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giovedì 17 ottobre 2024

Sfere di influenza

 APPROFONDIMENTI

LA LEADERSHIP NEL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO

R. E. Lee


                                      Sergio Benedetto Sabetta

“ … l’afasia strategico – concettuale che in questo frangente connota le grandi democrazie occidentali ne accresce l’incoerenza e ne mina la credibilità, anche- ed è forse il problema maggiore – agli occhi dei loro cittadini … In questa confusione strategica, che l’America condivide con gran parte degli alleati europei, si insinua la deglobalizzazione. Gli attori che ne sono protagonisti, … ,non rigettano l’armamentario economico – industriale offerto loro dall’Occidente come strumento di benessere e potenza. Ne indirizzano però i mezzi ad altri fini, ad altri interessi. Sulla scorta di agende non più < occidentali>.” ( 44- 45, F. Maronta, L’incidente dell’Occidente, in “ Fine della guerra, Limes 4/2024).


Nella confusione e scontro in atto vi è un ritagliarsi di sfere di influenza, in cui nell’Occidente in termini strategici vi sono interessi divergenti, a cui si affiancano una carenza sia numerica che culturale nell’identificarsi con la Nazione e culturalmente nell’Occidente in senso stretto, oltre ad una stanchezza psicologica nel porsi quale centro di riferimento.

Si ottiene quindi una deglobalizzazione a seguito del ripiegarsi in sé degli USA, dove alla crisi demografica si affianca una crisi identitaria, favorita dagli spostamenti di popolazione a seguito della modifica dei rapporti demografici, peraltro sfruttata in termini di “ pressione” dalle potenze in lotta.

A questo si affianca, nell’individualismo esasperato favorito nell’attuale modello economico e dall’uso dei social, un abbassamento della qualità favorito, in particolare per l’Italia, dall’uscita all’estero dei giovani culturalmente più preparati e meglio finalizzati.

Nella mancata identificazione con la Nazione e con la relativa cultura viene a perdersi la coesione sociale, occorreranno decenni per riempire il vuoto e dare una finalità sociale alle nuove generazioni.

Una finalità necessaria anche all’agire diplomatico, se si vogliono evitare guerre senza fine e scontri civili, una mancata finalità sovrapposta ad una mancata capacità di impegno come rilevato tanto in Italia che in Germania o Francia. ( Editoriale, 7 -32 , in “Fine della guerra”, Limes 4/2024)

Vi è anche un errore prospettico dovuto alla mancata contestualizzazione della nostra storia, a cui si affianca la cancellazione dei nostri valori portanti secondo una visione dell’eterno presente e dell’imposizione di un “politicamente corretto” che impedisce il contraddittorio ( F. Rampini, Suicidio occidentale, Mondadori 2021).

Si può pertanto osservare che le problematiche del cambiamento che investono le organizzazioni coinvolgono oltre che la variabile strutturale quella relativa alla costruzione di una cultura diretta allo sviluppo dei sentimenti di fedeltà e impegno verso l’organizzazione, ma vi una terza problematica più propriamente individuale che è la riduzione dell’ansia dei singoli per il cambiamento, nonché per le loro conseguenti prospettive.

I rapporti tra le persone sono determinati dalle aspettative che ciascuno si crea nel relazionare con gli altri, ma queste aspettative sono anche il frutto di precise politiche organizzative pianificate o confuse che siano.

Hirschman individua tre reazioni in una politica di cambiamento, l’abbandono dell’organizzazione, la protesta per l’insoddisfazione organizzativa e la fedeltà passiva indipendentemente dalle prospettive future.

Le prime due acquistano alternativamente rilevanza in funzione della possibilità o meno di un ricollocamento, infatti l’uscita dall’organizzazione sarà favorita da una dinamicità nel ricollocamento mentre in caso di rigidità prevale la protesta interna.

La crescita della possibilità di uscita genera un indebolimento del senso di appartenenza che può trasformarsi in precarietà e insicurezza, dando voce a proteste distruttive fino a sciogliere completamente l’identificazione con l’organizzazione.

