martedì 25 novembre 2025

Potere ed Etica in epoca contemporanea

 DIBATTITI


Sergio B. Sabetta

 

            Il potere, come è stato definito, non è altro che il “controllo”, questo ancor più in ambiti politico, ma può essere anche definito quale capacità di guidare una “trasformazione”, da tenersi quindi distinto dal potere teologico fondato sulla creazione.

            Nel tempo vi è stata una sua evoluzione, originariamente fino alla rivoluzione francese esso consisteva nel controllo della realtà intesa quale possesso naturale di un bene, prevalentemente terreni, ma già nel XIX secolo con la Rivoluzione Industriale il potere cominciò a consistere nel possesso della tecnologia per la produzione (Marx).

            Un ulteriore passaggio avvenne nel XX secolo dove il centro del potere si trasferì sul possesso, non tanto dei mezzi di produzione quanto dei mezzi di informazione che incidevano sui mezzi di produzione e sui beni, attualmente l’informazione ha trasferito il potere principalmente nel permettere il controllo delle risposte alle domande.

            L’ultimo più recente passaggio è il controllo dell’incertezza, ossia quali domande potere fare e quali negare, attraverso tale griglia controllare la realtà, vi è pertanto il rischio di un oligopolio nascosto ovvero di una ristrettissima e non manifesta oligarchia, essendo venuta meno  la capacità competitiva tra aziende con la suddivisione preventiva del potere tra oligarchi, così che il digitale è sfuggito al controllo sociale della politica.

            La rivoluzione digitale si fonda sull’informazione quale manipolazione dei dati, ossia delle informazioni, questa si fonda anche nel progettare, ossia nello scomporre e ricomporre i dati stessi, ne deriva il rischio analogico della realtà di sparire dietro al digitale, infatti sempre crescenti modelli digitali si pongono in alternativa all’analogico rischiando di semplificare eccessivamente la realtà, perdendo in tal modo una serie di dati con il conseguente blocco dell’insieme in una eccessiva distanza dalla vita del reale.

            Tuttavia il digitale per funzionare deve necessariamente passare attraverso le strutture analogiche (cavi, terre rare, chips), ne consegue che il digitale necessita di una sede materiale e in essa si esercita il controllo politico sulla sovranità digitale, ecco l’utilità dei piccoli Stati isolati nei mari, in un fallimento del mercato in presenza degli oligopoli.

            La potenza ha necessità di affiancare al controllo il mito quale racconto, così da fondare e legittimare la forza (capacità mitopoietica), ma questa deve essere resa collettiva e rinsaldata attraverso la recita collettiva del rito che ricorda il “mito fondativo”, il quale nella contemporaneità si è incarnato nel mito infondato dell’economicismo che può vivere solo se inserito nella potenza altrui.

            La potenza presuppone comunque un’etica, la quale non è che una possibilità di scelta tra forme di essere, ma anche la non scelta è una scelta, la morale risulta pertanto il perché di una scelta.

            Se in Occidente l’etica dalla filosofia antica al Medioevo è fondata sull’io, come ripresa da Kant per il quale il bene è relativo al singolo, in Oriente secondo l’insegnamento confuciano è la collettività che prevale.

            In età contemporanea all’etica della gente o soggetto si affianca l’etica del ricevente ossia dell’oggetto, si passa dai doveri ai diritti ponendo al centro la relazione tra doveri e diritti, tra soggetto e oggetto, fino all’affermazione dei diritti della natura.

            Tuttavia questo di per sé non evita la crisi della democrazia, ridotta a populismo, con la mancanza del Consenso, del venire meno della Cooperazione e della Competizione schiacciata dalla suddivisione del potere tra oligarchi (teoria delle tre C), dove la sovranità separata dalla governance viene surretiziamente riunita nel sovrapporre procedure e diritti.

            Già osservava Heidegger che la tecnica non è che un pensiero calcolante in cui tutto viene ridotto all’utile, all’economicismo, in mancanza di un possibile pensiero alternativo con cui bilanciare la tecnica, da cui il prevalere della tecnica sulla natura dove l’essere umano finisce per esserne incluso diventandone un semplice elemento.

            La verità si riduce all’efficacia, che diventa accumulo nello sfruttamento della natura, dove la tecnica quale elemento più alto della razionalità attraverso il calcolo non soddisfa più il bisogno reale ma lo scambio, così da sostituire la ratio al logos.

            Se nell’economia vi è ancora il riflesso della passione, a un livello superiore la tecnica riduce tutto ad efficienza e calcolo, in un pensiero unico dove l’essere umano sposta la propria identità esclusivamente sul ruolo. 


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