DIBATTITI
L
L a situazione sulla fronte italiana era diversa da quella sulla fronte francese.
L'Austria-Ungheria aveva
chiesto un armistizio immediato direttamente al Capo dell'esercito italiano. Invece la Germania resisteva,
e le
trattative d'armistizio si svolgevano lentamente, attraverso lunghe note col Presidente degli Stati Uniti, che era in America.
Sulla fronte italiana era l'Italia che vinceva il suo nemico,
l'Austria-Ungheria. Sulla fronte francese
combattevano la Francia, l'Inghilterra,
l'America ed il Belgio contro la Germania. L'intervento
dell'America aveva su quel fronte la principale importanza politica
se non militare.
La Francia doveva forzatamente accordarsi con i suoi alleati per le
condizioni d'armistizio, con la Germania. L'Italia avrebbe potuto trattare direttamente con l'Austria-Ungheria, informandone gli alleati, ed accettandone
eventualmente i desiderata.
Il presidente Wilson aveva già dato l'esempio
di trattare direttamente con il Governo di Vienna,
saltando il Governo italiano. Con maggior
diritto avrebbe potuto agire ugualmente il Governo italiano.
Il generale Franchet d'Espérey aveva concluso direttamente, a nome degli Stati alleati, l'armistizio con la Bulgaria, rappresentata dal ministro Liapceff e dal generale Lukoff,
pur avendo ai suoi ordini
truppe di tutta l'Intesa,
meno dell'America e del Belgio.
Oggi, a posteriori, sembra che questa nostra speciale situazione avrebbe dovuto dare ai nostri
rappresentanti a Parigi un'autorità decisiva nello stabilire le
condizioni d'armistizio con
l'Austria-Ungheria.
La nazione italiana ed il suo esercito avevano la coscienza che l'Italia
soltanto aveva vinto il suo nemico e che ad essa spettasse di dettargli le condizioni.
In quel momento l'armistizio dell'Italia con l'Austria-Ungheria aveva una grande importanza. La libertà di movimento delle forze alleate, o solo delle italiane, attraverso l'Austria, per attaccare la Germania,
era decisiva, perché costringeva i Tedeschi ad accettare subito le più
gravi condizioni. Era uno stato di cose transitorio, che dava un grande valore alla vittoria italiana.
L'occasione passava rapida,
bisognava afferrarla, e non limitarsi alla consolazione di vedere finita la guerra. Anche Vesnic, Lloyd George
e Clemenceau erano desiderosi di finire la guerra, ma vollero trarre
profitto della vittoria, e lo trassero largamente dalla vittoria italiana.
I nostri rappresentanti mantennero la linea di condotta corretta
e leale tenuta fino ad allora, e l'armistizio con l'Austria sfuggì dalle loro mani.
Nella drammatica settimana dell'aprile successivo (1919) a Parigi, Orlando
e
Sonnino sostennero i diritti dell'Italia con eroismo, lottando tenacemente contro il partito preso da Wilson
avverso all'Italia, mal sostenuti, se non combattuti, da Lloyd George e da Clemenceau. Ma essi non avevano più nelle loro mani nessuna arma da far valere, per salvare il nostro buon diritto.
Le condizioni d'armistizio con l'Austria-Ungheria, preparate dai periti militari, furono discusse nella seduta del 31 ottobre a Versailles.
A quella riunione, e nelle successive, parteciparono Vesnic e Venizelos. Il primo, rappresentante della Serbia, fu molto abile. Egli mise in dubbio
il nostro diritto ad occupare permanentemente i territori assegnatici dal Patto di Londra.
Con la simpatia di Clemenceau
e di Lloy George affermò audacemente che i Croati e gli Sloveni dovevano
essere considerati come alleati dell'Intesa fin dal principio della guerra, ed ottenne che il naviglio mercantile austriaco, appartenente
agli jugoslavi, non fosse considerato come preda bellica, ma si dovesse restituire agli
jugoslavi da una commissione interalleata. Ad uguali condizioni fu considerato il naviglio
mercantile appartenente agli italiani dell'Impero austro-ungarico.
Il complesso
delle condizioni d'armistizio con l'Austria-Ungheria fu approvato nella
riunione del 31 e telegrafato a Diaz.
Com'è noto,
l'armistizio fu firmato il 3
novembre, e le ostilità per terra,
per mare e nell'aria cessarono il giorno 4 alle ore 15.
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