DIBATTITI
Prof. Sergio Benedetto
Sabetta
Appoggiate
alle fortificazioni di Capua e di Gaeta le truppe borboniche controllavano il
territorio tra queste due città, le truppe piemontesi costituite dal IV Corpo
d’Armata, al comando del gen. Cialdini, e dal V Corpo d’Armata, al comando del
gen. Della Rocca, provenienti dall’Abruzzo per la strada di Venafro si
accamparono il giorno 5 ad ovest di Presenzano il IV Corpo e ad est di
Presenzano il V Corpo
Il Re Vittorio Emanuele pernottò a
Presenzano nel Palazzo Del Balzo.
Il mattino del 25 le truppe
garibaldine passarono il Volturno su un ponte
improvvisato tra S. Angelo in Formus e Triflisco, erano costituite dalle
brigate “Eber” e “Milano”, oltre da una aliquota della divisione “Bixio” e da
una della divisione “Medici”, quest’ultima disposta a guardia per una eventuale
sortita borbonica da Capua.
Le colonne garibaldine si diressero a
Zuni dove vi giunsero verso mezzogiorno, dopo una sosta di circa tre ore
proseguirono fino a Caianello e qui si accamparono per la notte tra il bosco e
la strada, una dislocazione che permetteva di proteggere l’esercito piemontese
da sorprese provenienti dal sud.
Una relazione molto particolareggiata
della marcia dei garibaldini è quella del garibaldino Alberto Mario il quale
così precisa la marcia dal sud “Noi,
percorrendo attraverso i campi e sui primi abbozzi di una via ferrata
l’ipotenusa del gomito descritto dalla strada, ci arrestammo ad un bivio per
attendervi Garibaldi. Proveniente da Venafro sfilava verso Teano l’esercito
settentrionale, e la banda di ciascun reggimento, dipartendosi dalla testa di
colonna, sostava da lato a rallegrarne
il passaggio con musiche marziali; quindi le si ricongiungeva alla coda.
Il sito d’intersezione delle due strade era abbastanza capace, e
l’adornavano una casa rustica e una dozzina di pioppi. Terreni arati
all’intorno e radi alberi e viti ingiallite dall’autunno cadente; pianura
uniforme e uggiosa.
Non tardò a giungere Garibaldi: scese di sella, si pose sul davanti a
guardare la truppa con lieta pupilla”.
L’incontro deve essere avvenuto verso
le otto del mattino, Vittorio Emanuele in divisa da generale, Garibaldi coperto
con un mantello bigio, seguivano il re i generali Fanti, D’Angrogna e Solaroli,
aiutanti di campo, oltre al colonnello d’artiglieria Genova di Revel.
Con Garibaldi vi erano Giuseppe
Missori, Alberto Mario, Abba e Achille Fazzari, Stefano Canzio, Cariolato,
Carissimi e Mosto, non erano presenti Medici, rimasto presso Capua, Turr, rimasto
a Napoli, e Bixio, caduto da cavallo presso il Volturno con frattura alla
gamba.
La tradizione aulica vuole che
Garibaldi abbia gridato “Saluto il primo
Re d’ Italia!” , e che Vittorio Emanuele abbia risposto “Saluto il mio migliore amico!”.
Le narrazioni dei presenti hanno
versioni alquanto differenti, il garibaldino Missori afferma “Rivedo Garibaldi togliersi il berretto e ne
riodo le precise parole pronunciate a voce sonora: Saluto il Primo Re d’Italia!, Garibaldi, stretta la mano al Re, gli si
pose poi a fianco e lo accompagnò, discorrendo, per un tratto verso Teano”,
lo stesso riferisce il Carandini nella “Vita del Generale Fanti”.
Differente è il racconto
dell’incontro riferito dal Solaroli “In
questo frattempo giunse il Re, Garibaldi fece mettere in battaglia i pochi che
aveva con lui e si mise a gridare “Viva il Re d’Italia!” ed i suoi lo stesso,
ma vi si vedeva in viso che era molto commosso, e l’espressione era cupa. Il Re
gli tese la mano, e gli disse con emozione “Come và Generale?” lui rispose “Bene”
e seguitò il Re fino a Teano. Quivi il Re prese la diritta della colonna che
era in marcia, e Garibaldi la sinistra, e disse che ritornava a prendere i
suoi, che erano 3.000 in circa, che stavano accampati dietro Caianello”.