Acquista pertanto rilevanza la politica gestionale e la vision che essa esprime nel determinare l’organizzazione e la sua cultura, creando nuovi rapporti tra i soggetti coinvolti.

L’importanza della cultura è fondamentale nel determinare il fallimento o il successo di un’organizzazione quale parte non scritta dell’organizzazione stessa (Daft) in quanto favorisce la capacità di attrarre ma soprattutto motivare le risorse umane migliori.

Considerare il tessuto relazionale centrale per la fidelizzazione valutando anche gli aspetti etici e relazioni, oltre che puramente emozionali, comporta uno sforzo ed una capacità gestionale del tutto nuova per gli aspetti finora considerati.

Il posizionare un’organizzazione in un rapporto con l’intera dimensione umana e non solo con una porzione rappresentata dalla sua finalità crea meccanismi di coinvolgimento molto complessi, in cui prevalgono nell’organizzazione le capacità umane di gestire la complessità e la sfaccettatura dei rapporti espressi e inespressi.

Il cambiamento che viene ad investire la cultura dell’organizzazione se da un lato deve risolvere i problemi concreti, dall’altro crea ansietà si che devono intervenire delle azioni volte a ridurre l’ansietà promuovendo nuova sicurezza nel fare emergere i nuovi valori su cui motivare le persone.

Interviene l’importanza della circolarità delle informazioni le quali possono attivare forme di negoziazione e mediazione per rendere evidenti tutte le alternative possibili.

Nel realizzare il cambiamento occorre il sostegno della dirigenza che sponsorizzi lo stesso mettendo a disposizione le risorse necessarie ed elaborando piani per un cambiamento incrementale oltre le inevitabili resistenze (Daft). La nuova vision dovrà riguardare non solo l’organizzazione e le finalità strategiche ma anche la cultura che sta alla base dell’agire, creando modelli di riferimento.

L’importanza della vision è fondamentale nel creare una tensione al cambiamento condivisa da tutti in modo da ridurre, nel tentativo di perseguire i nuovi obiettivi, l’ansia derivante dal cambiamento per il venire meno delle certezze conseguenti ai precedenti rapporti e valori.

Deve essere una condivisione progettuale che supera la scissione tra obiettivi chiari perseguiti e l’organizzazione con tutte le persone che in essa convivono.

Questa vision si risolve operativamente in una serie di traguardi di varia complessità da raggiungere secondo tempistiche predeterminate, costituenti nell’insieme la nuova frontiera dell’organizzazione.

La definizione della vision deve nascere da una piena comprensione del contesto ambientale in cui l’azione vive e interagisce con i fattori frenanti che intervengono.

Prima dell’aspetto propositivo della vision deve essere chiarito l’aspetto investigativo della mission, in altre parole occorre chiarire:


  • Chi siamo;

  • Dove siamo;

  • Dove andiamo;


solo successivamente si potrà definire la vision con:


  • Dove andare o dobbiamo andare;

  • Come fare.


Maggiore è la precisione dell’individuazione di ciò che si è, maggiore sarà la possibilità di definire un obiettivo effettivamente raggiungibile evitando percorsi dispersivi, così come altrettanto importante è l’individuazione dei fattori esterni che influenzano l’organizzazione nonché la loro rilevanza.

Solo nel momento in cui viene individuata la direzione futura e debitamente corretta la precedente inerziale, si può progettare una adeguata strategia.

Il processo di formazione della vision non è lineare ma cresce per progressive approssimazioni spiraliformi, la visione culturale che sta alla base del processo può interpretare negativamente il cambiamento come rischio o piuttosto come opportunità di crescita, sviluppando una cultura capace di fondere e unire anziché separare.

Si passa da semplici risposte ai problemi (problem solving), allo sforzo di riformulare i problemi secondo nuovi punti di vista (problem setting).

Il contesto economico in cui operano le organizzazioni in generale, è caratterizzato da una progressiva accelerazione del cambiamento, da strette interconnessioni tra elementi una volta ritenuti indipendenti e dal prevalere di elementi immateriali quali conoscenze e relazioni sugli aspetti fisici, questo comporta che il cardine del processo di cambiamento risulta essere la comunicazione ed il Know How delle persone.

