UNA FINESTRA SUL MONDO
Ten. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
All’inizio
degli anni Cinquanta gli USA impostano la “Strategia
della risposta massiccia”,
implementata nel 1952 da Eisenhower, partendo
dal disequilibrio delle forze convenzionali tra NATO e Patto di Varsavia,
avendo gli USA e gli altri alleati occidentali smobilitato al termine della
guerra al contrario dell’URSS.
In caso di
aggressione ad un paese della NATO vi sarebbe stato l’immediato uso delle armi
nucleari contro l’aggressore, a seguito della crescita del numero e della
potenza delle armi atomiche ( Bombe H) si adottò la teoria della “ Distruzione reciproca assicurata” ( MAD – Mutual Assured Destruction ).
All’inizio
degli anni Sessanta, anche a seguito di crisi regionali come nel caso di Cuba,
si elaborò una strategia più flessibile, nacque la “Dottrina della risposta flessibile”
( Kennedy) ossia l’utilizzo degli
stessi mezzi bellici dell’aggressore, in una crescita progressiva che poteva
trasformarsi in una rapida “escalation” verso il conflitto totale.
In caso di
attacco si prevedeva la perdita della zona centrale dell’Europa ( Germania – Ovest) fino al Reno,
mentre nel teatro italiano le preponderanti forza corazzate del Patto di
Varsavia (carri armati T 54 e 55 – blindati BMP e BMD) sarebbero dilagati
attraverso la “soglia di Gorizia”, a cui affiancare i passi alpini tra Austria
e Italia.
In questo
caso la velocità di penetrazione sarebbe dipesa dalla posizione assunta dalla
Jugoslavia di Tito, opposizione all’avanzata, neutralità o affiancamento alla
Russia.
Le forze USA
avrebbero avuto bisogno di oltre un mese per essere trasportate e schierate
oltre Atlantico, si adottò quindi all’interno della risposta flessibile la
strategia della “Difesa avanzata”.
Occorreva pertanto rallentare l’avanzata nemica, logorandola in scontri
successivi e riducendo le sue linee di rifornimento.
Nelle
pianure tedesche ed italiane si pensò di adottare il sistema dei “corridoi di
annientamento”, come nell’Ottocento avveniva tra quadrati per le cariche di
cavalleria, si utilizzavano i centri abitati quali fortezze per frantumare
l’attacco, obbligando le linee di avanzata a dividersi e allungarsi.
Con l’arma
aerea e l’artiglieria a lunga gittata si colpivano le retrovie, in questo
utilizzando tra l’altro testate atomiche tattiche che in Italia erano gestite
dalla III^ Brigata Missili “Aquileia” incardinata nel 5° Corpo d’Armata, i cui
Gruppi coprivano dal Brennero al Tagliamento, vi sarebbe stato un progressivo
ripiegamento nella pianura veneto – lombarda, da un corso d’acqua al
successivo.
Gli effetti
delle esplosioni atomiche erano ampiamente descritti dai manuali tecnici delle
Scuole Militari, per effetto dell’esplosione vi sarebbe stata una iniziale
violenta onda d’urto determinata dallo spostamento d’aria, con conseguente
vuoto d’aria.
L’onda è
composta da due onde, una diretta che raggiunge la superficie del suolo,
l’altra riflessa dal suolo, le due onde si fondono in una sola onda di
pressione doppia che si espande concentricamente sulla superficie, raddoppiando
la forza d’urto.
I gas caldi
prodotti dall’esplosione in aria determinano una colonna ascensionale di
polvere e detriti, i quali resi radioattivi nella loro lenta ricaduta rendono a
loro volta radioattivo il terreno.
Altro
elemento è l’onda di calore che si espande concentricamente, bruciando gli
elementi combustibili che incontra. Nel raggio di 1 Km dal centro
dell’esplosione vi è la distruzione totale delle abitazioni, a 2 Km il crollo
delle strutture in mattoni, a 3 Km il crollo delle costruzioni leggere, a 4 Km
il crollo delle sovrastrutture.
La vampa di
calore precede l’onda d’urto, in quanto viaggia alla velocità della luce (
300.000 Km secondo), mentre l’onda d’urto viaggia alla velocità del suono ( 360 m secondo), si sono osservate
ustioni lievi se al riparo fino a 5 Km di distanza dal centro dell’esplosione,
peraltro i maggiori danni immediati derivano dai crolli e dalle schegge
lanciate dovunque. Si consiglia pertanto di ripararsi dietro strutture solide o
gettarsi a terra, preferibilmente in fossati o avvallamenti, ricoprendosi
possibilmente con teli spessi.
Il maggiore
problema è comunque la radioattività che persiste nel tempo e i cui danni si
manifestano anche a distanza di anni, essa si distingue in una radiazione
iniziale ed una residua-
La
radioattività iniziale, derivante dai raggi gamma e neutroni, si esaurisce in
pochi secondi dall’istante dell’esplosione, in contemporanea all’onda d’urto e
alla vampa di calore.
La
radioattività residua consiste nei raggi alfa, beta e gamma emessi, sia dai
corpi circostanti all’esplosione per effetto dell’urto dei neutroni, sia
direttamente dal materiale radioattivo, uranio arricchito e plutonio, usato per
l’esplosione.
I raggi alfa
e beta hanno uno scarso potere di penetrazione, diventano tuttavia pericolosi
se ingeriti con la polvere o depositati sulle ferite, mentre i raggi gamma
attraversano completamente il corpo umano, come del resto i neutroni. Il
risultato ultimo è la distruzione dei tessuti animali e vegetali, nonché la
loro alterazione nel tempo.
Per il
personale militare e sanitario si creano i seguenti problemi : individuazione e
delimitazione delle aree contaminate, la bonifica eventuale, l’organizzazione
dei soccorsi.
Sono
pertanto indispensabili sia i mezzi di protezione individuali che collettivi,
ai quali affiancare i mezzi di rilevamento della radioattività ( contatori
Geiger), anche le maschere antigas assumono una notevole importanza, al fine di
impedire l’inspirazione di polveri radioattive, sebbene riducano l’ampiezza
visiva.
Dopo
l’esplosione atomica i contatori Geiger dovevano servire non solo a determinare l’area contaminata, ma anche a
rilevare la quantità di radioattività assorbita dagli uomini, veniva
raccomandato nelle Scuole Militari di comunicare al Comando i dati relativi
all’assorbimento della radioattività così che si potesse determinare la residua
capacità di combattimento dei reparti.
Infatti vi
era una apposita tabella in cui erano riportati per ogni intervallo di contaminazione
quanti giorni di sopravvivenza erano previsti, prima che i sintomi, quali
versamenti di sangue, nausea e dolori si manifestassero, questo era
particolarmente importante per prevedere i tempi a disposizione per i rincalzi,
a tal fine si raccomandava ai reparti di continuare a combattere nonostante la
contaminazione fino alla manifestazione dei sintomi innanzi descritti.
Venivano
fornite inoltre pastiglie antidolorifiche aumentando i tempi di combattimento,
queste, insieme alle siringhe auto iniettanti di atropina quale antidoto
all’avvelenamento da gas organofosforici e le bende contro l’iprite e i gas
mostarda per le ustioni sulla pelle, servivano anche contro alcune tipologie di
agenti chimici.
Nota
L. Malatesta, I comandi protetti della Nato, 1° Roc Monte Venda, Back Yard e We
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