DIBATTITI
Ten. cpl. Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Il 3
novembre del 1918 una flottiglia di quattro cacciatorpediniere italiane entra
nel porto di Trieste e sbarca alcune migliaia di uomini agli ordini del
Generale Carlo Petitti di Roreto, designato Governatore Militare della regione
Venezia Giulia ed Istria, sostituendo l’autorità imperiale nell’amministrazione
del territorio.
Il
successivo 9 novembre sbarcava il Re Vittorio Emanuele III per visitare la
città appena riunita all’Italia e andare a Capo d’Istria per rendere omaggio
alla memoria di Nazario Sauro.
Si compiva
così anche formalmente l’unità d’Italia, la Grande Guerra veniva vissuta come
IV Guerra di Indipendenza e come tale le veniva dedicato a Roma il Museo del
Vittoriale.
Tuttavia i
risultati non corrisposero alle attese, visti i costi umani e materiali della
guerra, l’acquisizione di Trento, Bolzano, Trieste, l’Istria, Pola e Zara,
nonché di altri territori dalmati non realizzarono le più estese intenzioni
geo-politiche dell’Italia.
Si voleva sostituire il vecchio
impero austro-ungarico nei Balcani, la cui dissoluzione creava un vuoto di potere, tuttavia due fattori si
opposero a un tale disegno.
Il primo, le
mire della Francia che intendeva acquisire sotto la propria influenza i nuovi
stati che si venivano a costituire, il secondo fattore, la strategia americana
di Wilson che, nel proclamare l’autodeterminazione dei popoli, favoriva nei
fatti il nazionalismo slavo, ostacolando il disegno italiano.
Un rischio
ben chiaro in Italia, tanto che durante la Guerra nella propaganda si era
evitato accuratamente di sollecitare una rivolta nei popoli dell’Impero o alla
diserzione dei loro militari.
La costituzione del Regno di
Iugoslavia, nel riunire i popoli della Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina,
Macedonia, Kossovo e parte della Dalmazia, sotto la casa sovrana Serba, creò un
bastione all’influenza italiana e impedì di trasformare il mare Adriatico in un
mare interno.
L’instabilità
che venne a crearsi nei Balcani con la dissoluzione del vecchio Impero, erede
del Sacro Romano Impero Carolingio, si proiettò per tutto il ‘900 e persiste
ancora (M. Cattaruzza, Nazionalismi di
Frontiera, identità contrapposte sull’ Adriatico nord – orientale, 1850 – 1950,
Rubbettino Ed. 2003).
La Grande
Guerra affonda le sue radici immediate nell’intreccio tra espansione economica
e demografica della Germania guglielmina, in cui il mito della forza veniva a
prevalere in termini militaristici, con l’esaltazione nazionalistica fondata
sulla superiorità razziale, dove il conflitto tra razza germanica e slava era
considerato inevitabile per il futuro dominio dell’Europa, allora al centro del
mondo.
Riduzione
all’impotenza della Francia, una lega di Stati centroeuropei capeggiati dalla
Germania e l’acquisizione di nuove colonie a livello mondiale avrebbe
definitivamente consolidato la prevalenza tedesca a livello mondiale, occasione
di un tale scontro le tensioni nei Balcani.
L’Inghilterra
d’altra parte non poteva accettare il prevalere di un tale blocco sul
continente e il suo ridursi in termini periferici, per giunta insidiato nella
sua vitale superiorità sui mari. (F.
Fischer, Assalto al potere mondiale, Einaudi 1965).
La capacità di
Bismarck di temperare le esigenze di una presenza politica mondiale in
espansione con il mantenimento di un equilibrio delle forze accettabile dalle
parti, contenendo le spinte esclusivamente militariste nate da una serie
impressionante di vittorie nel XIX secolo sulla Francia, sulla Danimarca,
sull’Austria, viene meno nell’età guglielmina con il ridurre l’azione politica
alla pura superiorità militare, appoggiandosi sull’esaltazione della crescente
potenza tecnologica.
Questo
tuttavia è il frutto ultimo, con uno sguardo più ampio, delle età
rivoluzionaria e napoleonica e dello spargersi del nuovo principio nazionale,
attraverso gli eserciti rivoluzionari, sull’Europa.
La sconfitta di Jena e l’invasione
della Russia ne sono le premesse, l’elaborazione culturale che ne segue conduce
al nazionalismo idealistico fino al suo congiungersi nella rivoluzione
scientifica con l’evoluzionismo, per sfociare nel darwinismo politico-sociale
di fine ottocento. (G. Ritter, I militari e la politica nella Germania moderna, Einaudi 1967).
Nel dramma
che ne consegue si inseriscono le mille storie individuali tra cui quella della
famiglia di mia madre Rita Clementina
Mattiuzzo, che cresciuta sul Piave viene ad essere coinvolta quale profuga
nelle vicende del novembre 1917 relative a Caporetto.
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