DIBATTITI
Sergio B. Sabetta
Il potere,
come è stato definito, non è altro che il “controllo”, questo ancor più in
ambiti politico, ma può essere anche definito quale capacità di guidare una
“trasformazione”, da tenersi quindi distinto dal potere teologico fondato sulla
creazione.
Nel tempo vi
è stata una sua evoluzione, originariamente fino alla rivoluzione francese esso
consisteva nel controllo della realtà intesa quale possesso naturale di un
bene, prevalentemente terreni, ma già nel XIX secolo con la Rivoluzione
Industriale il potere cominciò a consistere nel possesso della tecnologia per
la produzione (Marx).
Un ulteriore
passaggio avvenne nel XX secolo dove il centro del potere si trasferì sul
possesso, non tanto dei mezzi di produzione quanto dei mezzi di informazione
che incidevano sui mezzi di produzione e sui beni, attualmente l’informazione
ha trasferito il potere principalmente nel permettere il controllo delle
risposte alle domande.
L’ultimo più
recente passaggio è il controllo dell’incertezza, ossia quali domande potere
fare e quali negare, attraverso tale griglia controllare la realtà, vi è
pertanto il rischio di un oligopolio nascosto ovvero di una ristrettissima e
non manifesta oligarchia, essendo venuta meno
la capacità competitiva tra aziende con la suddivisione preventiva del
potere tra oligarchi, così che il digitale è sfuggito al controllo sociale
della politica.
La
rivoluzione digitale si fonda sull’informazione quale manipolazione dei dati,
ossia delle informazioni, questa si fonda anche nel progettare, ossia nello
scomporre e ricomporre i dati stessi, ne deriva il rischio analogico della
realtà di sparire dietro al digitale, infatti sempre crescenti modelli digitali
si pongono in alternativa all’analogico rischiando di semplificare
eccessivamente la realtà, perdendo in tal modo una serie di dati con il
conseguente blocco dell’insieme in una eccessiva distanza dalla vita del reale.
Tuttavia il
digitale per funzionare deve necessariamente passare attraverso le strutture
analogiche (cavi, terre rare, chips), ne consegue che il digitale necessita di
una sede materiale e in essa si esercita il controllo politico sulla sovranità
digitale, ecco l’utilità dei piccoli Stati isolati nei mari, in un fallimento
del mercato in presenza degli oligopoli.
La potenza
ha necessità di affiancare al controllo il mito quale racconto, così da fondare
e legittimare la forza (capacità mitopoietica), ma questa deve essere resa
collettiva e rinsaldata attraverso la recita collettiva del rito che ricorda il
“mito fondativo”, il quale nella contemporaneità si è incarnato nel mito
infondato dell’economicismo che può vivere solo se inserito nella potenza
altrui.
La potenza
presuppone comunque un’etica, la quale non è che una possibilità di scelta tra
forme di essere, ma anche la non scelta è una scelta, la morale risulta
pertanto il perché di una scelta.
Se in
Occidente l’etica dalla filosofia antica al Medioevo è fondata sull’io, come
ripresa da Kant per il quale il bene è relativo al singolo, in Oriente secondo
l’insegnamento confuciano è la collettività che prevale.
In età
contemporanea all’etica della gente o soggetto si affianca l’etica del
ricevente ossia dell’oggetto, si passa dai doveri ai diritti ponendo al centro
la relazione tra doveri e diritti, tra soggetto e oggetto, fino
all’affermazione dei diritti della natura.
Tuttavia
questo di per sé non evita la crisi della democrazia, ridotta a populismo, con
la mancanza del Consenso, del venire meno della Cooperazione e della
Competizione schiacciata dalla suddivisione del potere tra oligarchi (teoria
delle tre C), dove la sovranità separata dalla governance viene surretiziamente
riunita nel sovrapporre procedure e diritti.
Già
osservava Heidegger che la tecnica non è che un pensiero calcolante in cui
tutto viene ridotto all’utile, all’economicismo, in mancanza di un possibile
pensiero alternativo con cui bilanciare la tecnica, da cui il prevalere della
tecnica sulla natura dove l’essere umano finisce per esserne incluso diventandone
un semplice elemento.
La verità si
riduce all’efficacia, che diventa accumulo nello sfruttamento della natura,
dove la tecnica quale elemento più alto della razionalità attraverso il calcolo
non soddisfa più il bisogno reale ma lo scambio, così da sostituire la ratio al
logos.
Se
nell’economia vi è ancora il riflesso della passione, a un livello superiore la
tecnica riduce tutto ad efficienza e calcolo, in un pensiero unico dove
l’essere umano sposta la propria identità esclusivamente sul ruolo.
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