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sabato 7 giugno 2025

RIFLESSIONE SULLA VISITA DEL RE VITTORIO EMANUELE III A TRIESTE

 DIBATTITI


Ten. cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta


            Il 3 novembre del 1918 una flottiglia di quattro cacciatorpediniere italiane entra nel porto di Trieste e sbarca alcune migliaia di uomini agli ordini del Generale Carlo Petitti di Roreto, designato Governatore Militare della regione Venezia Giulia ed Istria, sostituendo l’autorità imperiale nell’amministrazione del territorio.

            Il successivo 9 novembre sbarcava il Re Vittorio Emanuele III per visitare la città appena riunita all’Italia e andare a Capo d’Istria per rendere omaggio alla memoria di Nazario Sauro.

            Si compiva così anche formalmente l’unità d’Italia, la Grande Guerra veniva vissuta come IV Guerra di Indipendenza e come tale le veniva dedicato a Roma il Museo del Vittoriale.

            Tuttavia i risultati non corrisposero alle attese, visti i costi umani e materiali della guerra, l’acquisizione di Trento, Bolzano, Trieste, l’Istria, Pola e Zara, nonché di altri territori dalmati non realizzarono le più estese intenzioni geo-politiche dell’Italia.

Si voleva sostituire il vecchio impero austro-ungarico nei Balcani, la cui dissoluzione creava un  vuoto di potere, tuttavia due fattori si opposero a un tale disegno.

            Il primo, le mire della Francia che intendeva acquisire sotto la propria influenza i nuovi stati che si venivano a costituire, il secondo fattore, la strategia americana di Wilson che, nel proclamare l’autodeterminazione dei popoli, favoriva nei fatti il nazionalismo slavo, ostacolando il disegno italiano.

            Un rischio ben chiaro in Italia, tanto che durante la Guerra nella propaganda si era evitato accuratamente di sollecitare una rivolta nei popoli dell’Impero o alla diserzione dei loro militari.

 

           

 

La costituzione del Regno di Iugoslavia, nel riunire i popoli della Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kossovo e parte della Dalmazia, sotto la casa sovrana Serba, creò un bastione all’influenza italiana e impedì di trasformare il mare Adriatico in un mare interno.

            L’instabilità che venne a crearsi nei Balcani con la dissoluzione del vecchio Impero, erede del Sacro Romano Impero Carolingio, si proiettò per tutto il ‘900 e persiste ancora (M. Cattaruzza, Nazionalismi di Frontiera, identità contrapposte sull’ Adriatico nord – orientale, 1850 – 1950, Rubbettino Ed. 2003).

            La Grande Guerra affonda le sue radici immediate nell’intreccio tra espansione economica e demografica della Germania guglielmina, in cui il mito della forza veniva a prevalere in termini militaristici, con l’esaltazione nazionalistica fondata sulla superiorità razziale, dove il conflitto tra razza germanica e slava era considerato inevitabile per il futuro dominio dell’Europa, allora al centro del mondo.

            Riduzione all’impotenza della Francia, una lega di Stati centroeuropei capeggiati dalla Germania e l’acquisizione di nuove colonie a livello mondiale avrebbe definitivamente consolidato la prevalenza tedesca a livello mondiale, occasione di un tale scontro le tensioni nei Balcani.

            L’Inghilterra d’altra parte non poteva accettare il prevalere di un tale blocco sul continente e il suo ridursi in termini periferici, per giunta insidiato nella sua vitale superiorità sui mari. (F. Fischer, Assalto al potere mondiale, Einaudi 1965).

            La capacità di Bismarck di temperare le esigenze di una presenza politica mondiale in espansione con il mantenimento di un equilibrio delle forze accettabile dalle parti, contenendo le spinte esclusivamente militariste nate da una serie impressionante di vittorie nel XIX secolo sulla Francia, sulla Danimarca, sull’Austria, viene meno nell’età guglielmina con il ridurre l’azione politica alla pura superiorità militare, appoggiandosi sull’esaltazione della crescente potenza tecnologica.

            Questo tuttavia è il frutto ultimo, con uno sguardo più ampio, delle età rivoluzionaria e napoleonica e dello spargersi del nuovo principio nazionale, attraverso gli eserciti rivoluzionari, sull’Europa.

 

La sconfitta di Jena e l’invasione della Russia ne sono le premesse, l’elaborazione culturale che ne segue conduce al nazionalismo idealistico fino al suo congiungersi nella rivoluzione scientifica con l’evoluzionismo, per sfociare nel darwinismo politico-sociale di fine ottocento.  (G. Ritter, I militari e la politica nella Germania moderna, Einaudi 1967).

            Nel dramma che ne consegue si inseriscono le mille storie individuali tra cui quella della famiglia di mia madre Rita Clementina Mattiuzzo, che cresciuta sul Piave viene ad essere coinvolta quale profuga nelle vicende del novembre 1917 relative a Caporetto.

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