutivo della frase sopravvive ad essa ed alla sua
transitorietà per ulteriori nuovi usi, carico di nuovi valori di uso nel
sistema, ma questo processo cumulativo è bloccato dalle vicendevoli limitazioni
dei segni interni al sistema stesso.
Tutti i nostri vocaboli sono
polisemici, con una pluralità di significati, ma è il contesto che ne determina
l’univocità, fino a un discorso univoco che Greimas
chiama una “isotopia”, è chiaro che questa non è il risultato di una sola frase
ma del concatenarsi di più frasi, analogamente alla norma che definisce il
senso univoco dei vocaboli o termini giuridici attraverso il concatenarsi di
frasi.
Se
il sistema linguistico è virtuale e atemporale, il discorso è comunque
realizzato nel tempo, esso nell’effettuarlo costituisce un evento, compreso
tuttavia come senso ( Ricoeur),
altrettanto ogni norma è premessa dell’evento e dà forma al senso giuridico in
esso compreso.
La scrittura fissa il linguaggio in un sistema
atemporale che non appare, né scompare, in quanto non avviene, quindi la scrittura fissa non l’evento del dire ma
“l’esteriorizzazione intenzionale
costitutiva del disegno del discorso” nella quale il dire diventa enunciato,
l’obiettivo non è l’evento in sé ma il senso della parola – evento ( Ricoeur).
Nello scritto, intenzione della fonte –
autore e senso del testo cessano di coincidere in una immediata dissociazione,
il testo viene a prevalere sulla fonte e l’esegesi si sviluppa all’interno del
senso, solo l’interpretazione rimedia all’eventuale fragilità del testo,
calando la norma nell’evento ne dà la forma riacquistando la carnalità
psicologica dell’uomo nel suo quotidiano concatenarsi di eventi, pertanto la
formazione diventa un progetto di un essere
al – mondo, svincolandosi dall’attuale si rivela una progettazione del
mondo ( Heidegger) nata dalle stesse
necessità pragmatiche del mondo.
Così
come scrivere un testo o leggere un testo sono due atti differenti, altrettanto
stendere una norma e leggerla sono due atti differenti, vi è prima un liberarsi
della scrittura dal discorso iniziale e successivamente un liberarsi della
lettura dallo scritto, tanto che il legislatore “muore” con la stesura del
testo, esso non risponde !
Il dialogo preserva il contesto della
realtà del discorso in un sottile equilibrio tra separazione dei segni dal mondo
delle cose e reimmersione nel mondo, la scrittura distrugge tale rapporto,
cristallizza al momento, e proprio la successiva lettura come interpretazione
attualizza i segni nel mondo dando nuovo valore alla parola.
Nascono due possibilità la “spiegazione” in cui si rimuove la sospensione del testo
completandolo e l’ “interpretazione”
nella quale si lega il testo al contesto attuale, creando un nuovo discorso attualizzato,
collegando dinamicamente la norma ad altre realtà ( Ricoeur).
L’interpretazione si risolve anche in
un’autointerpretazione del soggetto, in una riflessione mediata dai segni e
dalle opere culturali con cui si completa il discorso del soggetto con una
dimensione che da semiologica diventa semantica, viene quindi spezzata la pura
relazione interna alla struttura in una simultanea costituzione del sé e del
significato.
Se la narrazione presenta due aspetti
uno apparente e manifesto, l’altro latente ed occulto altrettanto la formazione
è una narrazione imperativa che nel suo disporre copre una narrazione latente
costituente il “mito” da cui è origine, da questo ne deriva che spiegare e
interpretare non sono che fasi di uno stesso circolo ermeneutico della lettura non risiedente nelle intenzioni
del legislatore in cui il testo è la direzione su cui si aprono nuovi pensieri.
Se il “mito” e la descrizione che ne consegue rappresentano una “scelta culturale”, proprio tale scelta
rende impossibile un’interpretazione infinita mentre l’eliminazione del tempo
dalla descrizione crea a sua volta una logica atemporale nella quale gli
elementi narrativi entrano in relazione fra loro e creano sequenze
narrative le cui estremità diventano
punti di commutazione, si creano due livelli “ i segni che obbediscono al
calcolo combinatorio e la frase che è l’unità del discorso” ( Lévi
– Strauss).
Nella norma vi è il tentativo di creare
una univocità di tutti gli elementi secondo il principio che ammette un unico senso
per ogni parola, in modo che ne scaturiscano delle categorie, in altri termini
vi è una limitazione del codice secondo i principi del lessico, quale frutto di
una sensibilità del contesto, in questo vi è una ripetibilità consuetudinaria
professionalizzante e una riduzione della complessità mediante attrattori
caotici ( interpretazioni autentiche accentrate) che ne impediscono la
caoticità per ambiguità ed equivocità.
Se
il linguaggio polisemico è una economia a livello di codice, la sua ambiguità
non può essere ridotta nella norma mediante il solo contesto interpretativo, in
quanto prescrizione di azione nel contesto ambientale devono intervenire
ulteriori elementi di riduzione dell’ambiguità insita nel lessico, interviene
quindi un linguaggio scientifico separato dal restante universo della parola,
ma vi è una sospensione del linguaggio giuridico fra questi due mondi,
volendosi astrarre dal linguaggio puramente narrativo non riesce a diventare un
linguaggio esclusivamente scientifico dotato di propri simboli artificiali,
quello che persegue è una sua coerenza di struttura interna intorno ad un
linguaggio il più possibile monologico.
Bibliografia
·
G. Frege, logica
e aritmetica, Boringhieri 1965;
·
N. Chomsky, saggi
linguistici, Boringhieri 1969;
·
G. Guillaume,
Temps et Verbe, Ancienne Honoré Champion 1929;
·
A. J. Greimas,
semantica strutturale, Rizzoli 1969;
·
P. Ricoeur, La
sfida semiologica, Armando Ed. 1974;
·
M. Heidegger,
Tempo e essere, Longanesi 2000;
·
C. Lévi-Strauss,
Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore 1964.
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