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giovedì 20 novembre 2025

Messenzio Zanitti. Sabbia e Silenzio

DIBATTITI

Progetto 2026/2 

Testimonianze Missione di Pace



SABBIA E SILENZIO                                                      

[Gen. D. (ris) Antonello Messenio ZANITTI]

 

Nel 2003 portavo sul petto il grado di Tenente Colonnello e prestavo servizio presso la Divisione “Mantova”, di stanza a Vittorio Veneto. Erano anni in cui la parola pace sembrava sempre più fragile, e l’Italia, insieme ai suoi alleati, fu chiamata a un compito difficile. Fui assegnato alla Multinational Division South-East (MND-SE), Divisione a guida britannica impegnata in Iraq, a seguito della lotta contro il terrorismo scaturita dopo l’attacco alle Torri Gemelle nel 2001.

Il mio incarico era quello di Capo Branca Piani (Chief G5) della Divisione, responsabile della pianificazione operativa dell’area sud-est dell’Iraq. Dietro quella sigla, “G5”, si nascondeva un mondo di mappe, piani, decisioni, notti insonni e responsabilità che pesavano come il deserto dopo il tramonto.

 

Il Comandante

Il Comandante, il Maggior Generale Graeme Lamb, appartenente alle forze speciali britanniche, era un uomo che rimane impresso nella mente: tutto di un pezzo, capace di ispirare fiducia e competenza solo con lo sguardo. A lui fornivo quotidianamente le diverse opzioni operative per le unità dipendenti, al fine di assolvere i compiti assegnati. Un Comandante con la “C” maiuscola, che — cadesse il mondo — trovava sempre la forza e l’energia per ogni cosa. Non mancava giorno che fermasse lo staff per annunciare: «Let me think». Poi lo vedevamo, a torso nudo, sfrecciare con i suoi inseparabili pattini a rotelle tra gli elicotteri d’attacco fermi sulla pista di rullaggio. Un grande, nel senso più autentico del termine.

 

La partenza

Partii per l’Iraq pochi mesi dopo la nascita di mio figlio, Giacomo. Ricordo ancora il suo viso piccolo e sereno, e il profumo della casa quando chiusi la porta per l’ultima volta prima di partire.

Sapevo che sarei rimasto lontano a lungo — più di cinque mesi senza sosta — immerso in un tempo in cui ogni giorno aveva lo stesso colore della sabbia e dello sforzo.

 

L’impegno quotidiano

Il mio mandato fu segnato da due eventi che resteranno incisi nella memoria di chi c’era: l’attentato di Nassiriya e la cattura di Saddam Hussein.

Il primo ci colpì nel profondo. Il rumore dell’esplosione attraversò non solo il deserto, ma le anime di tutti noi. Quella giornata mise a nudo la vulnerabilità di chi indossa l’uniforme non per gloria, ma per servizio. Eppure, fu anche il momento in cui capimmo quanto fosse grande il valore della coesione, del silenzioso coraggio di chi non si arrende. Ricordo come fosse oggi quel giorno. La Brigata italiana impegnata a Nassiriya, alle dirette dipendenze della Divisione in cui operavo, fu colpita… certamente non affondata. Minuto dopo minuto le informazioni arrivavano sempre più tristi, sempre più pesanti: la lista dei caduti sembrava non volersi fermare. Quel giorno il Comandante della Divisione prese carta e penna e scrisse un messaggio da trasmettere a tutti: un messaggio di forza, di chi non flette agli eventi. Lo ricordo bene, intatto nella mia mente:

“Signori, dei coraggiosi italiani hanno perso la vita oggi facendo il loro lavoro. È tempo ora di fare il nostro. Non siate deflessi da questi tragici eventi; il nemico continuerà a fare ogni cosa in suo potere per uccidere noi, i nostri soldati, piloti, marinai e civili che contribuiscono al nostro impegno per capovolgere la situazione qui in Iraq – loro falliranno. Ho sempre sostenuto che avremmo affrontato oscuri e difficili giorni avanti a noi – oggi è uno di questi. Ai miei amici italiani, miei fratelli in armi, voi avete la mia più profonda comprensione. Voi camerati avete pagato l’ultimo prezzo; loro non hanno tradito noi – io non intendo tradire loro”. (Graeme Lamb, General Officer Commanding, Multi-National Division South-East, Iraq).