Una narrazione più particolareggiata
e accesa di spirito repubblicano è quella del garibaldino Alberto Mario “Della Rocca, generale d’armata, che gli
accostò cortesemente. Alcuni ufficiali salutavano con visi sfavillanti; la più parte, fatto il
saluto prescritto dal regolamento, procedeva oltre, inconsapevole o
indifferente che il salutato fosse il liberatore delle Sicilie; sarebbesi detto
in quel cambio, se lice una induzione dalla fisonomia che eglino fossero i
liberatori, e Garibaldi il liberato. Quando improvvisamente una botta di
tamburi troncò le musiche e s’intese la marcia reale.
“Il Re!” disse Della Rocca.
“il Re! Il Re!” ripeterono 100 bocche.
E invero una frotta di carabinieri reali a cavallo, guardia del corpo,
armati di spada, di pollici e di manette, annunziò la presenza del monarca
sardo.
Il Re, coll’assisa di generale in berretto, montava un cavallo arabo
storno, e lo seguiva un codazzo di generali, di ciambellani, di servitori;
Fanti, ministro della guerra, e Farini, viceré di Napoli in pectore, tutta
gente avversa a Garibaldi, a codesto plebeo, donatore di regni.
Di sotto al cappellino, Garibaldi s’era acconciato il fazzoletto di seta,
annodandoselo al mento per proteggere le orecchie e le tempie dalla mattutina
umidità. All’arrivo del Re, cavatosi il cappellino rimase il fazzoletto. Il Re
gli stese la mano dicendo “Oh! Vi saluto mio caro Garibaldi, come state?”.
E Garibaldi “Bene, Maestà, e lei?”
E il Re “Benone!”.
Garibaldi, alzando la voce e
girando gl occhi come chi parla alle turbe, gridò “Ecco il Re d’Italia!”. E i
circostanti “Viva il Re!”.
Vittorio Emanuele, trattosi in disparte pel libero transito delle truppe,
si intrattenne qualche tempo a colloquio con il generale.
Indi si mosse.
Garibaldi gli cavalcava alla sinistra, e a 20 passi di distanza il quartier
generale garibaldino alla rinfusa col sardo. Ma a poco a poco le due parti si
separarono, respinta ciascuna al proprio centro di gravità; in una riga le
umili camice rosse, nell’altra parallela le superbe assise lucenti d’oro,
d’argento, di croci e di gran cordoni.
In tanto strepito d’armi e corruscare di spallini e ondeggiare di
cinieri, i contadini accorrevano attoniti ad acclamare Garibaldi. Dei due che
procedevano, ignorando quale ei fosse, posero con certezza gli occhi sul più
bello. Garibaldi procacciava di deviare quegli applausi sul Re, e, trattenuto
d’un passo il cavallo, inculcava loro con molta intensità di espressione:
“Ecco Vittorio Emanuele, il Re, il nostro Re, il Re d’Italia: viva lui!”
I paesani tacevano e ascoltavano, ma non comprendendo una sillaba di
tutto ciò, ripicchiavano il viva Calibardo! Il povero generale alla tortura
sudava il sangue dagli occhi, e conoscendo come il principe tenesse alle
ovazioni e quanto la popolarità propria
lo irritasse, avrebbe volentieri regalato un secondo regno pur di strappare dal
labbro di quegli antipolitici villani un Viva il Re d’Italia! Anche un semplice
Viva il Re! Ma la difficoltà si sciolse prontamente, perché Vittorio Emanuele
spinse il cavallo al galoppo”.
Giunti all’ingresso nord di Teano
alla Porta Romana, verso le ore dieci, i due si separarono, il Re proseguì a
destra per raggiungere il palazzo Caracciolo, Garibaldi volse a sinistra al
Largo del Muraglione e fatto ricoverare il cavallo in una piccola stalla entrò
per consumare una fugace colazione. Due settimane dopo, il 9 novembre,
consegnati al Re i risultati del plebiscito si imbarcò solitario per Caprera.
Nota
· D. Ludovico, Realtà topografica dell’incontro di Teano, 303 - 324,in
L’Universo. Rivista dell’Istituto Geografico Militare, Firenze, marzo – aprile
1965.
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