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lunedì 4 agosto 2025

GUERRA FREDDA La soglia di Gorizia

 


( Seconda parte )

 Ten. Art. Pe. Sergio  Benedetto  Sabetta

 

            Durante la Guerra Fredda era previsto che l’eventuale attacco verso l’Italia delle armate del Patto di Varsavia, costituite da Russi e Ungheresi con una forza di circa 2.000 carri armati, avvenisse con direttrice principale attraverso la Soglia di Gorizia attraversando Carinzia e Slovenia, con una possibile diversione attraverso il Tirolo verso l’Alto Adige, mentre la Jugoslavia rimaneva una incognita tra i due schieramenti.

            A tal fine erano stati ipotizzati tre scenari : una aggressione totale che, coinvolgendo anche la neutrale Austria, investisse tutto il confine orientale dall’Alto Adige al Friuli – Venezia Giulia; una più limitata alla sola Soglia di Gorizia; infine uno scontro diretto e a sorpresa con la sola Jugoslavia.

            La principale direttrice ipotizzata era la Val Canale con due azioni sussidiarie per avvolgere Tarvisio attraverso Passo Pramollo e la Val Saisera, l’ipotesi minore prevedeva il solo attacco attraverso la Val Canale con direttrice Sava.

            Si ipotizzava un attacco preliminare di guastatori e pionieri che avrebbero dovuto aprire dei varchi nelle difese avanzate, contemporaneamente reparti aviotrasportati e di paracadutisti avrebbero operato in profondità contro comandi, logistica e vie di comunicazione per creare confusione ed impedire una reazione coordinata, seguiva l’assalto della fanteria meccanizzata per ampliare e approfondire i varchi a cui sarebbero seguite le colonne corazzate per l’avanzata in profondità  verso la pianura veneto – lombarda.

            Al fine di spezzare l’urto iniziale lungo il confine erano state predisposte varie fortificazioni, che in parte si appoggiavano nel fronte montano sulle precedenti fortificazioni ante – guerra del Vallo Alpino riadattandole, mentre sulla pianura erano mascherate quali fattorie, case cantoniere, pagliai, etc.

            Le postazioni in roccia garantivano la resistenza ai bombardamenti di artiglierie ed aerei, comprese le esplosioni di cariche nucleari tattiche su una distanza superiore  a 1 Km.

            Le strutture costruite nel dopoguerra si rifacevano alla tecnica delle fortificazioni tedesche del 1943 – 45, con una notevole potenza di fuoco su tutto l’orizzonte e una limitata esposizione per le loro dimensioni al fuoco nemico.

            Al momento dell’entrata dell’Italia nella NATO nel 1949 l’esercito italiano operativo era costituito da :

-         1 Divisione di fanteria ternaria – Mantova;

-         2 Divisioni di fanteria binaria solo complete in parte – Granatieri di Sardegna e Cremona;

-         2 Divisioni di fanteria in formazione – Aosta e Avellino;

-         2 Divisioni motorizzate binarie non complete nei mezzi di trasporto – Folgore e Legnano;

-         1 Brigata motorizzata quasi completata – Ariete, con poche  unità di artiglieria e del genio.

            Nel 1953 il nuovo esercito italiano affrontò con successo la prima prova, l’Esigenza T (Trieste), quando verso la fine dell’estate furono richiamati 294 ufficiali, 525 sottufficiali e 12.380 militari di truppa in congedo, per un totale di 3.000 specializzati e 10.000 generici, così da completare alcune grandi unità da schierare alla frontiera Est al fine di scoraggiare eventuali azioni offensive jugoslave verso Trieste, le divisioni impegnate erano la Mantova, Folgore, Cremona, Julia, Tridentina, Cadore e Ariete.

            Tra gli anni ‘ ’50 e ’60 si passò dalla dottrina di una distruzione atomica strategica ad una dottrina di un uso tattico delle testate nucleari a seguito di una loro larga disponibilità, secondo la serie dottrinale 700 la battaglia si sarebbe svolta attraverso 4 successive azioni, presa di contatto, frenaggio, resistenza ed arresto, azione di annientamento, il terreno di scontro si sarebbe sviluppato con una profondità dai 160 ai 240 Km.

            L’azione sarebbe stata sostenuta dal fuoco convenzionale e/o nucleare dalla massima distanza possibile, con successivi arresti mediante ostacoli, demolizioni e allargamenti, a cui sarebbero seguiti contrattacchi risolutivi.

            Determinanti al fine di potere utilizzare le armi nucleari tattiche, logorare il nemico ritardandone l’avanzata, risparmiando al contempo le forze, erano le fortificazioni che permettevano, tra l’altro, di appoggiare con più determinazione le nostre forze corazzate e meccanizzate frantumando la compattezza dell’offensiva nemica.

            Nella metà degli anni ’70 ci fu una ristrutturazione dell’intero apparato militare con la riduzione delle sue dimensioni a favore dell’ammodernamento, potenziamento ed acquisizione di una maggiore elasticità operativa a fronte di un risparmio economico, passando progressivamente dalla Divisione alla Brigata.

