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sabato 28 novembre 2015

L'attacco austriaco contro le coste romagnole e marchigiane. 24 maggio 1915. La carta delle azioni austriache. di Federico Salvati

Anno LXXVI n. 6 Supplemento. Quaderni n. 1 del 30 giugno 2015 on line



L’attacco austriaco alle coste romagnole e marchigiane
 24 maggio 1915

Federico Salvati

La dichiarazione di guerra
Nella tarda mattinata del 23 maggio del 1915, l'ambasciatore italiano a Vienna telegrafò a Roma, confermando al ministro degli esteri italiano, Sidney Sonnino, l'avvenuta consegna della dichiarazione di guerra dell'Austro-Ungheria da parte del Barone Burian. Cominciava così per Roma la prima guerra mondiale. I rapporti con gli alleati austriaci erano già molto tesi da tempo. Il governo italiano aveva capito, ormai, che l'alleanza con la triplice non costituiva una garanzia per la sicurezza e l'integrità del paese e la dichiarazione di guerra non arrivò a Roma come una sorpresa inattesa.
La situazione dei contendenti
Ogni studente di storia sa che all'inizio del XX sec. gli equilibri europei vedevano contrapposta la triplice alleanza, alla triplice intesa. In questo scenario, la decisione dell'Italia di allearsi con il vecchi nemico austroungarico, si rivelò ben presto una scelta scomoda. Vienna, infatti, nonostante il trattato di alleanza continuava a vedere l'Italia come terra conquista dove espandere i propri interessi. Per ben due volte (1902 e 1908) infatti l'Impero Austroungarico aveva approntato i piani necessari per riportare sotto il suo dominio il lombardo-veneto e per altrettante volte, questi piani non erano stati realizzati per motivi fortuiti. Lo stato maggiore italiano era, però, ben a conoscenza dell'ostilità degli alleati teutonici.      Tale consapevolezza è dimostrata dalla particolare attenzione dedicata, da parte di questo, alla difesa del confine orientale (una linea difficile da mantenere e impossibile da difendere senza il controllo di Trieste). Alla luce di tali circostanze appare più razionale il comportamento titubante dell'Italia allo scoppio della prima guerra mondiale. Al nostro paese, infatti, non era riconosciuto il legittimo ruolo di alleato a fianco di Berlino e Vienna le quali non facevano farsa dei loro obiettivi imperialistici e delle loro mire verso la sfortunata Italia.

