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domenica 5 gennaio 2020

La situazione delle truppe tedesche in Italia II Parte

APPROFONDIMENTI
La seconda guerra mondiale.
Rapporti tra Italia e Germania
all'indomani della caduta del fascis
 All'indomani dell'armistizio


Giovanni Cecini

La difesa della Sicilia, nel luglio del 1943, fu il banco di prova delle successive azioni tedesche, se finanche il territorio nazionale venne difeso dalle Forze Armate italiane con molto ardimento, ma prive di elementi e materiali sufficienti. In controtendenza invece le formazioni della Wehrmacht, sempre più cospicue e capillari nella Penisola, dimostrarono un’abilità e una fermezza nell’opposizione agli Alleati, tanto da riuscire, dopo la ritirata, almeno a far reimbarcare la quasi totalità dei reparti in una sorta di Dunkerque a parti inverse nello stretto di Messina.
In quella circostanza l’iniziale strategia di Kesselring, artefice di tutta quella che sarà la campagna difensiva d’Italia, partì proprio dalla convinzione che, nell’impossibilità di resistere a un’invasione su larga scala, la reazione contro gli Alleati doveva essere immediata, rivolta alla cacciata dei nemici direttamente sulle spiagge. L’operazione fallì, ma permise altresì ai Tedeschi di imparare una fondamentale lezione: cogliere la geografia dell’Italia e l’imminente confusione istituzionale italiana per avvantaggiarsi su una difesa elastica per tappe successive ad oltranza (simile per certi versi all’esperienza sovietica) del territorio della Penisola, anche avvantaggiandosi delle evidenti reticenze degli Anglo-americani ad azioni troppo azzardate e profonde. Infatti, trasferiti lo spregiudicato generale Patton e il fortunato generale Montgomery nella preparazione dell’invasione della Francia, gli Alleati in Italia erano privi di genialità creative, interessati solo ad operazioni militari accademiche e prevedibili.
Lo scontro dottrinario tra Rommel e Kesselring, già proposto per il contesto mediterraneo/nordafricano, si ripresentò anche sullo scacchiere italiano, tanto che quando arrivò il momento per Student di procedere all’operazione di liberazione di Mussolini sul Gran Sasso, all’indomani della dichiarazione di armistizio dell’8 settembre, Kesselring non venne neanche informato.
Secondo i convincimenti di Rommel, ancora scosso dalle disfatte nel deserto, l’Italia sarebbe stata difficile da difendere nella sua interezza, proponendo un’operazione di contenimento e di assestamento su ampia scala solo nell’Italia settentrionale. Kesselring espresse tutta la sua contrarietà a un’idea così pessimistica della campagna d’Italia, convinto invece di giocare d’astuzia. Proponeva quindi, come mossa migliore, di impegnare il nemico in una faticosa e difficile guerra di logoramento attraverso tutta la profondità del Paese. Infatti egli era contrario a un ripiegamento massiccio per creare una linea difensiva così arretrata, fronte troppo avanzato per il nemico e quindi funzionale a incursioni aeree massicce in territorio tedesco. A differenza delle ampie spianate desertiche del Nord Africa, lo Stivale era caratterizzato da un’aspra catena montuosa trasversale ma non rettilinea, difficile da valicare per gli Anglo-americani, la cui forza dominante dipendeva dalle truppe corazzate e motorizzate. Per di più tenere Roma il più possibile avrebbe garantito un pegno fondamentale sia in campo diplomatico che in quello operativo.
L’incognita di trovarsi in territorio straniero e per giunta in inferiorità numerica rispetto agli italiani “badogliani” non intimorì il comando di Frascati, che seppe rispondere con una pianificazione, una propaganda incisiva e una manovra ben collaudata allo sbandamento generale delle Regie Forza Armate capaci di eccelsi erosimi individuali, ma carenti perché in balia di vertici lontani o impreparati a colmare la lacuna istituzionale esistente.
La differenza di vedute tra i due feldmarescialli tedeschi, portò addirittura lo stesso Kesselring, senza tuttavia rinunciare al comando effettivo del settore a lui assegnato, a rassegnare a metà agosto del 1943 le dimissioni dal suo incarico, respinte in novembre da Hitler, che quindi si convinse della bontà del suo piano, concedendogli mano libera sull’intera Italia. Rommel, che fino ad allora aveva assistito – per ordine ricevuto – per la prima volta nella sua vita lontano dalle linee da semplice spettatore alla campagna d’Italia, venne destinato quindi al completamento del Vallo Atlantico sulla costa settentrionale francese in attesa dell’invasione dell’Europa dalla Manica.
Proprio questo antagonismo non facilitò le cose, se Kesselring, che aveva frenato con successo gli sbarchi a Salerno e l’avanzata in territorio campano, nel dopoguerra espresse tutto il suo disappunto sulla scelta di tenere troppe truppe di riserva nel centro-nord, invece di impegnarle subito sul fronte ancora elastico. Kesselring, secondo quel che esprimerà nelle sue memorie, aveva vinto la sfida al vertice, ma aveva perso mesi importanti, non potendo giovarsi del comando di tutti i reparti (circa 150.000 uomini), che dipendevano di massima da Rommel. Tuttavia, forte delle sue convinzioni partorite sul campo, si convinse a garantire al Führer una difesa adeguata per molti mesi della zona a sud di Roma, con relativo presidio della capitale dai possibili attacchi alleati.
