giovedì 3 luglio 2025

I FANTI – CONTADINI NELLA GRANDE GUERRA

 DIBATTITI


Ten. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta

 

         L’On. Ferri nell’autunno del 1915 denunciava alla Camera dei Deputati che “la guerra la fanno col loro sangue i contadini”, giovani in gran parte analfabeti, gli operai erano necessari alla produzione bellica, essendo lontani dal fronte erano ritenuti dai fanti degli “imboscati”, lontani dalle fatiche e dai dolori della guerra.

         A questo si aggiungeva una mancanza di mezzi adeguati alla guerra moderna, come le cesoie taglia filo spinato che furono disponibili molto tempo dopo non essendo in dotazione all’esercito, solo nel 1916 fu distribuita la bombarda in 600 pezzi quale mezzo idoneo alle trincee, solvo accorgersi che i reticolati resistevano nonostante il fuoco di preparazione.

         Anche da un punto di vista economico vi era una forte discrepanza tra la paga dell’operaio e quella del combattente, per i primi la paga media era di 7 lire al giorno, mentre per i soldati era di 50 centesimi al giorno pagati ogni 5 giorni, un ulteriore elemento di rancore verso quelli che i combattenti definivano “gli imboscati”.

         Nel suo diario il soldato Bernardo Zambado così scrive: “Oggi hanno fatto cinquina e mi fecero pagare una lira per ogni scatoletta e 10 centesimi ogni galletta, dopo essere stati diversi giorni senza rancio …E così di 2,50 della cinquina mi diedero 10 centesimi …” (30, Trincee del Carso. Diario di guerra di Bernardo Zambada, a cura di G. Vacca, arabA Fenice, 2015), si deve inoltre tenere conto che le somme erano trasferite a casa per sostenere le famiglie prive di braccia per l’agricoltura.

         Se già nell’estate vi erano stati episodi isolati di diserzione e insubordinazione, solo con la Terza battaglia dell’Isonzo nell’ottobre del 1915 si intensificarono gli atti di ribellione a cui seguì una sistematica repressione.

         Nell’estate i processi per autolesionismo si erano conclusi con pesanti condanne al carcere, ma nell’ottobre il Generale Cadorna con una propria Circolare ordina l’uso della fucilazione immediata sul campo in caso di resa o tentativo di retrocedere, si deve temere una morte certa contro una possibile morte in battaglia, si arriva in caso di assalto a bombardare le proprie linee per indurre i fanti ad uscire dalle trincee, oltre che ordinare alla polizia militare di sparare alle spalle delle proprie truppe in caso di esitazione nell’assalto.

         Se nell’esercito borbonico si diceva “soldato che scappa è buono per un’altra battaglia”, nell’esercito piemontese la disciplina era inesorabile e la fuga o l’esitazione si pagava con la vita, in altre parole si doveva avere più paura dei superiori che del nemico.

         Infatti scrive Bernardo Zambado il 22 luglio “… il magiore diede il comando di uscire fuori delle tane e chi non esce di sparargli alla schiena …” (38, cit.).

         La resa volontaria o la fuga comportava non solo il fuoco sui colpevoli, ma fu introdotta la decimazione del reparto di appartenenza in modo da indurre ad un controllo reciproco tra i militari, come avvenne nel caso del 141° Reggimento della Brigata Catanzaro che il 17 luglio 1917 alla notizia dell’immediato ritorno in trincea, senza avere goduto dei regolamentari 20 giorni di riposo, si ribellò con le armi per tutta una notte di fuoco.

         Il bilancio della rivolta fu di due ufficiali morti e due feriti, oltre a nove soldati morti e altri venticinque feriti, la decimazione riguardò ventiquattro soldati, dodici del 141° e dodici del 142° Reggimento estratti a sorte, altri tre soldati furono condannati a morte dal Tribunale Militare di Guerra nel successivi settembre, oltre a pesanti pene detentive per altri due soldati.

         Dobbiamo tuttavia considerare che, vista la ferocia mai prima provata della nuova guerra di mezzi che la rivoluzione tecnologica aveva creato e il suo prolungarsi per il prevalere della difesa, nonché la mancanza di adeguate nuove dottrine belliche di infiltrazione che solo lentamente furono introdotte, questa ferocia repressiva fu adottata anche dagli altri eserciti, logorati dai continui assalti frontali, persi in un tentativo di dissanguamento reciproco.

BIBLIOGRAFIA

·       E. E. Forcella – A. Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della Prima Guerra Mondiale, Ed. Laterza, 1968;

·       A. Gebelli, L’officina della guerra. La grande guerra e trasformazioni del mondo mentale, Bollati Boringhieri, 1991.

 

In ricordo di miei nonni :

 Bernardo Sabetta – Bersagliere - e Raimondo Mattiuzzo – Artigliere,  che combatterono nella Grande Guerra 1915 -18.

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