I modelli organizzativi che prevalgono sono quelli a rete strategicamente flessibili, autorganizzativi, in cui si instaura un circolo virtuoso fondato sulla comunicazione e la learning organization.

Ma l’elaborazione di una vision richiede una forte leadership che comunque gestisca il cambiamento superando gelosie e resistenze, nonché invidie che pongano veti incrociati bloccando l’emergere di nuove figure più adatte alla nuova strategia, interviene nuovamente il richiamo al fattore culturale.

Un qualsiasi cambiamento scatena gelosie e rabbia, gelosie per i presunti o reali altrui successi e rabbia per la paura della perdita di qualcosa ritenuto prezioso, quale il posto di lavoro, le risorse esistenti o più semplicemente il controllo sull’attività da svolgere (Florence Stone).

In questi momenti acquista ancor più rilevanza l’influenza esercitata dalla leadership che può rivelarsi patogena o salutare misurandosi con se stessa e con i sistemi di valore individuali e dell’organizzazione, nel creare una vision deve motivare con comportamenti costanti e coerenti al nuovo orizzonte indicato, sapendo che il linguaggio informale è altrettanto incisivo del linguaggio formalizzato.

La responsabilità del ruolo deve indurre alla pacatezza nelle decisioni, che sebbene rapide non devono assumere una forma nevrotica, ma soprattutto deve mancare l’approccio “mercenario” di colui che gestisce guadagnando e preparandosi ad uscire dal gioco di squadra, dando l’idea del capitano che si prepari ad abbandonare la nave.

Le qualità che caratterizzano una leadership equilibrata tesa al futuro sono la consapevolezza visionaria, la sensibilità multiculturale, la intuizione, il senso del rischio, l’autocoscienza il tutto deve creare un clima organizzativo che incoraggi un senso di orgoglio e determinazione integrando e trasformando, avendo sempre attenzione al collegamento tra i valori dell’organizzazione e quelli del cambiamento in atto.

La forza d’animo e la decisione nel forzare una situazione sfavorevole creando nuove prospettive, non deve indurre a perdere il rispetto verso i collaboratori, senza superbia né eccessiva confidenza che sfoci verso una stucchevole bonomia o un’irritante paternalismo.

Un esempio particolarmente illuminante di una tale leadership la si può ricavare dalla condotta di Robert Edward Lee il quale nell’assumere il comando militare delle forze confederate nella primavera del 1862, in un momento in cui la Confederazione era stretta da ogni dove dagli eserciti Unionisti riuscì a ribaltare la situazione fino a minacciare la stessa capitale nemica Washington, obbligando sulla difensiva forze superiori e dando respiro ad una situazione di fatto già compromessa.

La Grande Unità di cui nel giugno 1862 assunse il comando divenne la celebre “Armata della Virginia Settentrionale”, un insieme formidabile, una fusione in un solo blocco di uomini, veterani di decine di scontri, guidata da capi abili e prestigiosi collegati da un rispetto ed una stima reciproca e profonda con i propri uomini.


Bibliografia


  • AA. VV. , Una certa idea di Italia, Limes 2/2024; Fine della Guerra, Limes 4/2024; La Germania senza qualità, Limes 6/2024;

F. Cardini, La deriva dell?Occidente, Laterza 2023;

  • R.L. Daft, Organizzazione Aziendale, Apogeo 2001;

  • J.P. Kotter, Guidare il cambiamento, rinnovamento e leadership, Etas 1998;

  • A cura di M. Francione e G. Gianfrante, Il Potere. Intervista a Cesare Romiti, in “E.& M.”, 31-39, 1/2007;

  • V. Perrone, Maschere da manager, in “E &N.”, 9-15, 1/2007;

  • A. Mintzberg, Portare il management al safari delle strategie; J. Neal, Camminare sul filo … senza cadere; F.Stone, Gestire la rabbia della forza lavoro, in “L’azienda globale”. Vol. 1, Boroli Editore 2006;

  • R. Luraghi, Storia della Guerra Civile Americana, Rizzoli, 1999.


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