            Si costituirono tre Corpi d’Armata, 3°a Milano, 4° a Bolzano e 5° a Vittorio Veneto con 4 Divisioni, tre meccanizzate – “Centauro” a Novara, “Folgore” a Treviso e “Mantova” a Udine  e una corazzata – “Ariete” a Pordenone.

            A queste si affiancarono:

-         N. 8 Brigate meccanizzate”Goito” a Milano, “legnano” a Bergamo, “Brescia” a Brescia, “Garibaldi”a Pordenone, “Isonzo” a Cividale del Friuli, “Gorizia” a Gorizia, “Trieste” a Bologna, “Granatieri di Sardegna” a Roma.

-         N. 5 Brigate corazzate – “Curtatone” a Novara, “Mameli” a Tauriano, “Manin” ad Aviano, “pozzuoli del Friuli” a Palmanova, “Vittorio Veneto” a Trieste.

La differenza tra meccanizzate e corazzate risiedeva nel diverso rapporto tra battaglioni meccanizzati e battaglioni carri, per impieghi diversi.   

-         N. 5 Brigate motorizzate – “Cremona” a Torino, “Friuli a Firenze, “Acqui” a L’Aquila, “Pinerolo” a Bari e “Aosta” a Messina. Nelle brigate motorizzate prevaleva la fanteria con 2 battaglioni sull’unico battaglione carri che aveva funzioni di appoggio.

-         N. 5 Brigate alpine – “Taurinense” a Torino, “Orobica” a Merano, “Tridentina” a Bressanone, “Cadore” a Belluno, “Julia” ad Udine. Sebbene adatte all’alta montagna, essendo dotate di adeguato fuoco anticarro, potevano agire in caso di necessità anche in pianura.

-         N. 1 Brigata paracadutisti “folgore”a Livorno.

-         N. 1 Brigata missili – “Aquileia” a Portogruaro, con sede dei gruppi da Elvas (Brixen) al Friuli.

-         N. 3 Battaglioni alpini d’arresto – “Val Tagliamento”, “Val Brenta” e “Val Chiese”, per il settore montano.

-         N. 7 Battaglioni di fanteria d’arresto – 33° “Ardenza”, 52° “Alpi”, 53° “Umbria”, 63° “Cagliari”, 73° “Lombardia”, 74° “Pontida” e 120° “Fornovo” per le zone di pianura.

-         N. 1 Comando truppe anfibie – Battaglione lagunare “Serenissima” e Battaglione mezzi anfibi “Sile”.

A questi si affiancavano alcuni reggimenti di artiglieria pesante e pesante campale, i reggimenti genio pontieri  e genio ferrovieri, numerosi battaglioni pionieri e minatori, due reggimenti di artiglieria contraerea – il 4° a Mantova e il 5° a Mestre, infine 4 raggruppamenti dell’aviazione leggera dell’esercito – 1° “Antares” a Viterbo, 3° “Aldebran” a Vercelli, 4° “Altair” a San Giuliano di Laives e 5° “Rigel” a Casarsa Della Delizia.

Il comando FTASE era responsabile in Italia della difesa terrestre della NATO, mentre in caso di conflitto atomico la sede di guerra della NATO era “West Star” o in alternativa “Back Yard”.

Nel corso degli anni ottanta le fortificazioni permanenti persero sempre più importanza in favore delle forze mobili, questo nelle pianure, mentre mantennero la loro validità sulle strettoie dei passi alpini, si deve inoltre considerare l’introduzione di nuove tipologie di testate atomiche tattiche, come quelle ai neutroni (Bomba N), con una notevole forza di penetrazione dei neutroni sul calcestruzzo e sul ferro, dove svilupperebbero raggi gamma mortali per la materia vivente.

Nel luglio 1990 i paesi aderenti alla NATO in una riunione a Londra ratificarono un “Nuovo concetto strategico” che venne ulteriormente elaborato in un vertice a Roma nel novembre 1991 con la “Dichiarazione sulla pace e sulla cooperazione”, dove vi era un mutamento del concetto di sicurezza nazionale che diventava con la fine della Guerra fredda sempre più un mantenimento dell’ordine internazionale, sostituendo quella di difesa del territorio da attacchi esterni. (James J. Sheehan, L’età post-eroica, Laterza 2009).

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

-         L. Malatesta, I segreti della guerra fredda. Le strutture militari della NATO presenti in Italia durante il conflitto atomico, Archivio storia, 2020.

-         L. Malatesta, West Star. La Stella d’Occidente, Bunker Soratte, Quaderni di Storia Sant’Oreste, 2020.

-         F. Romero, Storia della Guerra Fredda, Einaudi, 2014.

-         J. H. Harper, La Guerra Fredda, Il Mulino, 2013.

-         L. Malatesta, Armi Nucleari a Nord-Est La III Brigata “Aquileia” Missili 1959-1991, Editrice Storica 2020.

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