L’azzardo di Kesselring venne premiato anche oltre i suoi meriti, proprio perché gli Alleati avevano sempre giudicato l’Italia, una volta indotta alla resa, un campo di battaglia periferico e finalizzato unicamente a togliere truppe nemiche da quello che sarebbe stato il fronte principale in Francia. Non volendo accordare fiducia alle osservazioni di Winston Churchill, che intravedeva nell’Adriatico il grimaldello per impossessarsi dei Balcani ai danni di Stalin, il generale Eisenhower, una volta presa la Sicilia, destinò nella Penisola un contingente limitato e senza troppe pretese, per giunta comandato da generali “da tavolino”, privi di un’avanzata esperienza sul campo e per questo poco avvezzi a manovre ardite.
L’armistizio dell’8 settembre, la reticenza degli Alleati a concedere troppo credito a Badoglio nello spingersi in sbarchi a nord di Roma e soprattutto un’assente predisposizione da parte dei vertici italiani di difesa della Capitale, facilitò la capitolazione della città, fornendo ai Tedeschi una rapida e promettente occupazione non solo del centro nevralgico del Paese, ma anche la possibilità di creare un valido bastione contro le ulteriori avanzate alleate. La difesa eroica degli ultimi reparti del Regio esercito furono travolti dagli ex alleati germanici, perché male organizzati e senza ordini precisi, subendo il completo massacro. Gli unici episodi in cui i Tedeschi furono indotti alla desistenza, furono i casi della Sardegna e della Corsica, dove però la reazione delle divisioni italiane, tra cui la Friuli e la Cremona, se fecero evacuare dopo aspri combattimenti gli uomini della Wehrmacht e delle SS dalle due isole, non intaccò nella sostanza la loro efficienza bellica.
Molto si è discusso, e ancora oggi è un argomento di ampio dibattito storico e morale, a proposito della “fuga” a Brindisi, della scelta di non difendere Roma, tuttavia si può serenamente parlare di diffusa e condivisa miopia politica e militare da parte della Corona, del Governo e dello Stato maggiore generale nell’aver messo in condizione le Forze armate italiane di doversi arrendere, perché inidonee e non preparate alla prevedibile reazione dei Tedeschi.
L’aver giocato poi la partita con gli Alleati in modo opportunista, sperando di farsi sberleffo di loro e tenersi buona una possibilità di doppio o triplo gioco, ha consentito ad Eisenhower di non spingersi oltre Salerno per uno sbarco, favorendo così automaticamente la strategia di Kesselring, che aveva tutto da guadagnare di fronte a quella sterile ragnatela di cospirazioni badogliane.
Lo sbarco nella città campana non fu fermato dai Tedeschi, che reagirono comunque bene, ma Kesselring predispose una serie di formazioni parallele tanto da smorzare gli effetti della penetrazione peninsulare degli Anglo-americani. Una volta assestate le truppe germaniche sulla linea Gustav, nel restringimento dello Stivale tra la foce del Garigliano e quella del Sangro, la resistenza fu accanita, tanto da rimanere granitica anche a seguito del timido sbarco ad Anzio nel gennaio del 1944. Il promontorio di Cassino da principio semplice presidio, dopo alcuni insensati bombardamenti divenne una roccaforte inespugnabile, tanto da divenire un vicolo cieco per gli Alleati in cammino sulla via Casilina. Anche sul fronte adriatico gli scontri non furono da meno, tanto da battezzare la battaglia avvenuta ad Ortona la “Stalingrado d’Italia”.
Roma venne presa dagli Americani solo in giugno, ma a caro prezzo, dopo sanguinosi e ripetuti attacchi, che le truppe tedesche ostacolarono colpo su colpo. Per di più l’azione di entrare in città si rivelò inutile sotto il lato prettamente strategico. Il generale Clark, esaltato dall’evento di cui era protagonista, non sfruttò il vantaggio accumulato per realizzare una proficua azione di aggiramento e infliggere un colpo mortale alle unità tedesche, che si trovavano a nord della Capitale, permettendo loro invece di organizzarsi e predisporre nuove sacche di resistenza sull’Appennino centrale.
Un anno era passato dallo sbarco in Sicilia, ma le divisioni germaniche mantenevano ancora il presidio di oltre metà della Penisola. Proprio per il protrarsi delle operazioni campali in ciascuna regione italiana la drammaticità del conflitto bellico iniziò a coinvolgere sempre di più la popolazione, sia per le incessanti azioni di combattimento del fronte in prossimità dei centri abitati, sia per la politica di sopraffazione e di vendetta operata dai Tedeschi sugli Italiani, indistintamente se militari combattenti, prigionieri o semplici civili. Gli eccidi più famosi sono solo l’epifania di un fenomeno diffuso e ampiamente utilizzato sia in funzione operativa, ma anche seguendo delle logiche disumane di vendetta e per nulla giustificabili sotto l’aspetto militare.
In questi frangenti tuttavia emerse anche l’occasione per una reazione italiana, non necessariamente scontata, vista la sostanziale assenza dello Stato nel periodo post armistiziale. Oltre alle formazione di resistenza ad opera dei partigiani, che in tutte le zone del centro-nord si andavano formando, anche in collaborazione con il servizio informazioni alleato, ebbe il battesimo del fuoco la prima formazione militare italiana post-fascista. Il 1° Raggruppamento motorizzato, seppur senza grandi consistenze di uomini e materiali, partecipò con valore agli scontri presso Mignano Montelungo, non lontano da Cassino, dando l’avvio alla ricostruzione delle Forze Armate italiane, seppur tra mille difficoltà frapposte dalle stesse autorità alleate, prima con il Corpo Italiano di Liberazione e poi con i sei Gruppi di Combattimento.





















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