Il mio lavoro continuava, e sebbene la stanchezza si facesse sentire, ero orgoglioso di essere un ingranaggio di quella macchina che fa parte della Storia. In guarnigione eravamo relativamente al sicuro — una sicurezza che svaniva quando, settimanalmente, salivamo sugli elicotteri per raggiungere le Brigate dipendenti e affinare le pianificazioni operative. Erano voli tattici, a pochi metri dal suolo, facendo lo slalom tra le palme per evitare di essere ingaggiati da eventuali lanciarazzi RPG, con atterraggi rapidi — a volte troppo rapidi. Ricordo bene anche l’atterraggio su una portaerei americana, ormeggiata nel Golfo Persico. Lì, l’Ammiraglio comandante dell’unità volle ringraziare personalmente me — un semplice Tenente Colonnello — per quanto fatto e per quanto ancora da fare. Conservo ancora il “Coin” con l’emblema della portaerei che mi consegnò, passato di mano in mano come fosse il passaggio di un testimone. Un piccolo oggetto, ma carico di significato: un filo invisibile che lega tutti coloro che servono, perché il lavoro di uno si riflette inevitabilmente su quello degli altri che portano una divisa.

La cattura di Saddam Hussein portò invece un senso di svolta. Ricordo la notizia come un sussurro che si diffuse tra le tende e i centri operativi: la sensazione che qualcosa, forse, stesse davvero cambiando. Ma la guerra non conosce trionfi assoluti: ogni passo avanti aveva il peso di ciò che avevamo perso. Ancora una volta il Comandante scrisse:

“Le missioni sono ciò per cui viviamo e moriamo; l’Iraq non è stata un’eccezione. Qui voi avete fatto una reale differenza, a contatto con gente cui non è mai stato concesso un brandello di decenza, e avete contribuito a dare loro un’esistenza significativamente migliore. Ciò che facciamo in vita è il fondamento della nostra umanità. Noi poniamo noi stessi sulla via del pericolo, affrontando terrore e intimidazione, prendendo le difese di antichi ideali, della dedizione e del sacrificio. Noi restiamo in disparte dagli altri. Siamo una schiera di fratelli.

Non cerchiamo fama, ma la silenziosa solitudine di chi fa bene un lavoro difficile. Io sono immensamente orgoglioso di aver servito al vostro fianco. Continuate a operare come state facendo; mantenetevi al sicuro, ma se dovete marciare al suono delle armi, fatelo senza esitazione o timore di fallire. La vita mi ha insegnato che il coraggio non è un dono, ma la mera applicazione della forza di volontà. Siate forti. Molto è stato fatto e molto ancora è da fare. Il fallimento non è in considerazione, non è un’opzione”. (Major General Graeme Lamb, Commanding General, Multinational Division South-East, Iraq)

 

Il ritorno

Quando tornai a casa, dopo quei lunghi mesi, Giacomo era cresciuto. Lo trovai diverso, eppure familiare. Aveva imparato a sorridere senza conoscermi davvero, e io dovevo imparare a essere padre da capo. Portavo con me il silenzio del deserto, le voci dei camerati, e la consapevolezza che la distanza più grande non è quella tra i continenti, ma quella che si apre tra chi parte e ciò che lascia. Da allora, ogni volta che guardo una fotografia di quei giorni, rivedo non solo la missione, ma la fragile grandezza dell’essere umano quando serve qualcosa di più grande di sé.

 

 

 

 

 

Zanitti Antonello Messenio, 1964, Esercito Italiano, Divisione “Mantova”, Chief G5 nella Multinational Division South-East in IRAQ, ottobre 2003 – marzo 2004, Tenente Colonnello.

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