Le manovre Adriatiche: i primi interventi Bellici. L'inizio delle ostilità e il bombardamento di Ancona
Il 23 maggio del 1915, alle ore 20,00, usciva dal porto di Pola il grosso della flotta austro-ungarica che, raggiunti gli incrociatori e i siluranti dislocati nella stessa piazzaforte, fece rotta verso sud. A comandare la flotta era l'ammiraglio Anton Haus, che rimase comandante in capo delle operazioni navali sull'Adriatico fino al 1917.
            Intorno alla 4,00 la flotta austroungarica raggiunse le coste della città di Ancona. Qui, dopo alcune raffiche preliminari, stanziatisi alla distanza di 5000m dalla costa, la flotta cominciò il bombardamento della città con i cannoni di grossi calibro. Le operazioni vennero portate aventi soprattutto dalla 2a squadra a cui si associarono anche il gruppo autonomo della 1a divisione e il Franz Ferdinand che era sotto la direzione del comandante della 1a divisione. Il bombardamento fu violento e mirato. L'episodio di Ancona, come ci fa notare Enzo Calcaterra, assunse da subito un forte valore simbolico. La città, infatti, aveva un altissimo valore strategico, dal punto di vista geografico. Inoltre, questa, nei mesi successivi, soffrì molte incursioni sia dal celo che dal mare, diventano un punto di snodo cruciale per le operazioni belliche dello teatro italiano.
            Ancona, tra l'altro, era stata disarmata poco tempo prima dell'attacco, in conseguenza alla dichiarazione di neutralità da parte del governo italiano. Questo non fece che aumentare la tragicità dell'avvenimento e l'effetto psicologico che il bombardamento ebbe sulla popolazione civile.
            Le mitragliatrici, azionate da parte delle autorità italiane a terra, per rispondere al fuoco non ebbero nessun effetto, perché le forze nemiche non erano a portata di tiro.
            Solo il sommergibile Argonauta, di stanza in quei giorni ad Ancona, avrebbe potuto rispondere al fuoco in maniera efficace ma purtroppo, a causa di un intoppo tecnico, la manovra controffensiva non fu possibile. Quando, ormai, il capitano Vaccaneo (sotto il cui comando era il sommergibile) fu pronto a rispondere contrattaccare la flotta nemica si allontanava già a tutta forza dalle coste italiane.
Il porto di Corsini
Le cose andarono meglio al porto di Corsini. Alle ore 3,30 del 24 maggio il cacciatorpediniere Scharfschutze e le torpediniere  78, 79, 80 e 81 (che si erano distaccate dal grosso della flotta, usciti da Pola) manovravano, penetrando nel canale del porto fino alle barriere difensive, mentre il Novara provvedeva fuoco di copertura a breve distanza. In questa circostanza le forze italiane ebbero la prontezza di rispondere al fuoco infliggendo considerevoli danni ai nemici. La città e le strutture civili furono quasi de tutto risparmiate dalle raffiche nemiche. L'edificio che riportò più danni fu il semaforo nautico, mentre le barriere difensive militari servirono bene al loro scopo, attirando gran parte dei colpi nemici.
Rimini
Alla stessa ora (3,30) l'incrociatore Sankt Georg e le torpediniere 1 e 2 furono avvistati dalla vedetta rivierasca della città di Rimini. Alle 4,50, dalla distanza di 4000 metri la flotta nemica aprì il fuoco contro le oste della città, colpendo un ponte di recente costruzione che attraversava il fiume Marecchia sulla linea Rimini-Bologna.
            Si concentrarono, poi, i bombardamenti sulle strutture del porto stesso, cessando le operazioni solo alle 5,15 del mattino. L'operazione non produsse risultati sostanziali sia perché gli austro-ungarici non riuscirono ad individuare alcuni degli obiettivi assegnati, sia perché il vento spinse il fumo verso di modo da diminuire apprezzabilmente la visibilità.
Senigallia
Gli austroungarici, molto probabilmente, riportarono i risultati più efficaci con le operazioni di Senigallia. Qui la corazzata Zarynyi, coadiuvata dalle torpediniere 4 e 6, bombardò la terraferma con grossi calibri dalle 4,00 alle 4,30 nella mattina del 24 maggio 1915. Furono distrutte le infrastrutture portuali e le linee ferroviarie. Si riportarono anche diverse vittime.
             Il 135° battaglione dell'esercito italiano infatti, si stava avvicinando  alla città in treno, quando cominciarono i bombardamenti. Perirono 12 soldati e 3 marinai.
            I maggiori danni materiali, però, furono riportati dalla città. 37 case furono danneggiate e alcune furono completamente distrutte. Ci furono 5 morti anche tra la popolazione civile.
Potenza Picena    
Per completare la nostra trattazione delle operazioni adriatiche della marina austroungarica la notte tra il 23 e il 24 maggio 1915, dobbiamo accennare al bombardamento di Potenza Picena. Qui la corazzata Radetzky insieme alle torpediniere 73 e 46 tennero sotto il fuoco d'artiglieria il ponte della ferrovia tra Potenza picena e Porto Recanati. Sfortunatamente una donna e i suoi 4 figli restarono uccisi in seguito alla distruzione della casa cantoniera nei pressi del ponte. Due agenti ferroviari riportarono, inoltre, lesioni non gravi. Il servizio  ferroviario fu interrotto a causa dei bombardamenti ma, dal momento che le strutture non riportarono danni significativi, questo fu ripreso solo due ore dopo.
L'inizio della guerra
Cominciava così la guerra per l'Italia. Una guerra che avrebbe portato, alla fine, alla vittoria per Roma e per gli alleati angli-francesi. Gli anni del conflitto, però, cambiarono profondamente il nostro paese.          Dalla prima guerra mondale l'Italia uscì come una nazione matura, dotata di quello spirito patrio e di quel sentimento di appartenenza di cui i suoi cittadini erano stati privi sino a quel momento. Spinti dalle promesse regie e dal generale Diaz, infatti, i soldati combatterono valorosamente e con coraggio, in maniera unita ed estremamente motivata.
            Per tali motivi, alcuni storici si riferiscono al primo conflitto mondiale come alla 4a guerra d'indipendenza italiana, con la quale, “dopo aver fatto L'Italia si fecero finalmente anche gli italiani”.







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